“Non si può dire che cos’è il silenzio.
Ma si può dire che il silenzio è ciò che vogliamo profondamente, ciò di
cui abbiamo nostalgia. Il nostro tentativo di ottenere questo o quello,
non è, di fatto, che una nostalgia di questo silenzio. Tutti i desideri
sono una nostalgia dell’assenza di desiderio.
Su di un piano relativo, il silenzio
mentale non è che un riflesso del vero silenzio. La mente può essere
attiva e il vero silenzio vissuto; la mente può essere silenziosa ed il
vero silenzio essere sconosciuto. Il silenzio mentale, il silenzio del
mondo non è qualcosa che si debba ricercare. Come una porta, il silenzio
mentale si apre su qualcosa, ma non è la porta che si cerca. Quello su
cui si apre, non è una donna, nè un’auto rossa, e nemmeno il silenzio o
la gioia: non ci sono parole!
Non proviene nè dall’inattività nè
dall’attività mentale, ma è un presentimento che si riflette in una
mente tranquilla. La mente tranquilla non crea il silenzio, vi si rende
disponibile, e l’estasi che riceve dalla sua identità la riempie più di
ogni altro oggetto. Poiché è difficile presentire questo riflesso in una
mente agitata, si può dire in certi momenti che è appropriato lasciare
che il corpo e la mente diventino disponibili. Non è necessario, ma può
imporsi senza che alcuna intenzione di appropriazione partecipi a questo
studio della disponibilità corporea e mentale.
La poesia conduce a questo silenzio. La musica, l’architettura, il teatro portano ad esso più di ogni spiegazione, di ogni discorso o di ogni affermazione. La sensorialità è ciò che va più profondamente nel presentimento del silenzio…..
La poesia conduce a questo silenzio. La musica, l’architettura, il teatro portano ad esso più di ogni spiegazione, di ogni discorso o di ogni affermazione. La sensorialità è ciò che va più profondamente nel presentimento del silenzio…..
Non c’è che apertura. Una discussione
non può portare al silenzio. Può portare, come faceva Socrate, a vedere i
limiti della mente. Quando la mente vede i suoi limiti, diventa
funzione. Ogni comprensione non può che essere un riferimento a ciò che
già la persona conosce. Poco a poco, la mente perde la sua pretesa di
capire ciò che la oltrepassa. Ci si rende conto che non si può pensare
un essere umano, non si può pensare la verità, non si può pensare la
gioia, non si può pensare un filo d’erba. Non si può pensare niente, non
si può che proiettare. La mente allora perde la sua pretesa e diventa
uno strumento, come le gambe.
Quando avete bisogno di separare vi servite del pensiero. Ma non utilizzate la mente per la ricerca della verità.
Ecco il segno di una vera intelligenza:
non utilizzare il pensiero se non quando è necessario. La ricerca della
verità non ha alcun legame con la riflessione. Il pensiero non ha che il
compito di mostrarvi i suoi limiti”.
Éric Baret
fonte: http://www.altrogiornale.org/eric-baret-la-tradizione-non-duale/
Éric Baret, giovanissimo, verso la fine degli anni Sessanta, incontra Jean Klein, autentico ricercatore spirituale, iniziato all’arte dello yoga da maestri del Kashmir e dell’Himalaya. Durante numerosi viaggi in India ha modo di frequentare alcune fra le più alte spiritualità allora viventi, quali Ma Ananda Mayi e Nisargadatta Maharaji. Da allora si consacra allo studio della tradizione tantrica non duale, come espressa nella linea dello yoga del Kashmir, e condivide le sue scoperte nel corso di incontri in Europa, Stati Uniti e Canada. – Video e biografia anima.tv
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