giovedì 28 aprile 2016

Italia come Grecia: ricetta perfetta per il fallimento sociale

© REUTERS/ Stefano Rellandini
 
Il dato che dovrebbe allarmare i nostri concittadini, o almeno inquietarli un pochino mentre guardano la partita o sorseggiano l’aperitivo, è la cifra mostruosa del debito pubblico, indicata dall'Eurostat in 2.171,671 miliardi di euro (il 132,7% del Pil).
Il numero cresce di continuo, visto che a fine dicembre ammontava a 2.169,9 miliardi, nonostante la tanto decantata lotta agli sprechi. Qualcuno potrebbe obiettare che il debito — e con esso la spesa pubblica — non sia di per sè un male, e ciò è sicuramente vero finché non si tratta di qualità del debito e della spesa. Per esempio, se come dice Teresa Tritch il Governo italiano perseguisse l'idea che lo Stato e l'impresa privata assumano insieme i rischi, godendo insieme dei benefici, non si avrebbe nulla da ridire.
D'altronde, senza la spesa pubblica statale degli USA non si avrebbe l'approccio così innovativo dell'Iphone di Steve Jobs e non esisterebbero Internet, il Gps, lo schermo tattile e l'assistente vocale Siri: tecnologie elaborate anche grazie a generose iniezioni di denaro pubblico a stelle e strisce. Un altro esempio, guardando al nostro continente, è rappresentato dalle politiche scandinave sulla maternità, grazie alle quali i congedi arrivano fino a 16 mesi dopo la nascita dei figli e coprono l'80% dello stipendio dei genitori. Questa scelta ha portato con sè un incremento della natalità: siamo ad una media di 1,8 nella penisola scandinava contro l'1,58 dell'Europa e l'1,4 dell'Italia. Ed è chiaro che con una bassa natalità aumenta il costo del welfare e si registra un minore sviluppo del Paese, come ampiamente documentato da illustri economisti. Questi esempi, pur molto diversi tra loro, dimostrano come una spesa alta possa generare incrementi significativi del Pil. 

In Italia la spesa e il debito conseguente non seguono le vie appena citate. Si pensi che a fronte di un aumento del debito pubblico anche a inizio anno, nel primo trimestre 2016 le nuove pensioni liquidate dall'Inps sono state 95.381 con un calo del 34,5% rispetto allo stesso periodo del 2015 (145.618). A indicarlo è l'Osservatorio Inps di monitoraggio sui flussi di pensionamento, nel quale si ricorda come nel 2015 siano scattati l'aumento dell'aspettativa di vita (quattro mesi per tutti) e i nuovi requisiti per le donne (passaggio da 63,9 anni a 65,7). Sono anche crollati gli assegni sociali (per gli anziani privi di reddito o con redditi bassi) e i contributi, passati da 13.033 a 7.501 (-42,4%). In quest'ultimo caso il risultato viene dalle nuove regole capestro adottate dal governo Renzi, che hanno modificato i criteri di calcolo dell'Isee (indicatore della situazione economica equivalente): una revisione che ha di fatto escluso dal welfare un 20% di italiani. Alla faccia della litania recitata dal Governo sul fatto che non siano aumentate le tasse.
Beh, anche se non mi aumenti le tasse a livello nazionale (visto che a livello locale sono lievitate), ma mi escludi dalle politiche di vantaggio, è come se me le aumentassi! D'altra parte, come certifica l'Eurostat, nel Belpaese circa 7 milioni di persone sono costrette a vivere con "gravi privazioni materiali" e questo nonostante la piccola ma evidente ripresa economica che si è avuta nel mondo. A dimostrazione del fallimento delle politiche renziane vi è la riduzione della povertà in Europa: rispetto al 2014 nell'Ue il numero dei poveri è sceso mediamente dello 0,8%, mentre in Italia solo dell'0,1%.
Il problema reale è che questi dati dimostrano come l'incremento del debito accumulato dall'attuale Governo non stia producendo alcun miglioramento interno apprezzabile nè in termini di welfare nè di sviluppo e sostegno del tessuto produttivo. Insomma, siamo di fronte a una classe politica che sta confezionando la ricetta perfetta per il fallimento sociale. Alla fine la Grecia, Paese le cui vicissitudini hanno dato molto materiale ai media internazionali specialmente in occasione del paventato Grexit, non sembra poi così distante. Nelle parole dei leader dei corpi intermedi, che siano i partiti, i sindacati, le rappresentanze datoriali o gli ordini professionali, si registra una stanchezza diffusa. La rottamazione fine a sé stessa difficilmente produce risultati migliori della gerontocrazia, quando essa prende linfa dalla cooptazione familiare o partitica o di club elitari.
La Terza Repubblica sta fallendo, ma con essa rischia di spezzarsi la tenuta sociale del Paese. Non si dovrebbero sottovalutare gli effetti che si produrrebbero qualora si avverasse la profezia di Boeri: la generazione nata negli anni ‘80 rischia di dover lavorare fino a 75 anni e prendere un assegno del 25% più basso rispetto ai pensionati di oggi. Non ci vuole un genio per capire che il combinato disposto tra l'eventuale cancellazione della pensione di reversibilità e l'impoverimento dell'assegno potrebbe costituire una miscela esplosiva che nessun governo riuscirebbe a contenere.

Marco Fontana

L'opinione dell'autore può non coincidere con la posizione della redazione.
 

Nessun commento:

Posta un commento