E',
infatti, un bluff la minaccia rivolta all'Europa di poter risolvere
problemi greci appoggiandosi alla Russia. Di certo, considerato
l'atteggiamento ufficiale comunitario nella crisi ucraina, Putin non
disdegnerebbe aiutare uno dei (pochi) Paesi che si oppone
all'inasprimento delle sanzioni, e l'ipotesi di dividere tra loro i
Paesi europei è ugualmente una strada su cui, da sempre, operano sia gli
USA sia l'allora Unione Sovietica. Il problema è, come vedremo, che non
saranno né i cinque miliardi di anticipo per il futuro transito di
Turkish Stream (sempre che sia realizzato, considerato l'ondivago
atteggiamento turco) né qualche altro miliardo che potrebbe seguire a
risanare il disastrato bilancio di Atene.
La difficoltà dei greci ad accettare le condizioni imposte dai partner sta nel fatto che Syriza è stata votata con il preciso mandato di chiudere con l'austerità e, quindi, ottenere l'azzeramento non oneroso dei debiti per ricominciare a rilanciare spese pubbliche e consumi privati. Se il governo Tzipras venisse meno a questo impegno con i propri elettori, potrebbe perdere immediatamente la propria maggioranza in Parlamento e, in caso di nuove elezioni, lasciare spazio a un'altra forza antisistema magari, se possibile, ancora più estremista nei programmi.
Per ora si è deciso di allontanare la decisione di qualche giorno al fine, ufficialmente, di dare tempo a Varufakis di lanciare nuove proposte per ridurre la spesa pubblica, eliminare gli sprechi (tanti) e riformare l'amministrazione pubblica. Tuttavia, con una disoccupazione già a livelli oltre il sopportabile, una fuga di capitali che da dicembre fino a oggi ha toccato i venti miliardi di euro in uscita dalle banche greche e una miseria sempre più diffusa, chiedere ai greci altri sacrifici significherebbe aprire al rischio di un'estesa rivolta sociale.
Ciò che non si dice è che Il debito greco non si ferma a quei poco più di cinque miliardi da ripagare entro fine Maggio. Prima della fine, prevista per Giugno, dell'attuale bailout, la Grecia deve ancora ripagare altri 3 miliardi e mezzo di cui 1,5 al Fondo Monetario Internazionale. In luglio deve trovare altri 6 miliardi divisi come segue: 2 per il pagamento per i propri bond in scadenza, 500 al FMI e 3,5 come restituzione di prestiti europei. Non è finita: in agosto deve 4 miliardi e 200 milioni, in settembre ancora 1 miliardo e mezzo, in ottobre poco meno di 500 milioni e a dicembre 1 miliardo e 200. Dove e come trovarli?
Considerato tutto questo, se persiste la necessità di ripagare i
debiti, per la Grecia è impossibile sopravvivere all'interno del mercato
unico europeo e l'unica sua speranza è proprio quella di rinunciare
alla moneta unica, chiudere le frontiere ed erigere nuove barriere
doganali. La conseguente svalutazione della nuova dracma farebbe
rinascere qualche attività economica interna non più in competizione
insostenibile con prodotti degli altri Paesi europei. E se proprio i
debiti pubblici dovranno essere pagati, si farà come fece Orban
in Ungheria per i debitori privati: si obbligheranno cioè i creditori ad
accettare la conversione forzosa del debito, già in euro o in dollari,
nella nuova dracma. Forse il vero bluff di Varufakis, il calcolo del suo
Governo, è che non sia la Grecia a chiedere l'uscita dall'euro ma
guadagnare tempo fingendo collaborazione ed esasperare i partner europei
fino a obbligarli a espellere il Paese assumendosi la colpa della
decisione.
Comunque sia, se ciò accadesse, la speculazione internazionale comincerebbe allora a giocare con i bond di Spagna e Italia, cominciando dal debolissimo Portogallo. Che cosa potrà fare allora il bravo Draghi per contrastare quel nuovo attacco?
Ma, soprattutto, se dopo l'abbandono della moneta unica, l'economia greca cominciasse a riprendersi davvero, ciò ringalluzzirebbe tutti i partiti anti-euro e anti — Europa che già banchettano sul malcontento popolare causato dalla crisi economica generale.
L'Europa era nata sulla convinzione che il mercato comune avrebbe aiutato lo sviluppo di tutti i membri indifferentemente. Questa crisi ha dimostrato invece che, senza un salto di qualità politico, il persistere della ricerca di interessi puramente nazionali finisce col favorire solo i Paesi più forti a scapito dei deboli. Fino a che le svalutazioni delle monete nazionali potevano ovviare, almeno in parte, alle diverse virtù dimostrate da popoli e Governi le penalizzazioni per i più inefficienti venivano minimizzate. Con la moneta unica e senza alcuna forma di solidarietà transnazionale, i più virtuosi, come la Germania, traggono il beneficio dall'assenza di barriere doganali mentre i più deboli diventano solo un mercato di sbocco per le merci dei primi. Illusi da un benessere solo apparente consumano, s'indebitano e, alla fine, o falliscono o devono imporre ai propri cittadini sacrifici cui non sono più abituati.
Anche l'Europa però bleffa quando afferma, e
subito dopo smentisce, che si stia già pensando a un'uscita della Grecia
dall'euro. Non che questo sia impossibile, anzi è probabile che le
circostanze possano obbligare il percorrere questa via ma tutti sanno
che una rinuncia della Grecia all'euro avrebbe serie conseguenze anche
per altri Paesi. Infatti, l'atto implicherebbe automaticamente l'uscita
dall'Unione Europea con ricadute monetarie e istituzionali tali da
mettere a rischio la tenuta di tutta l'Unione. Senza escludere che se la
Grecia uscisse da entrambi potrebbe risentirne la stessa Nato.
©
Sputnik. Vitaly Podvitski - This Is Tsipras!
La difficoltà dei greci ad accettare le condizioni imposte dai partner sta nel fatto che Syriza è stata votata con il preciso mandato di chiudere con l'austerità e, quindi, ottenere l'azzeramento non oneroso dei debiti per ricominciare a rilanciare spese pubbliche e consumi privati. Se il governo Tzipras venisse meno a questo impegno con i propri elettori, potrebbe perdere immediatamente la propria maggioranza in Parlamento e, in caso di nuove elezioni, lasciare spazio a un'altra forza antisistema magari, se possibile, ancora più estremista nei programmi.
Per ora si è deciso di allontanare la decisione di qualche giorno al fine, ufficialmente, di dare tempo a Varufakis di lanciare nuove proposte per ridurre la spesa pubblica, eliminare gli sprechi (tanti) e riformare l'amministrazione pubblica. Tuttavia, con una disoccupazione già a livelli oltre il sopportabile, una fuga di capitali che da dicembre fino a oggi ha toccato i venti miliardi di euro in uscita dalle banche greche e una miseria sempre più diffusa, chiedere ai greci altri sacrifici significherebbe aprire al rischio di un'estesa rivolta sociale.
Ciò che non si dice è che Il debito greco non si ferma a quei poco più di cinque miliardi da ripagare entro fine Maggio. Prima della fine, prevista per Giugno, dell'attuale bailout, la Grecia deve ancora ripagare altri 3 miliardi e mezzo di cui 1,5 al Fondo Monetario Internazionale. In luglio deve trovare altri 6 miliardi divisi come segue: 2 per il pagamento per i propri bond in scadenza, 500 al FMI e 3,5 come restituzione di prestiti europei. Non è finita: in agosto deve 4 miliardi e 200 milioni, in settembre ancora 1 miliardo e mezzo, in ottobre poco meno di 500 milioni e a dicembre 1 miliardo e 200. Dove e come trovarli?
L'Europa potrebbe essere disponibile, come
creditrice, ad allungare i termini del pagamento e magari ridurre gli
interessi e forse anche FMI potrebbe fare altrettanto. Non è però solo
una questione di tempi né d'interessi. La realtà sta nel fatto che il
passato benessere greco era possibile perché il Paese ha vissuto, con la
complicità interessata delle banche e delle aziende (soprattutto
tedesche e francesi), al di sopra dei propri mezzi. Oggi con la crisi si
è diffuso il " si salvi chi può" e chiunque riesca a farlo ha già messo
al sicuro i propri risparmi all'estero. Magari nelle stesse banche
francesi e tedesche, una volta così generose nel concedere crediti.
“Еscludo al 100% una Grexit” dichiara il presidente della Commissione UE Jean Claude Juncker
Comunque sia, se ciò accadesse, la speculazione internazionale comincerebbe allora a giocare con i bond di Spagna e Italia, cominciando dal debolissimo Portogallo. Che cosa potrà fare allora il bravo Draghi per contrastare quel nuovo attacco?
Ma, soprattutto, se dopo l'abbandono della moneta unica, l'economia greca cominciasse a riprendersi davvero, ciò ringalluzzirebbe tutti i partiti anti-euro e anti — Europa che già banchettano sul malcontento popolare causato dalla crisi economica generale.
L'Europa era nata sulla convinzione che il mercato comune avrebbe aiutato lo sviluppo di tutti i membri indifferentemente. Questa crisi ha dimostrato invece che, senza un salto di qualità politico, il persistere della ricerca di interessi puramente nazionali finisce col favorire solo i Paesi più forti a scapito dei deboli. Fino a che le svalutazioni delle monete nazionali potevano ovviare, almeno in parte, alle diverse virtù dimostrate da popoli e Governi le penalizzazioni per i più inefficienti venivano minimizzate. Con la moneta unica e senza alcuna forma di solidarietà transnazionale, i più virtuosi, come la Germania, traggono il beneficio dall'assenza di barriere doganali mentre i più deboli diventano solo un mercato di sbocco per le merci dei primi. Illusi da un benessere solo apparente consumano, s'indebitano e, alla fine, o falliscono o devono imporre ai propri cittadini sacrifici cui non sono più abituati.
Nessun commento:
Posta un commento