Solitamente è uno dei principi che si
insegna per primo nelle facoltà di medicina, soprattutto in relazione
alla iatrogenesi, anche se è chiaramente un brocardo applicabile
quotidianamente in ogni circostanza di vita.
Ciò significa che, nella scelta di una
terapia, bisogna innanzitutto non arrecare danno al paziente e per
questo, tra i trattamenti possibili, va sempre privilegiato quello che
ha meno controindicazioni.”
Questo è quanto, correttamente si legge
in Wikipedia, ma corrisponde alla realtà odierna? Davvero uno dei
precetti che si insegnano alle facoltà di medicina è quello di usare per
prime le cure meno dannose?
Purtroppo, la risposta è NO!
All’Università ti insegnano ad usare subito e senza indugio farmaci
chimici, spesso potenzialmente tossici, e solo quelli. Dov’è
quell’insegnamento che potrebbe essere utile per applicare correttamente
il precetto latino? Semplicemente non c’è.
I medici conoscono i farmaci e ignorano
tutto il resto. Viene insegnato loro la fitoterapia, l’omeopatia? No!
Viene insegnato loro, non so, una tecnica banalissima come un clistere,
un impacco, un massaggio? No! Viene insegnato loro il valore
terapeutico del cibo ? No! A mala pena viene loro detto qualcosa su
vitamine e integratori, ma molto in generale.
Per applicare correttamente il precetto
latino, l’unica possibilità è insegnare ai medici ad usare medicine non
convenzionali sempre in prima battuta e tutto il resto dopo. Ovvero, la
norma dovrebbe essere prima di tutto un approccio non tossico, non
lesivo, non rischioso e come seconda scelta i farmaci di sintesi. I farmaci chimici come vere medicine alternative
e non il contrario. Ovviamente non stiamo parlando di quello che si usa
nella medicina di urgenza, ma nella comune pratica clinica.
Le spesso inutili ed impressionanti
quantità di farmaci che vengono ogni giorno prescritte ai pazienti
finiscono in natura con le urine e le feci. La capacità del nostro corpo
di metabolizzare i farmaci varia dal 30 al 70% e quindi il resto
finisce nel cesso e solo apparentemente scompare quanto tirate lo
sciacquone. Inoltre, i tradizionali
impianti per il trattamento delle acqua potabili non sono in grado di
eliminare efficacemente i residui dei farmaci. E’ stato dimostrato che
il processo di coagulazione, sedimentazione e filtrazione dell’acqua
elimina appena il 10-12% dei principi attivi. La filtrazione con carbone
attivo e la depurazione tramite ozono riescono ad eliminarne fino al 75
%.
Infatti, studi recenti mostrano che i
farmaci finiscono nei fiumi e nei laghi, dove i ricercatori hanno
trovato farmaci antinfiammatori, analgesici, antibiotici, ormonali
(etradiolo, progesterone e così via), agenti antipertensivi
(betabloccanti), spasmolitici e sedativi. Non trascurabile è la presenza
di farmaci per il cuore nell’Oceano Atlantico.
In questi ultimi decenni in Germania
nell’acqua potabile ci hanno trovato farmaci come l’acido clofibrico e
la carbamazepina. Negli Stati Uniti, vari tipi di antibiotici,
antidepressivi, ipocolesterolemizzanti, antinfiammatori e ormoni. Alcune
ricerche condotte a Filadelfia hanno rilevato la presenza di 56 farmaci
nell’acqua già depurata, mentre circa 20 milioni di residenti nella
California del sud rischiano di assumere senza volerlo ansiolitici e
antiepilettici. L’acqua potabile di San Francisco contiene un ormone
sessuale sintetico difficile da scomporre. In Spagna, nell’acqua
potabile ci sono gli ormoni estradiolo ed estriolo e in Canada il
Prozac, un noto antidepressivo. In Gran Bretagna le cose non vanno
meglio dato che dal rubinetto escono antitumorali, diazepam e
antibiotici.
In Italia? Il fenomeno viene studiato
da poco e non sono per il momento disponibili dati definitivi anche se
non si vede perché la situazione dovrebbe essere diversa.
Le concentrazioni presenti nell’ambiente
sono sufficienti a provocare danni ? sentiamo cosa dice il Dr Giampaolo
Velo esperto in questa materia: “Le dosi sono minime, ma da non
sottovalutare dal momento che ne siamo a contatto tutta la vita: a
distanza potrebbero comparire effetti tossici del tutto inaspettati. Le
concentrazioni dei farmaci nell’ambiente sono ben al di sotto dei
livelli terapeutici, tuttavia dobbiamo tenere presente anche il rischio
di interazioni e le sottopopolazioni che potrebbero essere
particolarmente a rischio: parlo di neonati, bambini, donne in
gravidanza, anziani, pazienti con particolari malattie che influenzano,
per esempio, l’eliminazione dei farmaci. (…) Il principio di precauzione
ci insegna che non dobbiamo negare i rischi semplicemente perché non
sono certi. (…) Gli ormoni per esempio, sono attivi a concentrazioni
particolarmente basse, mentre gli antibiotici diffusi nell’ambiente, lo
ripeto, è accertato che contribuiscano alla nascita di resistenze
batteriche”
Dato che sul Pianeta non ci siamo solo
noi, la nostra poca saggezza e avvedutezza coinvolge sempre anche le
altre forme di vita. Negli ecosistemi naturali, infatti, la presenza di
farmaci, soprattutto ormonali, potrebbe interferire sulla riproduzione
della fauna ittica, degli anfibi, insetti e uccelli, mentre altri
farmaci potrebbero provocare mutazioni genetiche.
Francesco Perugini Billi @copyright vietata la riproduzione senza esplicito consenso dell’Autore.
Bibliografia
- Holister E. Prozac, Painkillers & Hormones Found in Tap Water. http://www.thenhf.com
- Mercola J Cancer Drugs Found in Tap Water. www.mercola.com
- Villa R. Uno sguardo all’aldilà dei farmaci. Tempo medico. 11 ottobre 2007.
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