Foto, filmati e commenti dell’attentato
contro Maduro, presidente del Venezuela, nel corso di una parata militare,
attuato da due droni che sono esplosi in successione tentando di colpire
Maduro, rimasto illeso e immediatamente protetto e ferendo diversi
militari sulla tribuna.
Sono stati catturati alcuni degli autori
materiali, mentre Maduro ha immediatamente puntato il dito contro l’ultradestra
colombiana, il presidente Santos e gli ambienti reazionari di Miami.
L’attentato alla vita del presidente avviene dopo i due anni di terrorismo
della destra venezuelana guidata e alimentata da Washington, campagna
terroristica sconfitta anche dal voto che una volta di più ha assicurato una
larga maggioranza al chavismo e a colui che in Uccidente viene definito
“dittatore”.
Un dittatore che, come Chavez, è stato confermato, insieme al suo
partito, da una successione di elezioni (di cui solo una persa) giudicate
assolutamente corrette da tutti gli osservatori internazionali.
Maduro nel momento dell’attacco dei droni
Si tratta dell’ennesimo episodio della
rinnovata offensiva degli Usa, accompagnata dai camerieri UE, per ricuperare il
controllo, dominio e sfruttamento di quello che, da Monroe in poi, giudicano
loro “cortile di casa”, offensiva nel corso della quale, oltre ad
attivare le solite Ong dei “diritti umani e civili”, note anche da noi nel
Mediterraneo per il trasferimento di popolazioni in eccesso, per gli interessi
delle multinazionali, il regime di Washington, che si dice impegnato nella
“lotta al terrorismo”, impegna tutti gli arnesi del terrorismo, delle
criminalità organizzata, del teppismo violento malavitoso, per destabilizzare i
governi emancipati, progressisti, democraticamente eletti, disobbedienti al
militarismo e al neoliberismo yankee.
Non va trascurato in questa vera e
propria campagna di sociocidio e nazionicidio, la sedizione violenta innescata
in Nicaragua dagli stessi autori del colpo di Stato che ha reso l’Honduras il
paese più repressivo e con il più alto tasso di violenza del Centroamerica e il
Paraguay una enorme base militare ed economica degli Usa.
Il
“manifesto”, a questo proposito, si è distinto per l’incredibile faziosità
filoimperialista con la quale in una serie di paginoni di un inviato
incondizionatamente schierato con il movimento impegnato ad abbattere il
governo sandinista, ha fornito ai suoi poveri lettori un quadro perfettamente
aderente a quello disegnato dai golpisti del Dipartimento di Stato.
Ignorando ogni
voce della parte sandinista ed esaltando una “rivoluzione di popolo democratica
contro il regime totalitario di Daniel Ortega”, questo organo della “sinistra”
assistenzialista del globalismo imperialista e delle sue operazioni di regime
change si è rivelato addirittura più disonesto e fazioso dei “mainstream”
media tradizionalmente atlantisti e sostenitori di ogni cosiddetta “rivoluzione
colorata”.
Le varie Ong e associazioni impegnate
nel golpe strisciante in Nicaragua sono state tutte scoperte legate a doppio
filo alle centrali della destabilizzazione Usa, come USAID, National
Endowment for Democracy (NED), la vetrina ufficiale per le operazioni sporche
della CIA), Republican International Institute, Council for Foreign Relations.
Tutte entità impegnate nel continente latinoamericano per riportare i paesi
ricchi di risorse ambite dalle multinazionali nordamericane e UE
alla situazione della famigerata operazione Condor, quando l’America
Latina era stata affidata a sanguinari dittatori al servizio degli interessi
statunitensi come Pinochet, VIdela, Somoza, Duvalier e altri in tutto il
continente.
Con il “manifesto” che avallava le cifre inventate dai rivoltosi
nicaraguensi, capeggiati dalle università private e da una gerarchia
cattolica che, pretendendo di favorire il dialogo proposto dal governo,
sosteneva invece apertamente il terrorismo della teppa armata che incendiava
sedi sandiniste, strutture statali, scuole, cliniche e assassinava
poliziotti e sostenitori del governo. Circolano video in cui si vedono preti
cattolici partecipare alle aggressioni ai militanti sandinisti e addirittura
torturarli, sandinisti torturati e poi bruciati vivi. La lezione statunitense
di Al Qaida e Isis applicata nell’altro emisfereo.
Un dato non manipolato, frutto di una
ricerca indipendente, “Monopolizzare le morti”, relativo alle vittime degli
scontri che si sono succeduti da aprile a giugno e che fino a maggio
avevano visto osservato l’ordine di Ortega alle forze di sicurezza
di non utilizzare armi da fuoco, smentisce quanto “il “manifesto” e le
fonti alle quali fornisce generoso avallo, hanno cercato di far credere: 450
vittime, tutte fatte ammazzare da Ortega, come ha dichiarato la congressista
democratica Ileana Ros-Lehtinen, noto falco bellico. Cifra poi ridimensionata
dal vicepresidente Pence in 350 e passa e, ulteriormente, dall’agenzia di
comunicazione del Dipartimento di Stato, Human Rights Watch, a 300
manifestanti.
Numeri che sono stati diffusi da due Ong
del Nicaragua, il Centro Nicaraguense per i diritti umani (CENIDH),
l’Associazione Nicaraguense per i diritti umani (ANPDH), e la Commissione
Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), una grottesca struttura totalmente
sotto controllo di Washington, già all’opera in Venezuela, Bolivia, Ecuador,
Cuba.
Ebbene la ricerca indipendente ha potuto provare, alla mano non di cifre
sparate a caso, ma di casi e nominativi singoli, che in ognuno
di quei numeri erano compresi anche vittime sandiniste del fuoco dei terroristi
(almeno la metà del totale), passanti, persone morte in accidenti del traffico,
nominativi replicati.
Entrambe le organizzazioni per i diritti umani impegnate
a manipolare quei fatti e quei dati a cui “il manifesto” e la stampa
dell’establishment occidentale hanno dato piena diffusione, sono risultate
destinatarie di finanziamenti statunitensi: NED, Open Society di Soros, USAID e
altri, gli stessi che a suo tempo finanziarono il terrorismo Contras.
Incidentalmente, Il manifesto è anche
quello che ha sostituito con cronache cerchiobottiste sulla crisi scatenata
dagli Usa e dai suoi agenti locali l’ottima conoscitrice e corretta
comunicatrice sul Venezuela, Geraldina Colotti, e che non ha nulla da
denunciare sul passaggio dell’Ecuador dallo schieramento antimperialista
dell’ALBA alla rinnovata sottomissione agli Usa e che esalta il progressismo di
Pepè Mujica in Uruguay, cioè di un presidente che, al netto della sua celebrata
modestia in fatto di stipendio e abitazione, aveva messo il suo paese a
disposizione delle scorrerie del capitale nordamericano e delle sue basi
militari.
Ed è anche quello che riferisce a denti serrati la vittoria di Imran
Khan in Pksitan: nuovo primo ministro amico di Pechino e fortemente critico
della politica Usa nella regione, come appare sconvolto che in Zimbabwe abbia
vinto (ovviamente con i “brogli”) lo Zanu-PF di Mnangagwa, cioè i prosecutori della politica anticolonialista
di Zimbabwe, quelli che si erano permessi di distribuire la terra fertile del
paese, requisita dai coloni britannici, ai loro titolari zimbabwiani, e non i
favoriti dagli ex-padroni coloniali del Movimento per il Cambiamento
Democratico del filo-occidentale Chamisa.
L’attentato contro Maduro,
attribuito con logica storica e attuale al regime di Santos in Colombia,
dove determinano le sorti del paese e della sua politica internazionale le
sette basi militari Usa, rappresenta un brusco innalzamento dell’asticella
della sovversione nordamericana.
Fallita di fronte alla determinazione
popolare, come è fallita in Nicaragua, la destabilizzazione del Venezuela,
subito addirittura il contraccolpo messicano della vittoria di Lopez Obrador, a
dispetto del boicottaggio collateralista di quanto rimane dell’operazione
zapatista chapaneca, sprofondata in crisi profonda l’Argentina ricuperata al
“cortile di casa” con Macrì, in pieno marasma sociale i fidati
Perù, l’Ecuador sottratto alla revolucion ciudadana di Correa,
l’Honduras di un regime stragista, l’attenzione dei necrofagi di Washington,
più dello Stato Profondo anti-Trump che dello stesso volatile presidente, si
concentra nuovamente sul protagonista principale della prospettiva di emancipazione
del continente, il Venezuela insoumise.
Di fronte a questi importantissimi
sommovimenti geopolitici, che poi riguardano il destino di schiavitù o di
libertà di centinaia di milioni di persone, la sedicente sinistra si pone a
disposizione dell’imperialismo.
Coloro che dovrebbero invece schierarsi a
fianco delle nazioni aggredite o minacciate, quelli che, combattendo il
globalismo dell’ élite mondialista come nemico di classe principale, nemico
dell’uomo tout court, sono
tornati saggiamente agli Stati nazionali e alla sovranità popolare, diciamolo
pure: al “Patria o muerte” del primo castrismo e di tutte le lotte di
liberazione nazionale anticolonialista tacciono.
Fulvio Grimaldi
fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2018/08/usa-scatenati-in-america-latina.html
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