venerdì 3 agosto 2018

British Medical Journal: screening anticancro non salvano vite, anzi aumentano il rischio di morte


In milioni hanno marciato per la causa del cancro. Ancor più milioni hanno ricevuto una diagnosi precoce e quindi credono che lo screening abbia salvato le loro vite. Tuttavia un nuovo studio [articolo del 2016] conferma qualcosa che abbiamo riportato su questa testata [greenmedinfo.com] da quando è nata: in molti casi, lo screening non solo non ha salvato vite, ma in realtà ha aumentato il rischio di morte.

Un nuovo studio estremamente importante pubblicato nel British Medical Journal, titolava:
“Ecco perchè lo screening non ha mai mostrato di salvare vite e cosa possiamo fare per questo”
Lo screening per il cancro non è stato all’altezza della promessa che ha sostenuto  a lungo, ossia quella di “salvare vite”, perché le riduzioni nella mortalità di una malattia specifica non equivale alle riduzioni nella mortalità generale. Ancora peggio, in alcuni casi la mortalità generale in realtà è aumentata a causa dello screening.

Il nuovo studio di Vinay Prasad e colleghi, sostiene che il vero standard di successo in qualsiasi programma di screening contro il cancro, è se i cancri che vengono diagnosticati e trattati in fase iniziale, finiscono poi con l’essere veramente una riduzione della mortalità generale.

Per esempio,  abbiamo riferito ampiamente della erronea e diffusa classificazione come cancro maligno, del carcinoma duttale in situ (DCIS), così come anche della sovrastimata diagnosi del livello epidemico e del trattamento.

A decine di migliaia di donne ogni anno vengono fatte diagnosi di questi cosiddetti cancri al seno allo stadio iniziale, sebbene il National Cancer Institute stesso riconosca che dovrebbe essere classificato come benigno o come lesioni indolenti di origine epiteliale. 

Il The New England Journal of Medicine nel 2012 pubblico’ uno studio che mostra che circa 1,3 milioni di donne avevano avuto una diagnosi di DCIS negli ultimi trent’anni e la più parte aveva ricevuto o la masectomia, o la nodulectomia mammaria,  o la radiazione,  o la chemioterapia o una combinazione di questi.

Ironico il fatto, che molte di queste donne crede ardentemente che le loro vite siano state salvate dallo screening e dal trattamento, Mostrando così di soccombere a ciò che è l’equivalente biomedico della sindrome di Stoccolma, dove identificarsi con l’aggressore, diventa un palliativo.

In realtà, la più parte ha sofferto di un danno irreparabile, ma non dal cancro, piuttosto dagli effetti fisici e psicologici, per aver ricevuto una diagnosi e un trattamento sbagliati.

Siccome alla fine si è trattato di mortalità specifica del cancro al seno (il cancro al seno invasivo non è diminuito ma aumentato con lo screening, indicando cosi una iperdiagnosi), e non di mortalità generale, probabilmente queste vite di donne, a cui era stato diagnosticato il DCIS, sono state stroncate  a causa di programmi di screening. Come minimo, la qualità delle loro vite è stata segnata negativamente e in modo significativo
Ci sono profonde implicazioni in tutto questo.

Come avevamo detto in precedenza la decisione di Anjelina Jolie , di farsi togliere i seni e le ovaie in via preventiva, apparentemente “per ridurre il suo rischio di morte”, ha significato farsi rimuovere parti sane del corpo per prevenire una mortalità specifica legata  alla malattia, ma questo  non ridurrà il rischio generale di mortalità.

Ma l’effetto “Jolie”, è un fenomeno ben assodato. La sua decisione è stata urlata a gran voce al mondo, come passo precauzionale, coraggioso e fondato su evidenza e con decine di migliaia di donne (e alcuni uomini) che hanno seguito l’impresa.

Speriamo che il nuovo studio del BMJ , alzi la bandiera sulla vera attenzione per coloro che abitualmente e acriticamente scelgono di seguire la mentalità da gregge incentrata sulla celebrità. 



I danni significativi di una iperdiagnosi e trattamento da screening si estendono anche agli  uomini.

Per esempio i programmi aggressivi per lo screening alla prostata, eseguiti negli ultimi decenni, hanno finito con il diventare la rimozione e o l’irradiazione di milioni di prostate di uomini.

Uno studio del 2004 ha trovato, ed è scioccante il fatto, che a 200.000 uomini sono state fatte annualmente diagnosi di cancro alla prostata. Tragicamente , nel resoconto del 2013 del National Cancer Institute di cui sopra, si è trovato che il cosiddetto “cancro alla prostata” di primo stadio , è sostanzialmente una lesione benigna, all’interno del tessuto epitelliale prostatico, non meno di cio’ che il DCIS è per i seni delle donne.
 
In altre parole a milioni di uomini è stata fatta una diagnosi di un cancro al primo stadio o di pre-cancro potenzialmente letale, che mai hanno avuto.

Ciononostante, va considerato che persino in caso di lesioni dove ci sia vera preoccupazione per uno stato di malignità del problema, c’è sempre una speranza. Il cancro non è un processo letale inesorabile, gestito da mutazione genetica, che avviene in un ambiente nutrizionale, in un vuoto psico-spirituale-emozionale.

Anziché vederlo come equivalente biologico di un terrorista e tagliare, bruciare e intossicare i tessuti presi di mira (e in modo collaterale tutto il corpo dell’ospitante), dobbiamo abbandonare il modello di guerra della medicina allopatica e adottarne uno, che si concentri sull’intervenire sulle cellule staminali cancerogene in modi non tossici , osservando la cancerogenesi attraverso le lenti del disturbo da “sregolazione informazionale” di vie genetiche ed epigenetiche nella cellula.

Un “disturbo informazionale” contrapposto a quello basato sulla fisiologia e chimica è, ovviamente, piu’ incline ad essere invertito. 

In questa visione, il cancro può essere arrestato nelle sue fasi e persino fatto regredire, posto che insieme alle correzioni informazionali (per esempio approcci “nanofarmacologici” come l’omeopatia, la guarigione energetica, il cibo di alta qualità che contiene altrettanta informazione), il microambiente del tumore possa essere ristabilito a condizioni piu’ sane  attraverso la disintossicazione, le modifiche di stili di vita, interventi sul corpo-mente e sostegno nutrizionale ad alte dosi.

Il nuovo studio ha spiegato come gli screening sulla prostata abbiano creato “morti fuori bersaglio”, primariamente a causa di un’alta percentuale di falsi positivi, di iperdiagnosi di cancri non nocivi (es HGPIN – Neoplasia Prostatica Intraepiteliale di Alto Grado- ) e perché vengono tratte conclusioni accidentali:

Per esempio, un test su un antigene specifico della prostata (PSA) consente molti falsi positivi, cosa che contribuisce ad oltre 1 milione di biopsie alla prostata, ogni anno. Tali biopsie, vengono associate a seri danni, inclusi ricoveri ospedalieri e morte. Inoltre gli uomini a cui viene diagnosticato un cancro alla prostata, è più probabile che abbiano un infarto o si suicidino nell’anno successivo alla diagnosi oppure muoiano di complicazioni per il trattamento contro dei cancri, che avrebbero potuto non causare mai dei sintomi.

Cosa ulteriormente scioccante, è che lo screening alla prostata basato sul PSA, ha un tasso di falso positivo di circa il 75%. Sulla base di questi dati ovviamente, non c’è nulla di specifico sul test dell’antigene “specifico” della prostata ed è questa la ragione per cui la Task Force dei Servizi di Prevenzione degli Stati Uniti , ora è fortemente contraria a questo.

  
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PER SAPERNE DI PIU’: QUI l’intervista a Vinay Prasad dal British Medical Journal

fonte:
 

By: Sayer Ji, Founder
http://www.greenmedinfo.com/blog/cancer-screening-has-never-saved-lives-bmj-study-concludes-1




traduzione e sintesi Cristina Bassi per www.thelivingspirits.net
https://www.thelivingspirits.net/british-medical-journal-screening-anticancro-non-salvano-vite-anzi-aumentano-il-rischio-di-morte/ 


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