E
dunque ci sono voluti spari e lacrimogeni per svuotare Gezi Park. Di
più: sostanze urticanti, a quanto riportano le cronache, all'interno dei
getti d'acqua utilizzati per disperdere la folla. E ancora: secondo
diversi testimoni, le forze di polizia si sono premurate di distruggere
in primo luogo i presidi infermieristici, accanendosi in modo
particolare sui medici.
Erdogan ha insomma usato il pugno duro, come aveva del resto
dichiarato di voler fare, e si è messo in pratica il monito di Egemen
Bagis, ministro per l'Europa: «chiunque entri a piazza Taksim sarà trattato dalla polizia come un terrorista». Il che significa - e ha significato - intervenire con ogni mezzo, appunto.
Il dato che emerge da questa ulteriore parziale pagina della "rivolta
della Turchia laica" è dunque piuttosto semplice da cogliere: se i
livelli dello scontro e della repressione delle manifestazioni e della
volontà popolare si alzando di questo passo, e con questa intensità, è
evidente che la prossima volta in piazza non si andrà più a fare
concerti e sit-in, ma ci vorranno - e saranno forse leciti? - i mitra.
Beninteso, è evidente che un governo sovrano abbia tutto il diritto, e
se vogliamo anche il dovere, di reprimere situazioni di ordine pubblico
che vanno al di fuori del rispetto della legge per far tornare le cose
alla normalità. Ma il termine cardine per comprendere quanto sta
accadendo in Turchia, così come in diverse parti d'Europa è proprio
questo: "normalità". Nel momento in cui a manifestare non sono più dei
gruppi sparuti di persone, o minoranze appartenenti a qualche sigla
oppure, ancora, numeri anche importanti ma pur sempre nell'ambito di una
rivendicazione particulare e circoscritta, e invece si tratta
di buona parte della popolazione, le cose cambiano. Quando oltre che a
piazza Taksim, per tornare alla Turchia, a scendere in piazza sono
decine di migliaia di persone anche in tante altre parti e piazze del
Paese, allora ciò significa che quello che sta avvenendo non è un
semplice problema di ordine pubblico. Significa che c'è un sentire
comune molto diffuso. E che evidentemente non può essere archiviato, e
prima ancora affrontato, come un caso isolato da reprimere.
Nel momento in cui chi scende in piazza viene considerato, e
trattato, come un "terrorista", allora quando a farlo sono decine e
centinaia di migliaia di persone si dovrebbe a rigore di logica parlare
di un atto terroristico tanto diffuso dal richiedere l'intervento dei
mezzi d'assalto.
Se un governo di un qualsiasi Paese - in questo caso quello turco ma
l'esempio può essere replicato in tanti altri posti del mondo - intende
rispondere a una volontà di popolo così diffusa con il modo in cui lo ha
fatto sino a ora a piazza Taksim, ciò significa che siamo a un cambio
di paradigma. A un salto quantico di metodi e rapporti.
Nel momento in cui si utilizza il termine "terrorista" in un caso del
genere significa che l'atto di comunicazione mediatica, culturale e di
immaginario collettivo proveniente direttamente dai fatti dell'11
settembre, dopo il quale qualsiasi atto di protesta viene fatto passare
per un atto terroristico e dunque da reprimere senza prendere neanche in
considerazione le motivazioni per quanto avvenuto, è sempre più
presente. E questo significa che si vuole far entrare nella percezione
diffusa il concetto, di fatto, che non è mai possibile protestare.
A meno che non lo si faccia con metodi ben definiti. Definiti
ovviamente dal soggetto contro il quale si protesta, che ha inoltre il
potere di decidere autonomamente il punto sino al quale tollera
eventuali dimostrazioni. Se si va oltre quel limite, proprio perché in
caso contrario le proteste sortiscono effetti nulli, allora si viene
tacciati di terrorismo. Siccome contro il terrorismo tutto è permesso,
basta affibbiare tale caratteristica a qualsiasi tipo di protesta che
non si tollera per farla entrare nell'alveo non solo della illegalità,
ma dell'orrore per antonomasia. Contro il quale, ribadiamo, tutto è permesso. Lacrimogeni e pallottole, tanto per rimanere alla cronaca.
fonte: http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2013/6/17/turchia-sono-tutti-terroristi-e-ora-1.html
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