Nell'agosto 1971 lo psicologo sociale Philip Zimbardo condusse un sinistro esperimento presso la Stanford University, il cui esito ancora oggi lascia atterriti per via di ciò che rivelò sul lato oscuro della natura umana. Nel libro L'Effetto Lucifero: Quando i Buoni Diventano Cattivi (edizioni Random House), Zimbardo rievoca nel dettaglio i giorni dello Stanford Prison Experiment.
La storia narra di come un allegro gruppetto di ragazzi della classe media si sia trasformata in una banda di sadici aguzzini nel corso di un esperimento psico-sociologico. La mutazione fu talmente radicale che l'esperimento dovette essere interrotto prematuramente a causa della pericolosa deriva in cui stava rapidamente scivolando.
La storia narra di come un allegro gruppetto di ragazzi della classe media si sia trasformata in una banda di sadici aguzzini nel corso di un esperimento psico-sociologico. La mutazione fu talmente radicale che l'esperimento dovette essere interrotto prematuramente a causa della pericolosa deriva in cui stava rapidamente scivolando.
Gli Orrori di Abu Ghraib.
Nel 2004 Zimbardo prestò servizio come perito della difesa in un'udienza del processo contro i carcerieri del centro di detenzione iracheno di Abu Ghraib. Tutti noi nel maggio 2004 abbiamo visto le foto di giovani militari americani che esercitavano forme inimmaginabili di tortura
sui civili che avrebbero dovuto sorvegliare. Gli abusi furono
documentati da molte foto scattate dai militari stessi nel corso delle
torture. Le immagini mostrano punzonature, schiaffi e calci ai detenuti;
scene in cui sono calpestati e tenuti nudi e incappucciati, in cui i
maschi sono obbligati a simulare atti erotici o trascinati con un
guinzaglio attaccato al collo, oppure terrorizzati dal contatto con cani
da attacco privi di museruola.
Nel suo libro il dott. Zimbardo fornisce una dettagliata analisi degli sconcertanti eventi di Abu Ghraib ricavata dagli elementi risultanti dai rapporti investigativi, da una serie di interviste raccolte personalmente, e da centinaia di foto mai pubblicate.
Nel suo libro il dott. Zimbardo fornisce una dettagliata analisi degli sconcertanti eventi di Abu Ghraib ricavata dagli elementi risultanti dai rapporti investigativi, da una serie di interviste raccolte personalmente, e da centinaia di foto mai pubblicate.
Ecco come Zimbardo ha parlato durante l'udienza.
"Gli eventi di Abu Ghraib mi hanno scioccato, ma non mi hanno sorpreso. I media e la gente di ogni parte del mondo si sono chiesti come sia potuto accadere che un gruppo di soldati selezionati, di entrambe i sessi, avessero potuto compiere azioni di siffatta malvagità. I vertici militari si sono affrettati a bollarli come 'canaglie' e 'mele marce.' Da parte mia invece mi sono subito chiesto che tipo di situazioni in quel blocco avessero condotto quei soldati a compiere azioni così degeneri.
La ragione per cui le immagini e le storie degli abusi di Abu Ghraib non mi hanno sorpreso, è che 30 anni fa assistei a scene molto simili nel corso di un esperimento che condussi personalmente presso la Stanford University: prigionieri denudati, incatenati, incappucciati, calpestati, umiliati e ridotti in uno stato di stress estremo. Alcune immagini del mio esperimento sono praticamente intercambiabili con le foto della prigione irachena."
L'Effetto Lucifero.
Il titolo del libro: L'Effetto Lucifero, si riferisce al processo di trasformazione dal bene al male che il mito attribuisce all'angelo più luminoso e prediletto da Dio. L'analogia fornisce lo spunto per dibattere delle trasformazioni umane dal bene al male. L'argomento intorno a cui ruota l'intero testo di Zimbardo è che il comportamento umano non sia solo il frutto della natura dell'individuo, ma anche dell'influenza di una serie di 'fattori situazionali e sistemici' che modellano il modo di agire individuale, a volte in maniera drastica. Il sociologo invita a prenderli seriamente in considerazione affinché gli individui appartenenti a qualsiasi gruppo, o detentori di qualsiasi tipo di potere, che vivano in una cultura imperfetta come la nostra, possano prendere le dovute precauzioni contro tali invisibili, ma spesso nefaste influenze 'oggettive.' Il libro è una sorta di accorata esortazione a tenere sotto stretto controllo oltre che se stessi e le proprie pulsioni, anche le leadership di ogni organizzazione, dagli stati, alle multinazionali, alle lobby politiche e religiose.
Le tre sfere di influenza considerate da Zimbardo sono: persona, situazione, e sistema.
Persona.
L'individuo agisce in funzione delle personali ambizioni e motivazioni, spesso dettate dalla cultura e dalla casualità. Quanto più immorale è la cultura in cui la persona si trovi ad agire, maggiori sono le possibilità che in presenza di talune circostanze situazionali e sistemiche essa agisca immoralmente. Una delle situazioni più comuni capaci di innescare l'Effetto Lucifero è l'esercizio del potere. Il potere per affermare se stesso deve sottomettere, con le buone o con le cattive. Scegliere la strada del potere significa scegliere di agire in accordo a una serie di imperativi e logiche auto-conservative che spesso comportano il sacrificio della persona sull'altare del ruolo, determinando la scissione tra coscienza e individuo.
Situazione.
Tali imperativi e logiche sono definiti da Zimbardo: situazioni. Le situazioni non influenzano solo il potere. Un cittadino oppresso da una situazione economica precaria si comporta in modo diverso da un cittadino benestante. Un cittadino socialmente integrato agisce in modo diverso da un cittadino emarginato. Un cittadino felice è diverso da un cittadino disperato. Un cittadino che goda della facoltà di esercitare una forma di potere sul proprio prossimo agisce in modo diverso da uno costretto a subire il potere altrui.
Secondo Zimbardo le forze situazionali governerebbero ogni apparato egregorico in cui si riduca la responsabilità del singolo. Quando le persone si sentono al servizio di qualcosa di 'più grande' che le include, sono indotte facilmente ad assumere comportamenti antisociali.
I soggetti che si sentono appartenenti ad un gruppo di potere - ad esempio un contingente militare o di polizia, una multinazionale, un'ideologia, una lobby - secondo Zimbardo vivono in un eterno presente in cui passato e futuro sono percepiti come elementi remoti e irrilevanti. Le emozioni dominano la ragione, e le azioni la riflessione.
Sistema.
Ogni fattore situazionale è prodotto dal sistema in cui prende forma. Per poter funzionare, un sistema basato sul debito deve produrre cittadini e nazioni indebitati; è fisiologico. Un sistema basato sul liberismo darwinista, sul centralismo, il verticismo e la disparità non può che generare situazioni di frizione ed emarginazione. L'apparato di potere avendo accesso al quadro di comando del sistema, se non adeguatamente sorvegliato tenderà a modellarne la struttura in funzione della propria auto-tutela e contro l'interesse generale. La principale forma di auto-tutela del potere consiste nella creazione di strumenti tramite cui consolidare e accrescere la distanza tra il potere e il non potere. Un sistema in cui la sopravvivenza della persona umana non fosse subordinata al possesso di denaro - ad esempio - priverebbe il potere di un formidabile strumento di controllo, repressione e manipolazione; un sistema basato sul diritto naturale piuttosto che sul diritto positivo, sull'esperienza piuttosto che la cultura, la reputazione piuttosto che la propaganda, lo spirito piuttosto che la materia, complicherebbe in misura notevole il compito autoconservativo del potere. In altre parole, il potere è tale in virtù degli strumenti che gli sono forniti dal sistema in cui è esercitato.
Lo Stanford Prison Experiment.
Quando era ancora uno studente di psicologia sociale Zimbardo fu colpito dalle idee dello studioso francese Gustave Le Bon; in particolare la teoria della de-individualizzazione, secondo cui gli individui appartenenti a un gruppo coeso tendano a smarrire l'identità personale, la coscienza, la responsabilità, sviluppando impulsi antisociali. Nell'estate del 1971 Zimbardo decise di dimostrare la teoria attraverso un esperimento che condusse nel seminterrato dell'Istituto di psicologia dell'Università di Stanford, Palo Alto, dove fu riprodotto fin nei minimi dettagli un ambiente carcerario.
Fra i 75 studenti universitari che risposero all'annuncio gli sperimentatori ne scelsero 24, maschi di ceto medio, fra i più equilibrati, maturi e meno soggetti a comportamenti devianti; i soggetti selezionati furono poi assegnati casualmente al gruppo dei detenuti o a quello delle guardie.
I prigionieri indossarono delle divise su cui erano stati applicati dei numeri identificativi, dei berretti di plastica, e fu loro posta una catena alla caviglia. Dopodiché fu loro comunicato un insieme di rigide regole a cui erano tenuti ad attenersi. Le guardie indossarono uniformi color kaki, occhiali da sole riflettenti che impedivano ai prigionieri di guardarle negli occhi; erano dotate di manganello, fischietto e manette, e fu concessa loro ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l'ordine e fare rispettare il regolamento.
Tale abbigliamento pose entrambi i gruppi in una condizione di de-individualizzazione.
I risultati andarono drammaticamente oltre le previsioni formulate dagli sperimentatori. Dopo appena due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono nelle celle inveendo contro le guardie; queste ultime iniziarono a intimidirli, umiliarli e sabotare il loro legame di solidarietà. Le guardie costrinsero i prigionieri a cantare canzoni oscene, defecare in secchi senza poterli vuotare, pulire le latrine a mani nude. A fatica le guardie e il direttore (Zimbardo) riuscirono a sedare un tentativo di evasione di massa. Al quinto giorno i prigionieri mostrarono sintomi di disgregazione individuale e collettiva: il loro comportamento si era fatto docile e passivo, il loro rapporto con la realtà appariva compromesso da disturbi emotivi, mentre le guardie continuavano a comportarsi in modo vessatorio e sadico. A quel punto l'esperimento fu interrotto suscitando da un lato la soddisfazione dei carcerati e dall'altro un certo disappunto da parte delle guardie, già del tutto assuefatte all'ebbrezza del potere.
L'Esperimento Carcerario di Stanford dimostrò come la sussistenza di talune condizioni esterne alla natura dell'individuo possa indurre potenzialmente chiunque a commettere atti atroci. Secondo Zimbaldo basta la 'giusta' combinazione di motivazioni personali, situazioni esterne e disponibilità di strumenti sistemici, per far si che una qualsiasi persona equilibrata si lasci sopraffare dalle pressioni situazionali sviluppando comportamenti antisociali.
Sembrava una Persona Così Per Bene.
Gli studi di Zimbardo ci consentono di esaminare da una prospettiva inedita gli innumerevoli casi riportati dalle cronache quotidiane, di individui apparentemente 'normali' che si rendono autori di violenze e omicidi. Di solito il cliché mediatico ascrive ogni responsabilità dei loro crimini alle loro menti malate o malvagie; questi individui sono raffigurati come alieni rispetto alle persone 'per bene.' Lungi dal voler giustificare qualsiasi violenza, va tuttavia notato che l'inclinazione reazionaria della comunicazione di massa sia portata a minimizzare oppure omettere di citare le ragioni socio-culturali di tali comportamenti; le pressioni, le tentazioni, le logiche bestiali, le vessazioni alle quali sono assoggettati i cittadini del cosiddetto mondo progredito. Per opportunismo i media tendono a focalizzarsi sulla persona piuttosto che sul sistema e la situazione; sviscerano ogni dettaglio degli effetti ma omettono di identificare le cause. Approccio pericolosamente fuorviante che denota un rifiuto di affrontare la matrice dei problemi. Molti 'esperti' da talk show assomigliano più a sceneggiatori hollywoodiani che a psicologi o sociologi interessati allo studio dei fenomeni umani; i ritratti monodimensionali che tracciano del mostro di turno sbattuto in prima pagina sono più assimilabili alle fiction (e alla politica) che al pensiero scientifico. In realtà, come riuscì a dimostrare Zimbardo e come attestano innumerevoli altri esempi concreti riscontrabili sia nell'esperienza storica che nell'attualità, alcune alchimie generate dal rapporto tra persona, situazione e sistema possono effettivamente trasformare qualsiasi angelo in un demone.
L'Effetto Lucifero al Cinema e in Letteratura.
All'esperimento di Zimbardo si sono ispirate diverse opere cinematografiche: La Gabbia (Carlo Tuzii, 1977); The Experiment - Cercasi Cavie Umane (O. Hirschbiegel, 2001); The Experiment (P. Scheuring, 2010, rifacimento della pellicola del 2001); The Stanford Prison Experiment (Kyle Patrick Alvarez, 2015). Anche Salò o le 120 Giornate di Sodoma, di Pier Paolo Pasolini (1975), descrive in modo alquanto disturbante l'Effetto Lucifero. Un altro film che si occupa del tema con la delicatezza di un pugno nello stomaco è The Divide (Xavier Gens, 2011), con ambientazione post-apocalittica.
In letteratura è d'obbligo la citazione di due grandi classici; uno è Il Signore degli Anelli di Tolkien, in cui gli effetti inaridenti del potere sono rappresentati allegoricamente sia mediante la storia dell'hobbit Smeagol, che l'influsso inebriante e nefasto dell'Anello del Potere tramuta in una creatura abietta di nome Gollum, sia tutte le volte in cui il mansueto protagonista Frodo ricorrendo alla magia dell'anello sviluppa sentimenti di avidità ed egoismo. Il secondo è Il Signore delle Mosche di William Golding, in cui un gruppo di educati scolari inglesi vittime di un naufragio, obbligati a calarsi in un contesto di sopravvivenza estrema scivolano presto nella barbarie e nella bestialità.
Citiamo inoltre il libro Prigioni della Mente. Relazioni di Oppressione e Resistenza, di A. Zamperini, e la pièce teatrale Effetto Lucifero, a cura della compagnia Oyes e Dario Merlini (2010).
Prenderne Coscienza.
Il titolo del libro: L'Effetto Lucifero, si riferisce al processo di trasformazione dal bene al male che il mito attribuisce all'angelo più luminoso e prediletto da Dio. L'analogia fornisce lo spunto per dibattere delle trasformazioni umane dal bene al male. L'argomento intorno a cui ruota l'intero testo di Zimbardo è che il comportamento umano non sia solo il frutto della natura dell'individuo, ma anche dell'influenza di una serie di 'fattori situazionali e sistemici' che modellano il modo di agire individuale, a volte in maniera drastica. Il sociologo invita a prenderli seriamente in considerazione affinché gli individui appartenenti a qualsiasi gruppo, o detentori di qualsiasi tipo di potere, che vivano in una cultura imperfetta come la nostra, possano prendere le dovute precauzioni contro tali invisibili, ma spesso nefaste influenze 'oggettive.' Il libro è una sorta di accorata esortazione a tenere sotto stretto controllo oltre che se stessi e le proprie pulsioni, anche le leadership di ogni organizzazione, dagli stati, alle multinazionali, alle lobby politiche e religiose.
Le tre sfere di influenza considerate da Zimbardo sono: persona, situazione, e sistema.
Persona.
L'individuo agisce in funzione delle personali ambizioni e motivazioni, spesso dettate dalla cultura e dalla casualità. Quanto più immorale è la cultura in cui la persona si trovi ad agire, maggiori sono le possibilità che in presenza di talune circostanze situazionali e sistemiche essa agisca immoralmente. Una delle situazioni più comuni capaci di innescare l'Effetto Lucifero è l'esercizio del potere. Il potere per affermare se stesso deve sottomettere, con le buone o con le cattive. Scegliere la strada del potere significa scegliere di agire in accordo a una serie di imperativi e logiche auto-conservative che spesso comportano il sacrificio della persona sull'altare del ruolo, determinando la scissione tra coscienza e individuo.
Situazione.
Tali imperativi e logiche sono definiti da Zimbardo: situazioni. Le situazioni non influenzano solo il potere. Un cittadino oppresso da una situazione economica precaria si comporta in modo diverso da un cittadino benestante. Un cittadino socialmente integrato agisce in modo diverso da un cittadino emarginato. Un cittadino felice è diverso da un cittadino disperato. Un cittadino che goda della facoltà di esercitare una forma di potere sul proprio prossimo agisce in modo diverso da uno costretto a subire il potere altrui.
Secondo Zimbardo le forze situazionali governerebbero ogni apparato egregorico in cui si riduca la responsabilità del singolo. Quando le persone si sentono al servizio di qualcosa di 'più grande' che le include, sono indotte facilmente ad assumere comportamenti antisociali.
I soggetti che si sentono appartenenti ad un gruppo di potere - ad esempio un contingente militare o di polizia, una multinazionale, un'ideologia, una lobby - secondo Zimbardo vivono in un eterno presente in cui passato e futuro sono percepiti come elementi remoti e irrilevanti. Le emozioni dominano la ragione, e le azioni la riflessione.
Sistema.
Ogni fattore situazionale è prodotto dal sistema in cui prende forma. Per poter funzionare, un sistema basato sul debito deve produrre cittadini e nazioni indebitati; è fisiologico. Un sistema basato sul liberismo darwinista, sul centralismo, il verticismo e la disparità non può che generare situazioni di frizione ed emarginazione. L'apparato di potere avendo accesso al quadro di comando del sistema, se non adeguatamente sorvegliato tenderà a modellarne la struttura in funzione della propria auto-tutela e contro l'interesse generale. La principale forma di auto-tutela del potere consiste nella creazione di strumenti tramite cui consolidare e accrescere la distanza tra il potere e il non potere. Un sistema in cui la sopravvivenza della persona umana non fosse subordinata al possesso di denaro - ad esempio - priverebbe il potere di un formidabile strumento di controllo, repressione e manipolazione; un sistema basato sul diritto naturale piuttosto che sul diritto positivo, sull'esperienza piuttosto che la cultura, la reputazione piuttosto che la propaganda, lo spirito piuttosto che la materia, complicherebbe in misura notevole il compito autoconservativo del potere. In altre parole, il potere è tale in virtù degli strumenti che gli sono forniti dal sistema in cui è esercitato.
Lo Stanford Prison Experiment.
Quando era ancora uno studente di psicologia sociale Zimbardo fu colpito dalle idee dello studioso francese Gustave Le Bon; in particolare la teoria della de-individualizzazione, secondo cui gli individui appartenenti a un gruppo coeso tendano a smarrire l'identità personale, la coscienza, la responsabilità, sviluppando impulsi antisociali. Nell'estate del 1971 Zimbardo decise di dimostrare la teoria attraverso un esperimento che condusse nel seminterrato dell'Istituto di psicologia dell'Università di Stanford, Palo Alto, dove fu riprodotto fin nei minimi dettagli un ambiente carcerario.
Fra i 75 studenti universitari che risposero all'annuncio gli sperimentatori ne scelsero 24, maschi di ceto medio, fra i più equilibrati, maturi e meno soggetti a comportamenti devianti; i soggetti selezionati furono poi assegnati casualmente al gruppo dei detenuti o a quello delle guardie.
I prigionieri indossarono delle divise su cui erano stati applicati dei numeri identificativi, dei berretti di plastica, e fu loro posta una catena alla caviglia. Dopodiché fu loro comunicato un insieme di rigide regole a cui erano tenuti ad attenersi. Le guardie indossarono uniformi color kaki, occhiali da sole riflettenti che impedivano ai prigionieri di guardarle negli occhi; erano dotate di manganello, fischietto e manette, e fu concessa loro ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l'ordine e fare rispettare il regolamento.
Tale abbigliamento pose entrambi i gruppi in una condizione di de-individualizzazione.
I risultati andarono drammaticamente oltre le previsioni formulate dagli sperimentatori. Dopo appena due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono nelle celle inveendo contro le guardie; queste ultime iniziarono a intimidirli, umiliarli e sabotare il loro legame di solidarietà. Le guardie costrinsero i prigionieri a cantare canzoni oscene, defecare in secchi senza poterli vuotare, pulire le latrine a mani nude. A fatica le guardie e il direttore (Zimbardo) riuscirono a sedare un tentativo di evasione di massa. Al quinto giorno i prigionieri mostrarono sintomi di disgregazione individuale e collettiva: il loro comportamento si era fatto docile e passivo, il loro rapporto con la realtà appariva compromesso da disturbi emotivi, mentre le guardie continuavano a comportarsi in modo vessatorio e sadico. A quel punto l'esperimento fu interrotto suscitando da un lato la soddisfazione dei carcerati e dall'altro un certo disappunto da parte delle guardie, già del tutto assuefatte all'ebbrezza del potere.
L'Esperimento Carcerario di Stanford dimostrò come la sussistenza di talune condizioni esterne alla natura dell'individuo possa indurre potenzialmente chiunque a commettere atti atroci. Secondo Zimbaldo basta la 'giusta' combinazione di motivazioni personali, situazioni esterne e disponibilità di strumenti sistemici, per far si che una qualsiasi persona equilibrata si lasci sopraffare dalle pressioni situazionali sviluppando comportamenti antisociali.
Sembrava una Persona Così Per Bene.
Gli studi di Zimbardo ci consentono di esaminare da una prospettiva inedita gli innumerevoli casi riportati dalle cronache quotidiane, di individui apparentemente 'normali' che si rendono autori di violenze e omicidi. Di solito il cliché mediatico ascrive ogni responsabilità dei loro crimini alle loro menti malate o malvagie; questi individui sono raffigurati come alieni rispetto alle persone 'per bene.' Lungi dal voler giustificare qualsiasi violenza, va tuttavia notato che l'inclinazione reazionaria della comunicazione di massa sia portata a minimizzare oppure omettere di citare le ragioni socio-culturali di tali comportamenti; le pressioni, le tentazioni, le logiche bestiali, le vessazioni alle quali sono assoggettati i cittadini del cosiddetto mondo progredito. Per opportunismo i media tendono a focalizzarsi sulla persona piuttosto che sul sistema e la situazione; sviscerano ogni dettaglio degli effetti ma omettono di identificare le cause. Approccio pericolosamente fuorviante che denota un rifiuto di affrontare la matrice dei problemi. Molti 'esperti' da talk show assomigliano più a sceneggiatori hollywoodiani che a psicologi o sociologi interessati allo studio dei fenomeni umani; i ritratti monodimensionali che tracciano del mostro di turno sbattuto in prima pagina sono più assimilabili alle fiction (e alla politica) che al pensiero scientifico. In realtà, come riuscì a dimostrare Zimbardo e come attestano innumerevoli altri esempi concreti riscontrabili sia nell'esperienza storica che nell'attualità, alcune alchimie generate dal rapporto tra persona, situazione e sistema possono effettivamente trasformare qualsiasi angelo in un demone.
L'Effetto Lucifero al Cinema e in Letteratura.
All'esperimento di Zimbardo si sono ispirate diverse opere cinematografiche: La Gabbia (Carlo Tuzii, 1977); The Experiment - Cercasi Cavie Umane (O. Hirschbiegel, 2001); The Experiment (P. Scheuring, 2010, rifacimento della pellicola del 2001); The Stanford Prison Experiment (Kyle Patrick Alvarez, 2015). Anche Salò o le 120 Giornate di Sodoma, di Pier Paolo Pasolini (1975), descrive in modo alquanto disturbante l'Effetto Lucifero. Un altro film che si occupa del tema con la delicatezza di un pugno nello stomaco è The Divide (Xavier Gens, 2011), con ambientazione post-apocalittica.
In letteratura è d'obbligo la citazione di due grandi classici; uno è Il Signore degli Anelli di Tolkien, in cui gli effetti inaridenti del potere sono rappresentati allegoricamente sia mediante la storia dell'hobbit Smeagol, che l'influsso inebriante e nefasto dell'Anello del Potere tramuta in una creatura abietta di nome Gollum, sia tutte le volte in cui il mansueto protagonista Frodo ricorrendo alla magia dell'anello sviluppa sentimenti di avidità ed egoismo. Il secondo è Il Signore delle Mosche di William Golding, in cui un gruppo di educati scolari inglesi vittime di un naufragio, obbligati a calarsi in un contesto di sopravvivenza estrema scivolano presto nella barbarie e nella bestialità.
Citiamo inoltre il libro Prigioni della Mente. Relazioni di Oppressione e Resistenza, di A. Zamperini, e la pièce teatrale Effetto Lucifero, a cura della compagnia Oyes e Dario Merlini (2010).
Prenderne Coscienza.
Ci hanno insegnato a credere nella forza della bontà, nel concetto
consolatorio secondo cui la coscienza individuale per definizione sia in
grado di resistere alle pressioni situazionali e sistemiche e alle
pulsioni inferiori dell'animo umano. L'Esperimento Carcerario di
Stanford ha dimostrato invece che determinati contesti possano infettare
la coscienza di chiunque, ad iniziare dai leader politici per finire
con le persone comuni che si macchiano di crimini efferati e che in
seguito qualche vicino di casa in TV descrive come 'tranquille e per
bene.'
Ogni volta che si consumino abusi di potere delle istituzioni a danno della collettività, che in un'operazione di polizia, un istituto di cura, una scuola, un ufficio, persone apparentemente equilibrate si rendano responsabili di abusi contro persone impossibilitate a difendersi; ogni volta che nelle dinamiche sociali la peggiore combinazione degli elementi codificati dal dottor Zimbardo evochi il lato oscuro dell'animo umano, è come se l'esperimento della Stanford University tornasse a rammentarci il potenziale catastrofico delle sovrastrutture umane, in particolare se non adeguatamente supportate da una cultura sana ed improntate su principi equi e condivisi.
John Emerich Edward Dalberg-Acton, storiografo e politico inglese di origini italo-tedesche vissuto nell'800, intuì che il potere corrompe; il potere assoluto corrompe assolutamente. Un motto lapidario che esprime pienamente il potenziale devastante dell'Effetto Lucifero, specie in un'epoca come l'attuale, in cui all'amoralità del potere si è abbinata la fredda efficienza della tecnologia. In definitiva con il suo libro Philip Zimbardo ci invita a considerare la realtà per ciò che è, non per ciò che crediamo dovrebbe essere; a superare lo schema mentale idealistico secondo cui la bontà d'animo prevarrebbe regolarmente sui fattori devianti esterni e le logiche che governano la materia. Una 'falsa certezza' che nuoce sia alle nostre facoltà di autocritica ed autodeterminazione che alla nostra capacità di giudicare l'operato di chi ci governa. L'influsso dei meccanismi situazionali e sistemici potrà essere contrastato, per il bene della collettività, solo quando la nostra cultura prenderà atto del suo effetto corruttivo.
Ogni volta che si consumino abusi di potere delle istituzioni a danno della collettività, che in un'operazione di polizia, un istituto di cura, una scuola, un ufficio, persone apparentemente equilibrate si rendano responsabili di abusi contro persone impossibilitate a difendersi; ogni volta che nelle dinamiche sociali la peggiore combinazione degli elementi codificati dal dottor Zimbardo evochi il lato oscuro dell'animo umano, è come se l'esperimento della Stanford University tornasse a rammentarci il potenziale catastrofico delle sovrastrutture umane, in particolare se non adeguatamente supportate da una cultura sana ed improntate su principi equi e condivisi.
John Emerich Edward Dalberg-Acton, storiografo e politico inglese di origini italo-tedesche vissuto nell'800, intuì che il potere corrompe; il potere assoluto corrompe assolutamente. Un motto lapidario che esprime pienamente il potenziale devastante dell'Effetto Lucifero, specie in un'epoca come l'attuale, in cui all'amoralità del potere si è abbinata la fredda efficienza della tecnologia. In definitiva con il suo libro Philip Zimbardo ci invita a considerare la realtà per ciò che è, non per ciò che crediamo dovrebbe essere; a superare lo schema mentale idealistico secondo cui la bontà d'animo prevarrebbe regolarmente sui fattori devianti esterni e le logiche che governano la materia. Una 'falsa certezza' che nuoce sia alle nostre facoltà di autocritica ed autodeterminazione che alla nostra capacità di giudicare l'operato di chi ci governa. L'influsso dei meccanismi situazionali e sistemici potrà essere contrastato, per il bene della collettività, solo quando la nostra cultura prenderà atto del suo effetto corruttivo.
A cura di Anticorpi.info
Fonti
http://discovermagazine.com/2007/apr/book-excerpthttp://ethicalsystems.org/content/lucifer-effect
http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_carcerario_di_Stanford
http://www.anticorpi.info/2015/04/leffetto-lucifero.html
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