Abbiamo visto che la
logica omosessualista accusa di (presunta) omofobia tutti quelli che si
presentano come difensori dei diritti naturali dei minori.
Si basa per lo più su fallacie logiche: argumentum ad hominem, avvelenamento del pozzo, ma anche “dello spaventapasseri“, come magari avremo modo di mostrare in seguito.
Così, gli attivisti Lgbt attaccano preventivamente i sostenitori della famiglia naturale considerandoli “omofobi”: persone con pregiudizi che vogliono limitare le libertà ed i diritti altrui.
Abbiamo anche visto che il
linguaggio è importantissimo, i termini utilizzati vincolano in profondità la
logica degli argomenti e non dovremmo mai utilizzare una sola parola di questo
nuovo folle dizionario senza prima averne discusso il significato e senza prima
aver mostrato quale logica tali neologismi sottendono.
Quando si viene attaccati come persone, quando si è vittime di pregiudizi, si dovrebbe sempre rispondere, punto per punto.
Magari in questo modo:
1) non è affatto un pregiudizio sostenere che per tutti gli esseri umani è di fondamentale importanza nascere e crescere all’interno di una famiglia dove le figure genitoriali madre-padre assumono delle caratteristiche simboliche, strutturanti e formative che vanno al di là dell’affetto del caregiver (poco più che una baby sitter) e dell’amore che ogni genitore è naturalmente spinto a riservare al bimbo. Oltre al principio dell’evidenza naturale esiste una montagna di studi a conferma di questo incontrovertibile dato di fatto.
2) Il pregiudizio è, casomai, affermare contro l’evidenza che i bambini non hanno bisogno di un padre e di una madre. Dovremmo allora parlare non più di “omofobia“, ma casomai di “eterofobia” e di “genofobia“.
3) Al contrario di quanto sostengono le associazioni genofobe (o genofobiche), l’evidenza, l’esperienza comune, ma anche l’intera storia della psicologia mostrano che il bambino ricerca continuamente dei punti di riferimento saldi che lo aiutino a orientarsi nella crescita, prima di tutto nella sua storia onto-genetica e da tutto il seguito che da questa deriva, a partire dalla complementarietà di padre e madre che sono oggettivamente all’origine del processo generativo. Tutto il resto è supposizione e congettura, più o meno fantasiosa.
4) E’ dunque falso e contro il principio dell’evidenza naturale affermare che al bambino non vadano indicati quelli che vengono definiti i ruoli di genere.
5) E’ altresì falso sostenere che, per la crescita del bambino, avere un padre o non averlo sia la stessa cosa. Anche in questo caso, oltre al principio dell’evidenza naturale esiste un’infinità di studi a conferma di questa evidenza basilare, che ciascuno ha sperimentato in prima persona.
Affermazioni genofobiche
come “il bambino non ha alcuna esigenza della figura materna” non dovrebbero
rimanere impunite o quantomeno dovrebbero venire condannate, anche dall’opinione
pubblica.
La genofobia non è solo una generica avversione alla riproduzione sessuale ma sta diventando una vera e propria filosofia di vita, un atteggiamento mentale che si diffonde sempre di più tra gay e etero indistintamente.
Sono sempre di più le
persone che confondono l’amore e l’affetto con i bisogni che un bambino ha prima
dei sentimenti. Sono bisogni concreti, fisici, biologici. E’ superfluo citare
qualsiasi ricerca sull’argomento: la formazione fisica e psichica del bambino,
che iniziano nell’utero della madre e continuano dopo la nascita, sono
antecedenti e primarie rispetto all’affetto e alle cure amorevoli.
La corretta formazione delle ossa del cranio o le sane correlazioni tra il
bambino e la coppia padre-madre sono l’attrezzatura, il patrimonio che lui
utilizzerà nella vita. E’ ovvio che un difetto fisico, come un contesto
familiare difficile o la mancanza di una o ambedue le figure genitoriali non
impediranno al bambino di cercare delle soluzioni di crescita alternative. Ma è
altrettanto ovvio che nessuna persona sana di mente danneggerebbe
volontariamente un organo del bambino perché “tanto forse crescerà bene lo
stesso”. Così a nessuno dovrebbe venire in mente di sottrarre volontariamente ad
un bambino, una o ambedue le figure genitoriali perché “tanto forse crescerà
bene lo stesso”.
Alessandro Benigni
- tratto da www.notizieprovita.it
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