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'Il Deserto dei Tartari' è il titolo del celebre libro di Dino Buzzati da cui è stato tratto l’intensissimo film omonimo, diretto da Valerio Zurlini. L’atmosfera generale del romanzo, di angosciata rassegnazione in vista di un pericolo lontano ma pressante, ricorda sorprendentemente lo stato d’animo attuale di una umanità relegata in una specie di riserva indiana di proporzioni enormi, i cui confini però si fanno giorno dopo giorno più costrittivi ed impenetrabili.
Alcuni
avvertono l’entità dell’enorme pressione a cui siamo
sottoposti altri invece, pur rendendosene conto, preferiscono
ignorarne la potenza per quieto vivere mentre la stragrande maggioranza
della popolazione vive in uno stato precario, immaginandoselo
invece solido ed inamovibile. Tutta la nostra vicenda terrena,
quella cominciata circa 130.000 anni orsono e che riguarda la nostra
peculiare specie ‘sapiens’, potrebbe ridursi ad uno dei tanti
avvicendamenti che hanno caratterizzato questo straordinario
pianeta. Altre pellicole della magica macchina dei sogni (Hollywood) ci
hanno espressamente comunicato la nostra precarietà sopra
questa sottile lastra di magma raffreddato. Mi riferisco ai film in
cui i dinosauri rinnovavano la loro presenza sul pianeta grazie alle
conquiste dell’ingegneria genetica oppure alle mutazioni
indotte dalla radioattività, ingaggiando con gli umani una strenua
lotta per la sopravvivenza; ne sono uscite davvero parecchie, da GodZilla a Pacific
Rim sino al ben noto Jurassic Park.
Se
dovessimo trarne una lezione o solo un ammonimento, potremmo
facilmente prendere atto come la nostra vicenda terrena sia
instabile e relegata in una nicchia spazio-temporale esigua. Nel Deserto
dei Tartari appare chiaro come siano i Tartari i veri
padroni del territorio che, con i loro tempi lunghi e le loro
modalità misteriose perché sconosciute, rimedieranno presto alle
bramosie occidentocentriche simboleggiate dall’evoluto drappello di
militari dell’impero austroungarico, riprendendosi ciò che
apparteneva loro.
Un
territorio, una mappa, molti punti di vista differenti e molte
percezioni diverse di ciò che era e potrebbe essere. Cosa significa
osservare la realtà dal punto di vista dei Tartari? Che sorpresa rivela
l’immedesimarsi in visioni altrui?
Il
pianeta ci appare sotto attacco, dal nostro punto di vista umano,
ma potrebbe apparire diverso se lo osservassimo con occhi di altra
natura, come ad esempio quelli a pupilla verticale, come i gatti. Allora
saremmo forse in grado di percepire un
ambiente in corso di trasformazione. Un luogo nel
quale agiscono tante forze poderose in grado di ristrutturarlo verso una
dimensione vitale differente e forse neanche inedita. Si
potrebbe partire dall’atmosfera, inseminata com’è tutti i giorni da
tonnellate di nano particolato bio-chimico, oppure procedere verso
l’annichilimento dei DNA compiuto attraverso la diffusione
inarrestabile degli organismi geneticamente ingegnerizzati. Potremmo
procedere osservando la distruzione del nostro mare più esteso,
l’Oceano Pacifico, ad opera di un cosiddetto incidente ad una
centrale atomica, oppure constatando che le amministrazioni si
adoperano per aggiungere veleni neurotossici all’acqua potabile oppure
per inondarci di radioonde fin dalla tenera età, installando
ovunque il pericolosissimo wi-fi (che bella parola,
no?) in contesti una volta considerati immuni dal pericolo come le
scuole, i parchi, le spiagge (!), i bar, etc. etc. … .
Quello che la vile propaganda chiama ‘inevitabile progresso’ è solo morte e distruzione.
Dall’occhio
dei Tartari invece tutto appare meravigliosamente
accordato per promuovere un giusto avvicendamento in questo
contesto, usurpato da bipedi riottosi e pelosi, appartenenti ad altre
culture ed altre ‘nature’.
Siamo
sottoposti infine alle morse mefitiche della tassazione
brutale, dei regolamenti che annichiliscono privati ed imprese,
mentre lo sfacelo pubblico procede a gonfie vele, distruggendo quello
che era rimasto in piedi come la bellezza di alcuni paesaggi
o la presenza di opere d’ingegno e creatività del nostro glorioso
passato.
Mescolare
elementi incompatibili, denaturare le intenzioni,
confondere le menti. Il tutto per operare con comodità, con i lunghi
tempi dei Tartari verso un pianeta rimodellato, silenzioso (agli 'dei' è
sempre piaciuto il silenzio), sterile e freddo come
forse mai lo è stato. Un deserto dei Tartari senza volto, degli
abili manipolatori a livello astronomico, nel quale non ci sarà
purtroppo scampo per nessuno. La sottile malattia che imperversava
nel fortino del romanzo, altro non è che la chiave di lettura del
nostro disagio, una sensazione di estraneità invincibile, una perenne
tensione verso l’autodistruzione. Il nemico è quindi dentro
di noi: è la nostra ignavia, superficialità, cecità. I Tartari
potrebbero attendere millenni prima di riprendersi il loro territorio,
oppure attaccare domattina. Poco cambierebbe per noi, se non
saremmo in grado di emanciparci dal contesto inquinatissimo in cui
svolgiamo vite sbagliate, lontane anni luce dalla tensione verso il
buono ed il bello, in quell’aura felice che nel nostro
recente passato è stata, per pochi felicissimi istanti, l’unica luce
da seguire.
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