martedì 14 aprile 2015

“Primum non nocere” e l’acqua che beviamo

“Primum non nocere è una locuzione latina che significa “per prima cosa, non nuocere”.

Solitamente è uno dei principi che si insegna per primo nelle facoltà di medicina, soprattutto in relazione alla iatrogenesi, anche se è chiaramente un brocardo applicabile quotidianamente in ogni circostanza di vita.

Ciò significa che, nella scelta di una terapia, bisogna innanzitutto non arrecare danno al paziente e per questo, tra i trattamenti possibili, va sempre privilegiato quello che ha meno controindicazioni.”

Questo è quanto, correttamente si legge in Wikipedia, ma corrisponde alla realtà odierna? Davvero uno dei precetti che si insegnano alle facoltà di medicina è quello di usare per prime le cure meno dannose?

Purtroppo, la risposta è NO! All’Università ti insegnano ad usare subito e senza indugio farmaci chimici, spesso potenzialmente tossici, e solo quelli. Dov’è quell’insegnamento che potrebbe essere utile per applicare correttamente il precetto latino? Semplicemente non c’è.

I medici conoscono i farmaci e ignorano tutto il resto. Viene insegnato loro la fitoterapia, l’omeopatia? No! Viene insegnato loro, non so, una tecnica banalissima come un clistere, un impacco, un massaggio? No! Viene insegnato loro il valore terapeutico del cibo ? No! A mala pena viene loro detto qualcosa su vitamine e integratori, ma molto in generale.

Per applicare correttamente il precetto latino, l’unica possibilità è insegnare ai medici ad usare medicine non convenzionali sempre in prima battuta e tutto il resto dopo. Ovvero, la norma dovrebbe essere prima di tutto un approccio non tossico, non lesivo, non rischioso e come seconda scelta i farmaci di sintesi. I farmaci chimici come vere medicine alternative e non il contrario. Ovviamente non stiamo parlando di quello che si usa nella medicina di urgenza, ma nella comune pratica clinica.

Le spesso inutili ed impressionanti quantità di farmaci che vengono ogni giorno prescritte ai pazienti finiscono in natura con le urine e le feci. La capacità del nostro corpo di metabolizzare i farmaci varia dal 30 al 70% e quindi il resto finisce nel cesso e solo apparentemente scompare quanto tirate lo sciacquone. Inoltre, i tradizionali impianti per il trattamento delle acqua potabili non sono in grado di eliminare efficacemente i residui dei farmaci. E’ stato dimostrato che il processo di coagulazione, sedimentazione e filtrazione dell’acqua elimina appena il 10-12% dei principi attivi. La filtrazione con carbone attivo e la depurazione tramite ozono riescono ad eliminarne fino al 75 %.

Infatti, studi recenti mostrano che i farmaci finiscono nei fiumi e nei laghi, dove i ricercatori hanno trovato farmaci antinfiammatori, analgesici, antibiotici, ormonali (etradiolo, progesterone e così via), agenti antipertensivi (betabloccanti), spasmolitici e sedativi. Non trascurabile è la presenza di farmaci per il cuore nell’Oceano Atlantico.

In questi ultimi decenni in Germania nell’acqua potabile ci hanno trovato farmaci come l’acido clofibrico e la carbamazepina. Negli Stati Uniti, vari tipi di antibiotici, antidepressivi, ipocolesterolemizzanti, antinfiammatori e ormoni. Alcune ricerche condotte a Filadelfia hanno rilevato la presenza di 56 farmaci nell’acqua già depurata, mentre circa 20 milioni di residenti nella California del sud rischiano di assumere senza volerlo ansiolitici e antiepilettici. L’acqua potabile di San Francisco contiene un ormone sessuale sintetico difficile da scomporre. In Spagna, nell’acqua potabile ci sono gli ormoni estradiolo ed estriolo e in Canada il Prozac, un noto antidepressivo. In Gran Bretagna le cose non vanno meglio dato che dal rubinetto escono antitumorali, diazepam e antibiotici.

In Italia? Il fenomeno viene studiato da poco e non sono per il momento disponibili dati definitivi anche se non si vede perché la situazione dovrebbe essere diversa.

Le concentrazioni presenti nell’ambiente sono sufficienti a provocare danni ? sentiamo cosa dice il Dr Giampaolo Velo esperto in questa materia: “Le dosi sono minime, ma da non sottovalutare dal momento che ne siamo a contatto tutta la vita: a distanza potrebbero comparire effetti tossici del tutto inaspettati. Le concentrazioni dei farmaci nell’ambiente sono ben al di sotto dei livelli terapeutici, tuttavia dobbiamo tenere presente anche il rischio di interazioni e le sottopopolazioni che potrebbero essere particolarmente a rischio: parlo di neonati, bambini, donne in gravidanza, anziani, pazienti con particolari malattie che influenzano, per esempio, l’eliminazione dei farmaci. (…) Il principio di precauzione ci insegna che non dobbiamo negare i rischi semplicemente perché non sono certi. (…) Gli ormoni per esempio, sono attivi a concentrazioni particolarmente basse, mentre gli antibiotici diffusi nell’ambiente, lo ripeto, è accertato che contribuiscano alla nascita di resistenze batteriche”

Dato che sul Pianeta non ci siamo solo noi, la nostra poca saggezza e avvedutezza coinvolge sempre anche le altre forme di vita. Negli ecosistemi naturali, infatti, la presenza di farmaci, soprattutto ormonali, potrebbe interferire sulla riproduzione della fauna ittica, degli anfibi, insetti e uccelli, mentre altri farmaci potrebbero provocare mutazioni genetiche.

Francesco Perugini Billi @copyright vietata la riproduzione senza esplicito consenso dell’Autore.

Bibliografia
- Holister E. Prozac, Painkillers & Hormones Found in Tap Water. http://www.thenhf.com
- Mercola J Cancer Drugs Found in Tap Water. www.mercola.com
- Villa R. Uno sguardo all’aldilà dei farmaci. Tempo medico. 11 ottobre 2007.


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