IL COMPUTER L'HANNO INVENTATO GLI ITALIANI!
http://www.fondazioneadrianolivetti.it/multimedia_singolo.php?id_multimedia_video=45
http://www.youtube.com/watch?v=MNtB9T0oa18
http://www.youtube.com/watch?v=MNtB9T0oa18
"C’è stato un momento, a metà degli anni ’60 del XX secolo, in
cui un’azienda italiana ebbe l’occasione di guidare la rivoluzione
informatica mondiale, 10 anni prima dei ragazzi della Silicon Valley:
Steve Jobs e Bill Gates. Una rivoluzione tecnologica che aveva le sue
radici in una rivoluzione culturale e sociale, in un modello industriale
pensato al di là di Socialismo e Capitalismo, che il suo promotore,
Adriano Olivetti, aveva cominciato a sperimentare sin dagli anni ’30 a
Ivrea, in provincia di Torino."
Queste le considerazioni che hanno portato il regista Michele Fasano ad avviare un complesso lavoro di ricostruzione storica che da Camillo Olivetti, fondatore della prima fabbrica di macchine per scrivere, conduce lo spettatore ai giorni nostri, facendo riecheggiare le parole di Adriano Olivetti nel discorso ai lavoratori di Pozzuoli del 1955: "Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?"
La Fondazione Adriano Olivetti ha supportato, in vario modo, il lavoro scientifico del regista che iniziò a scrivere la sceneggiatura sin dal 2008, con il Professor Francesco Novara, coautore del volume "Uomini e lavoro alla Olivetti" edito dalla Bruno Mondadori nel 2005.
Il documentario, prodotto dalla Sattva Films è allegato ad un volume in cui sono pubblicati i contributi di: Laura Olivetti, Patrizia Bonifazio, Davide Cadeddu, Beniamino de’ Liguori Carino, Michele Fasano, Marco Maffioletti, Michele Menna, Marco Peroni, Alberto Saibene, Renato Rozzi, Francesco Novara.
Queste le considerazioni che hanno portato il regista Michele Fasano ad avviare un complesso lavoro di ricostruzione storica che da Camillo Olivetti, fondatore della prima fabbrica di macchine per scrivere, conduce lo spettatore ai giorni nostri, facendo riecheggiare le parole di Adriano Olivetti nel discorso ai lavoratori di Pozzuoli del 1955: "Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti?"
La Fondazione Adriano Olivetti ha supportato, in vario modo, il lavoro scientifico del regista che iniziò a scrivere la sceneggiatura sin dal 2008, con il Professor Francesco Novara, coautore del volume "Uomini e lavoro alla Olivetti" edito dalla Bruno Mondadori nel 2005.
Il documentario, prodotto dalla Sattva Films è allegato ad un volume in cui sono pubblicati i contributi di: Laura Olivetti, Patrizia Bonifazio, Davide Cadeddu, Beniamino de’ Liguori Carino, Michele Fasano, Marco Maffioletti, Michele Menna, Marco Peroni, Alberto Saibene, Renato Rozzi, Francesco Novara.
di Marco Pivato*
Entrato in azienda negli anni Venti come
semplice operaio, il primogenito di Camillo, Adriano Olivetti, già nel 1932 ne
viene nominato direttore generale.
L’azienda, nata nel
1908 a poche decine di chilometri da Torino, a Ivrea, è la prima fabbrica
nazionale di macchine da scrivere, destinata a diventare leader nel settore dei
materiali per ufficio e poi in strumenti elettronici all’avanguardia, dalle
telescriventi alle prime macchine da calcolo meccaniche. Dopo la seconda guerra
mondiale e la morte del padre, avvenuta nel 1943, Adriano assume il controllo
dell’azienda, che nel frattempo è sempre più impregnata del carattere del suo
nuovo proprietario e fondatore, nel 1948, del Movimento Comunità.
L’Olivetti – nelle
parole del tesoriere Mario Caglieris – è “una fabbrica fondata su un preciso
codice morale, per il quale il profitto viene destinato. prima di tutto agli
investimenti, poi alle retribuzioni e ai servizi sociali, in ultimo agli
azionisti con il vincolo di non creare mai disoccupazione”.
La scommessa,
professionale e scientifica, di Adriano Olivetti non si limita a confrontarsi
con la concorrenza di quegli scienziati che, negli anni Cinquanta, stanno gettando
le basi dell’informatica moderna, ma si intreccia anche con le dinamiche della
Guerra Fredda.
A cominciare dalla
nomina del giovane ricercatore italo-cinese Mario Tchou alla guida del
costituendo Laboratorio di ricerche elettroniche di Ivrea, nel 1954, poi
trasferito a Barbaricina, vicino Pisa. L’intento del Laboratorio è quello di
gettare le basi progettuali per creare il primo calcolatore elettronico da
destinare al mercato.
Nel 1959 è pronto
Elea 9003 – acronimo di Elaboratore elettronico automatico – terzo prototipo
dopo Elea 9001 ed Elea 9002, nonché il primo calcolatore a transistor
commerciale della storia. Con l’ingresso ufficiale nel campo dell’informatica,
l’Italia entra nel ristretto novero dei Paesi industriali in possesso di mezzi
e conoscenze definite “sensibili”, ma la politica italiana – cerimonie a parte
– non sembra affatto interessata a sostenere e proteggere la nascente industria
informatica.
L’Olivetti non riceve aiuti di Stato ed è anzi lei stessa a
portare le istituzioni nazionali a conoscenza delle potenzialità nel campo
informatico, mentre i concorrenti stranieri, ad esempio negli Stati Uniti,
godono di somme ingenti stanziate dal governo, soprattutto a scopi militari.
In questo scenario,
due eventi tragici danno una svolta al destino dell’informatica italiana. Il
primo è la morte d’infarto, nel febbraio 1960, di Adriano Olivetti. Il secondo,
nel novembre 1961, è l’incidente stradale in cui il pioniere dell’informatica
italiana, Mario Tchou, muore sul colpo.
Secondo Giuseppe Rao,
funzionario diplomatico – una delle rare fonti sui movimenti dell’Olivetti nel
campo dell’elettronica – numerosi elementi lasciano supporre l’esistenza di un
complotto per uccidere Tchou. L’ipotesi è che l’aver affidato ad un “muso
giallo” il compito di condurre l’Italia nei segreti dello strategico mondo
dell’informatica avrebbe destato le preoccupazioni di chi, in quel momento
storico, aveva il maggior interesse a monopolizzarlo o perlomeno a
primeggiarvi, gli Stati Uniti. E, fra l’altro, Mario Tchou era stato contattato
dall’ambasciata cinese perché anche Pechino iniziava ad avviare studi sui
calcolatori.
A prescindere da
qualunque ipotesi complottista, Rao sottolinea comunque che gli Stati Uniti
avevano un enorme interesse a tenere fuori l’Italia nel campo delle ricerche
sui calcolatori, in quanto Paese confinante con l’Impero del Male e contenitore
del più grande partito comunista d’Occidente.
Il modello di
Adriano Olivetti non aveva avuto sostenitori nel mondo politico né, tantomeno,
sostegno da parte di Confindustria, che anzi aveva mal digerito il voto
dell’onorevole Olivetti, determinante per la costituzione del primo governo di
centrosinistra. Franco Filippazzi, collaboratore di Tchou al Laboratorio,
spiega che esso “non era di sinistra e non era di destra, o forse attingeva da
entrambi gli orientamenti, ma di certo si trattava di un modello di capitalismo
(…) certamente in controtendenza ai valori di un’ampia comunità interna alla
DC, solidale invece ai valori ‘atlantici’”.
Fatto sta che la
morte di Adriano e la crisi economica seguita al boom degli anni Cinquanta
portano l’Olivetti a una difficile situazione finanziaria e si fa quindi avanti
un gruppo misto pubblico-privato, il cosiddetto “gruppo d’intervento” formato
da FIAT, Pirelli, Mediobanca, etc. che entra nel capitale dell’azienda di
Ivrea.
Nell’aprile 1964, in
sede di assemblea degli azionisti FIAT, l’allora presidente Vittorio Valletta
rilascia una famosa dichiarazione: l’Olivetti “è strutturalmente solida e potrà
superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però
una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico,
per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può
affrontare”.
Gli ingegneri che
avevano costruito Elea 9003 confluiscono in un nuovo organismo, la Deo, che nel
1965, su decisione del gruppo d’intervento, viene venduto per il 75% alla
multinazionale statunitense General Electric. Con tale vendita – o svendita,
per dirla con le parole di Rao – la politica industriale italiana cede
definitivamente agli Stati Uniti il primato nella ricerca scientifica applicata
all’informatica. Coronato nel 1968 con la cessione agli americani della
restante quota del 25%.
Pier Giorgio
Perotto, altro collaboratore di Tchou e poi inventore della “Programma 101”
(P101), il primo personal computer della storia, meglio conosciuta come
“Perottina”, ha scritto che il “neo” fu estirpato in tragica e assurda
coincidenza con l’avvio della rivoluzione elettronica mondiale.
Luciano Gallino, sociologo
di fama, già dirigente di Olivetti, sostiene che “l’affermazione di Valletta fu
fatta senza alcuna valutazione critica di politica economica. Non fu redatto
alcuno studio, né è mai esistita traccia di una relazione di bilancio sulla
Deo: la scelta di tagliare il settore informatico fu giustificata semplicemente
dal prevalere di una considerazione personale di Valletta e di qualche collega
a cui il resto del gruppo d’intervento non fece obiezioni”.
E, secondo Giuseppe
Rao, è verosimile che sulla vendita alla General Electric ci siano state
pressioni direttamente da parte degli Stati Uniti. Con questi ultimi, del
resto, le aziende del gruppo d’intervento avevano, se non un debito, quantomeno
un vincolo solidale, dato che esse erano state le principali beneficiarie degli
aiuti economici erogati in base al Piano Marshall nel dopoguerra. Pressioni
esplicite da parte americana, affinché si (s)vendesse Deo e l’Italia non
potenziasse il suo sapere nel nuovo strategico settore, ammesse anche dal
tesoriere di Olivetti Mario Caglieris, il quale – interpellato per conoscere i
dettagli dell’affare – si è rifiutato di parlare della vicenda.
*Il miracolo scippato. Le quattro occasioni
sprecate della scienza italiana negli anni sessanta, Donzelli editore, 2011
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