venerdì 17 aprile 2015

Il Linguaggio nella Quarta Via - (testo di Ouspensky, presentato da Claudio Buffa)


"Una delle ragioni della divergenza nella nostra vita fra la linea del sapere e la linea dell'essere, in altri termini, la mancanza di com­prensione che è in parte causa e in parte effetto di questa divergenza, si trova nel linguaggio parlato dalla gente. Questo linguaggio è pieno di concetti falsi, di classificazioni false, di associazioni false. Soprattutto: le caratteristiche essenziali del pensare ordinario, la sua vacuità e la sua imprecisione fanno sì che ogni parola può avere migliaia di signi­ficati differenti, secondo il bagaglio di cui dispone colui che parla, e l'insieme di associazioni in gioco al momento stesso. 

Le persone non si accorgono quanto il loro linguaggio sia soggettivo e quanto le ­che dicono siano diverse, benché impieghino tutte le stesse parole. Non vedono che ognuno parla una lingua sua propria, non compren­dendo affatto o solo in modo vago quella degli altri, e non avendo la minima idea del fatto che gli altri parlano sempre in una lingua a loro sconosciuta. 

Le persone sono assolutamente convinte di avere una lingua comune e di comprendersi reciprocamente, ma, in realtà, questa convinzione non ha il minimo fondamento. 


Le parole delle quali fanno uso sono adattate ai bisogni della vita pratica; possono in tal modo scambiarsi delle informazioni di carattere pratico, ma non appena pas­sano in un campo un po' più complesso, si smarriscono e cessano di comprendersi, benché non se ne rendano conto. 

Le persone credono spesso, o addirittura sempre, di comprendersi o comunque immaginano che potrebbero comprendersi se soltanto volessero darsene la pena; immaginano anche di comprendere gli autori dei libri che leggono e di non essere le sole capaci di questo. È ancora una delle illusioni che si fanno e in mezzo alle quali vivono. In effetti, nessuno capisce gli altri. 

Due uomini possono, con una profonda convinzione, dire la stessa cosa, ma con parole diverse, e discutere all'infinito senza sospettare che il loro pensiero è esattamente lo stesso. Oppure inversamente, due uomini possono usare le stesse parole e immaginare allora di essere d'accordo e di comprendersi, mentre in realtà dicono cose assoluta­mente mente diverse e non si comprendono affatto.

"Prendiamo le parole più semplici, quelle che ritornano costante­mente sulle nostre labbra e cerchiamo di analizzare il senso che viene loro dato: noi vedremo che ad ogni istante un uomo mette in ogni parola un senso speciale che un altro uomo non vi mette mai e che non sospetta neppure.

"Prendiamo la parola “uomo”, per esempio, e immaginiamo una conversazione in cui questa parola ricorra sovente. Senza esagerare, ci saranno per la parola “uomo” tanti significati quante sono le persone presenti, e questi significati non avranno tra loro nulla di comune.

«Pronunciando la parola “uomo”, ognuno se la prospetterà involon­tariamente dal punto di vista dal quale egli guarda l'uomo in generale, o dal quale egli lo guarda attualmente per tale o talaltra ragione. Così una persona può essere preoccupata dalla questione sessuale. Allora la parola “uomo” perderà per essa il suo senso generale e ascoltandola si domanderà subito: Chi? Uomo o donna? Un altro può essere devoto, e la sua prima domanda sarà: cristiano o non cristiano? Il terzo può essere medico, e il concetto “uomo” si ridurrà per lui a sano o malato... e, beninteso, dal punto di vista della sua specialità! 

Uno spiritista pen­serà all'uomo dal punto di vista dal suo “corpo astrale” e della `vita dell'aldilà', ecc., e dirà, se lo si interroga, che vi sono due qualità di uomini, i medium e i non medium. Per un naturalista, il centro di gravità dei suoi pensieri sarà l'idea dell'uomo dal punto di vista del tipo zoologico, egli avrà dunque particolarmente in vista la struttura del cranio, la distanza interoculare, l'angolo facciale... Un uomo di legge vedrà nell' ‘uomo' un'unità statistica, o un soggetto per l'applicazione della legge, un criminale in potenza o un possibile cliente. Un mora­lista quando pronuncerà la parola ‘uomo' non mancherà di introdurvi l'idea del bene e del male. E così di seguito senza fine.

"La gente non nota tutte queste contraddizioni, non vede che parla sempre di cose differenti, che non si comprende mai. È evidente che per degli studi ben condotti, per uno scambio esatto di pensieri, un linguaggio esatto è necessario, un linguaggio che renda possibile espri­mere effettivamente ciò che si vuol dire, che permetta di includere ogni volta una indicazione del punto di vista dal quale si considera un con­cetto dato, affinché il centro di gravità del concetto sia ben determi­nato. Questa idea è perfettamente chiara e ogni ramo della scienza si sforza di elaborare e di stabilire un linguaggio esatto. Ma non esiste una lingua universale. La gente continua a confondere le lingue delle differenti scienze, e non può mai stabilire i loro giusti rapporti. Anche in ciascun ramo della scienza preso isolatamente, nuove terminologie, nuove nomenclature appaiono continuamente. E più vanno avanti le cose, peggio diventano. 

L'incomprensione reciproca, lungi dal dimi­nuire, non fa che crescere, e vi sono tutte le ragioni per pensare che ciò non farà che amplificarsi sempre nello stesso senso. Le persone si comprenderanno sempre meno.
"Per una comprensione esatta, un .linguaggio esatto è necessario. E lo studio dei sistemi dell'antica conoscenza, comincia con lo studio di un linguaggio che permetterà di precisare immediatamente ciò che viene detto, da quale punto di vista è detto, e sotto quale rapporto. 

Questo linguaggio nuovo non contiene per così dire termini nuovi, né nuove nomenclature, ma la sua struttura si basa su un principio nuovo: il principio di relatività. In altri termini esso introduce la relatività in tutti i concetti e rende così possibile una determinazione precisa dell'angolo del pensiero. Giacché il linguaggio ordinario difetta mag­giormente proprio nei termini esprimenti la relatività.

"Quando un uomo ha assimilato questo linguaggio nuovo, allora col suo aiuto possono essergli trasmesse tutte le conoscenze e informazioni che non possono essere trasmesse attraverso il linguaggio ordinario, anche con un grande apporto di termini filosofici e scientifici.

"La proprietà fondamentale di questo nuovo linguaggio consiste nel fatto che tutte le idee si concentrano attorno a una sola idea; vale a dire esse sono tutte prospettate nella loro relazione reciproca, dal punto di vista di una idea unica. Questa idea è l'idea dell'evoluzione. Naturalmente, non nel senso di una evoluzione meccanica, poiché questa non esiste, ma nel senso di una evoluzione cosciente e volontaria. Questa è la sola possibile.

"Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all'uomo e dall’uomo fino all'atomo, che non salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Ma nulla si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò che non può evolversi coscientemente, degenera. L'aiuto esterno non è possibile che nella misura in cui è apprezzato e accettato, anche se esso lo è all'inizio solo dal sentimento.
"Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell'oggetto che si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva.

"A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di questa evoluzione.

"Una volta ancora, prendiamo l'idea dell'uomo. Nel linguaggio di cui parlo, al posto della parola ‘uomo' sono usate sette parole, ossia: uomo n. 1, uomo n. 2, uomo n. 3, uomo n. 4, uomo n. 5, uomo n. 6, uomo n. 7. Con queste sette idee, noi saremo in grado di compren­derci allorché parleremo dell'uomo.

"L'uomo n. 7 è giunto al più completo sviluppo possibile per 1'uomo, e possiede tutto ciò che l'uomo può possedere, come volontà, coscienza, un ‘Io' permanente e immutabile, individualità, immortalità, e una quantità di altre proprietà che nella nostra cecità e nella nostra ignoranza noi ci attribuiamo. Solo fino a un certo punto possiamo capire l'uomo n. 7 e le sue proprietà, così come le tappe graduali per avvicinarci a lui, cioè capire il processo di sviluppo che ci è possibile.
 
"L'uomo n. 6 segue da vicino l'uomo n. 7. Differisce da lui solo per qualcuna delle sue proprietà che non sono ancora diventate permanenti.

"L'uomo n. 5 è anch'egli un tipo d'uomo a noi inaccessibile, perché ha raggiunto l'unità.

"L'uomo n. 4 si trova ad un grado intermedio: ne parlerò in seguito.
 
"Gli uomini n. 1, 2, 3, costituiscono l'umanità meccanica: restano al livello in cui sono nati.

L'uomo n.1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel centro motore. È l'uomo del corpo fisico, in cui le funzioni dell'istinto e del movimento predominano sempre sulle funzioni del sentimento e del pensiero.
 
"L'uomo n. 2 è allo stesso livello di sviluppo, ma il centro di gravità della sua vita psichica si trova nel centro emozionale; è dun­que l'uomo in cui le funzioni emozionali predominano su tutte le altre, è l'uomo del sentimento, l'uomo emozionale.
 
"L'uomo n. 3 è anch'esso allo stesso livello di sviluppo, ma il centro di gravità della sua vita psichica, è nel centro intellettuale; in altri termini, è un uomo in cui le funzioni intellettuali predominano sulle funzioni emozionali, istintive, motorie; è l'uomo che ragiona, che ha una teoria per tutto ciò che fa, che parte sempre da considera­zioni mentali.

“Ogni uomo nasce n. 1, n. 2, n. 3.
 
"L'uomo n. 4 non è nato n. 4, egli è nato 1, 2, 3 e non diventa 4 che in seguito a sforzi di carattere ben definito. L'uomo n. 4 è sempre il prodotto di un lavoro di scuola. Non può nascere tale né svilupparsi accidentalmente: le influenze ordinarie dell'educazione, della cultura, ecc., non possono produrre un uomo n. 4. Il suo livello è superiore a quello dell'uomo n. 1, 2 e 3; egli ha un centro di gravità permanente che è, fatto delle sue idee, del suo apprezzamento del lavoro, e della sua relazione con la scuola. Inoltre, i suoi centri psichici hanno già incominciato a equilibrarsi; in lui, un centro non può più avere una preponderanza sugli altri, come per gli uomini delle tre prime categorie. L'uomo n. 4 comincia già a conoscersi, comincia a sapere dove va.
 
"L'uomo n. 5 è già il prodotto di una cristallizzazione; egli non può più cambiare continuamente, come gli uomini n. 1, 2 e 3. Ma si deve notare che l'uomo n. 5 può essere sia il risultato di un lavoro giusto come il risultato di un lavoro sbagliato. Egli può essere diven­tato n.5 dopo essere stato n. 4 e può essere diventato n.5 senza essere stato n.4. In questo caso, non potrà svilupparsi oltre, non potrà diventare n. 6 e 7. Per diventare n. 6 egli dovrà prima rifondere completamente la sua essenza, già cristallizzata. Dovrà perdere inten­zionalmente il suo essere di uomo n. 5. Ora questo non può essere portato a compimento che attraverso sofferenze terribili. Per fortuna, tali casi di falso sviluppo sono molto rari.

"La divisione dell'uomo in 7 categorie permette di spiegare molte cose che non potrebbero essere comprese altrimenti. Questa divisione è una prima applicazione all'uomo del concetto della relatività. Cose apparentemente identiche, possono essere del tutto differenti, secondo la categoria di uomini da cui dipendono o in relazione alla quale si considerano.

"Secondo questa concezione, tutte le manifestazioni interiori od esteriori dell'uomo, tutto ciò che gli è proprio, tutte le sue creazioni, sono ugualmente divise in sette categorie.

"Possiamo dunque dire che vi è un sapere n. 1 basato sull'imitazione, gli istinti o imparato a memoria, meccanicamente, per ripetizione. L'uo­mo n. 1, se è un uomo n. 1 nel pieno senso di questo termine, acquisisce tutto il suo sapere come una scimmia o un pappagallo.

"Il sapere dell'uomo n. 2 è semplicemente il sapere di ciò che gli piace. L'uomo n. 2 non vuole sapere nulla di ciò che non gli piace. Sempre e in tutto egli vuole qualcosa che gli piaccia. Oppure, se è un uomo malato, è attratto da tutto ciò che gli dispiace, è affascinato dalle proprie ripugnanze, da tutto ciò che provoca in lui l'orrore, lo spavento e la nausea.
 
"Il sapere dell'uomo n. 3 è un sapere fondato su un pensare sog­gettivamente logico, su parole, su una comprensione letterale. È il sapere dei topi di biblioteca, degli scolastici. Per esempio, sono uomini n. 3 quelli che hanno contato quante volte ritorna ogni lettera dell’alfabeto arabo nel Corano, e hanno basato su ciò tutto un sistema di interpretazione.
 
"Il sapere dell'uomo n. 4 è di una specie completamente differente. È un sapere che viene dall'uomo n. 5 il quale l'ha ricevuto dall'uomo , n. 6, il quale l'ha attinto alla sorgente dell'uomo n. 7. Tuttavia è chiaro che l'uomo n. 4 assimila di questa conoscenza solo ciò che è in rapporto con le sue possibilità. Ma a confronto del sapere degli uomini n. 1, 2 e 3, il sapere dell'uomo n. 4 ha incominciato a liberarsi dagli elementi soggettivi. L'uomo n. 4 è in cammino verso il sapere oggettivo.

"Il sapere dell'uomo n. 5 è un sapere totale e indivisibile. L'uomo n. 5 possiede un Io indivisibile e tutta la sua conoscenza appartiene a questo ‘Io'. Non può esserci un ‘io' che sappia qualche cosa senza che un altro ‘io' ne sia informato. Ciò che egli sa, lo sa con la totalità del suo essere. Il suo sapere è più vicino al sapere oggettivo di quanto può esserlo quello dell'uomo n. 4.

"Il sapere dell'uomo n. 6 rappresenta l'integralità del sapere acces­sibile all'uomo; ma può ancora essere perduto.

" Il sapere dell'uomo n. 7 è del tutto suo e non può più essergli tolto; questo è il sapere oggettivo e interamente pratico di Tutto.

"Per quanto riguarda l'essere, succede esattamente la stessa cosa.
 
Vi è l'essere dell'uomo n. 1, vale a dire di colui che vive con i suoi istinti e le sue sensazioni; vi è l'essere dell'uomo n. 2 che vive dei suoi sentimenti e delle sue emozioni; l'essere dell'uomo n. 3, l'uomo della ragione, il teorico, e così di seguito. Si comprende in tal modo perché il sapere non può mai essere molto lontano dall'essere. Gli uomini n. 1, 2, 3 non possono in ragione del loro essere possedere il sapere degli uomini 4, 5 e oltre. Qualsiasi cosa gli sia data, la inter­pretano a modo loro e non potrebbero fare altrimenti che ricondurla al livello inferiore, che è il loro.

"Lo stesso genere di divisione- in 7 categorie è applicabile a tutto ciò che è in rapporto con l'uomo. Vi è un'arte n. 1, che è quella dell'uomo n. 1, un'arte di imitazione, di vana apparenza, oppure gros­solanamente primitiva e sensuale, come la musica e le danze dei popoli primitivi. Vi è un'arte n. 2, un'arte del sentimento; un'arte n. 3 che è intellettuale, inventata; e vi deve essere un'arte n. 4, n. 5, ecc.

"Esattamente allo stesso modo, vi è una religione dell'uomo n. 1, vale a dire una religione fatta di riti, di forme esteriori, di sacrifici e di cerimonie brillanti che possono essere talvolta di imponente splen­dore o al contrario di carattere lugubre, selvaggio, crudele, ecc. E vi è la religione dell'uomo n. 2: la religione della fede, dell'amore, degli slanci, dell'adorazione e dell'entusiasmo, che non tardano a trasformarsi in una religione di persecuzione, di oppressione e di sterminio degli ‘eretici' e dei ‘pagani'. Vi è una religione dell'uomo n. 3, intellettuale e teorica, una religione di prove e di argomenti, fondata su ragiona­menti, interpretazioni e deduzioni logiche. Le religioni n. 1, 2 e 3 sono realmente le sole che noi conosciamo, tutte le confessioni a noi note appartengono all'una o all'altra di queste tre categorie. Per ciò che riguarda le religioni dell'uomo n. 4, 5, 6 e 7, non le conosciamo e non le possiamo conoscere fino a che resteremo ciò che siamo.
 
"Se invece di prendere la religione in generale, noi consideriamo il Cristianesimo, allora vedremo che allo stesso modo esiste un Cristia­nesimo n. 1, in altre parole un paganesimo sotto nome cristiano. Il Cristianesimo n. 2 è una religione di sentimento, talvolta molto pura, ma priva di forza, talvolta ebbra di sangue ed atroce, che conduce all'inquisizione, alle guerre di religione. Il Cristianesimo n. 3 di cui le differenti forme di protestantesimo offrono esempi, si fonda su teorie, su argomenti, su tutta una dialettica, ecc. Poi vi è un Cristianesimo n. 4 del quale gli uomini n. 1, 2, 3, non hanno la minima idea.
 
"Di fatto il Cristianesimo n. 1, 2, 3 non è che un'imitazione este­riore. Solo l'uomo n. 4 si sforza di diventare un Cristiano, e solo l'uomo n. 5 può realmente essere un Cristiano. Perché per essere un Cristiano bisogna avere l'essere di un Cristiano, vale a dire vivere conformemente ai precetti del Cristo.

«Gli uomini n. 1, 2, 3 non possono vivere conformemente ai precetti del Cristo, perché per essi tutto ‘accade'. Oggi è una cosa, domani è un'altra. Oggi essi sono pronti a dare la loro ultima camicia, domani a fare a pezzi un uomo, perché rifiuterà di donare loro la sua. Sono mossi a caso dagli avvenimenti, vanno alla deriva. Non sono padroni di se stessi e per conseguenza non possono decidere di essere cristiani, e esserlo realmente.

"La scienza, la filosofia e tutte le manifestazioni della vita e dell'atti­vità umana possono essere suddivise esattamente nello stesso modo, in sette categorie; ma queste distinzioni sfuggono in genere al linguaggio ordinario, proprio per questo è così difficile per gli uomini comprendersi.

«Analizzando i sensi differenti e soggettivi della parola ‘uomo' abbiamo visto quanto essi siano diversi e contraddittori, e soprattutto quanto velati e nascosti, persino per chi parla, siano i sensi e le sfu­mature -creati dalle “associazioni abituali”- che possono essere messi in una parola.

"Prendiamo per esempio un'altra parola, la parola ‘mondo'. Ciascuno la comprende a modo suo. Ognuno, quando dice o ascolta la parola ‘mondo', ha le sue associazioni particolari, del tutto incomprensibili per gli altri. Ogni ‘concezione del mondo’, ogni forma di pensiero abituale, comporta le proprie associazioni, le proprie idee.

"Per un uomo che ha una concezione religiosa del mondo, un cri­stiano per esempio, la parola ‘mondo' richiama immediatamente tutta una serie di idee religiose, e si associa necessariamente all'idea di Dio, all'idea della creazione del mondo e della fine del mondo, di questo mondo ‘peccatore', e così di seguito.

"Per un seguace della filosofia Vedanta, il mondo prima di tutto sarà illusione, ‘Maya'.
 
"Un teosofo penserà ai differenti ‘piani', fisico, astrale, mentale, ecc.
 
"Uno spiritista penserà al mondo dell'aldilà, al mondo degli spiriti.

"Un fisico vedrà il mondo dal punto di vista della struttura della materia, sarà un mondo di molecole, di atomi, di elettroni.

"Per l'astronomo, il mondo sarà un mondo di stelle e di galassie.

"E poi ancora: il mondo dei fenomeni e quello del noumeno; il mondo della quarta dimensione e di altre dimensioni; il mondo del bene e quello del male; il mondo materiale e il mondo immateriale; il rapporto di forze tra le diverse nazioni del mondo; se l'uomo può essere ‘salvato' nel mondo, eccetera.
 
"Le persone hanno del mondo migliaia di idee diverse, ma manca loro quell'idea generale che permetterebbe di comprendersi l'un l'altro e di determinare subito da quale punto di vista essi intendono consi­derare il mondo.

impossibile studiare un sistema dell'universo senza studiare l'uomo. Allo stesso tempo è impossibile studiare l'uomo senza studiare l'universo. L'uomo è un'immagine del mondo. Egli è stato creato dalle medesime leggi che crearono l'insieme del mondo. Se un uomo cono­scesse e comprendesse se stesso, conoscerebbe e comprenderebbe il mondo intero, tutte le leggi che creano e che governano il mondo. E inversamente, con lo studio del mondo e delle leggi che lo gover­nano, apprenderebbe e comprenderebbe le leggi che governano anche lui. A questo riguardo, certe leggi sono comprese e assimilate più facilmente con lo studio del mondo oggettivo, e certe altre non pos­sono essere comprese che attraverso lo studio di sé. Lo studio del mondo e lo studio dell'uomo devono quindi essere condotti parallela­mente, l'uno aiutando l'altro.

"Per quello che è il senso della parola ‘mondo', bisogna compren­dere in primo luogo che vi è una molteplicità di mondi, e che noi viviamo non in un mondo unico, ma in parecchi mondi. 
Questa idea è difficile da afferrare, perché nel linguaggio ordinario, la parola ‘mondo' è usata generalmente al singolare.. E se il plurale ‘mondi' è usato, lo è solamente per sottolineare comunque la stessa idea o esprimere l'idea di mondi differenti, esistenti parallelamente gli uni agli altri. Il linguag­gio abituale non comporta l'idea di mondi contenuti gli uni negli altri. D'altronde, l'idea che noi viviamo in mondi differenti implica preci­samente dei mondi contenuti gli uni negli altri, coi quali noi siamo in relazioni differenti

"Se cerchiamo la risposta alla domanda: che cos'è il mondo o i mondi nei quali viviamo, dobbiamo primadi tutto domandarci qual è a mondo che ci concerne più intimamente o immediatamente.

"A ciò possiamo rispondere che diamo sovente nome di mondo al mondo degli uomini, all'umanità della quale noi facciamo parte. Ma l'umanitàè parte integrante della vita organica sulla terra. Per con­seguenza, sarà giusto dire che il mondo più vicino a noi è la vita orga­nica sulla terra, il mondo delle piante, degli animali e degli uomini.

"Ma la vita organica è compresa nel mondo.. Che cosa è dunque il mondo per la vita organica? Il mondo per la vita organica è il nostro pianeta, la terra.

"Ma anche la terra è nel mondo. Che cosa è dunque il ‘mondo' per la terra? Il mondo per la terra è il mondo dei pianeti, del sistema so­lare di cui la terra fa parte.

"Cos'è il ‘mondo' per tutti i pianeti presi insieme? Il sole, o l'in­fluenza della sfera solare o il sistema solare di cui i pianeti fanno parte.
 
"Per il sole a sua volta “il mondo” è il mondo delle stelle o la Via Lattea, un ammasso enorme di sistemi solari.
 
“E più lontano ancora, da un punto di vista astronomico, è del tutto possibile presumere l'esistenza di una moltitudine di mondi a distanze enormi gli uni dagli altri, nello spazio di “tutti i mondi”. Questi mondi presi insieme saranno il ‘mondo' per la Via Lattea.

"E adesso, passando a conclusioni filosofiche, noi possiamo dire che “tutti i mondi” devono formare, in qualche modo sconosciuto a noi e incomprensibile, una “Totalità” o una ‘Unità' (come una mela è un'unità). Questa Totalità o questa Unità, questo Tutto, che può essere chiamato “l'Assoluto” o`1'Indipendente', perché, includendo tutto in se stesso, non dipende da nulla, è`mondo' per “tutti i mondi”. Logicamente è possibile concepire uno stato di cose in cui il Tutto formi una sola Unità. Una tale Unità sarà certamente l'Assoluto, ossia l'Indipendente, poiché essendo Tutto non può non essere indivisibile e infinito.

"L'Assoluto, vale a dire quello stato di cose in cui l'Insieme costi­tuisce un Tutto, è lo stato primordiale, fuori dal quale, per divisione e differenziazione, sorse la diversità dei fenomeni che noi osserviamo.
 
"L'uomo vive in tutti i mondi, ma in modi differenti.

"Ciò significa che egli è prima di tutto influenzato dal mondo più vicino, con il quale vive in contatto immediato, giacché ne fa parte. I mondi più lontani, anch'essi influiscono sull'uomo, sia direttamente, sia attraverso i mondi intermedi, ma la loro azione diminuisce in ragione diretta della loro lontananza o dall'aumento della differenza tra essi e gli uomini. Come vedremo più tardi, l'influenza diretta dell'Assoluto non raggiunge l'uomo. Ma l'influenza del mondo immediatamente con­secutivo, quella del mondo delle stelle, è già del tutto evidente nella vita dell'uomo, benché la ‘scienza' certamente non ne sappia nulla".


Con queste parole G. terminò la sua esposizione.

“Frammenti di un insegnamento sconosciuto” di P.D.Ouspensky ed.Astrolabio pag.80


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