Finkelstein conversa con Epstein: “Abbiamo sofferto tanto:
esilio, ghetti, pogrom… però li abbiamo fregati!”
Epstein chiede: “E come abbiamo fatto?”
“Con la psicoanalisi!”
(Storielle ebraiche)
Nel
1933, due psicologi sociali chiesero ad un centinaio di studenti
dell’Università di Princeton di scegliere una lista di attributi
collegandola ai vari gruppi etnici, e notarono che ¼ degli studenti
identificava i vari gruppi etnici con 4-5 aggettivi caratteristici. Gli
psicologi videro che quei giudizi non venivano espressi in base a
esperienze o riscontri oggettivi perché molti degli studenti non avevano
mai visto un turco, per esempio, ma attribuivano ai turchi delle
caratteristiche che li classificavano in categorie sommarie: queste
valutazioni superficiali si definiscono con il termine di “stereotipi”.
Il
termine “stereotipo” nasce nelle officine tipografiche verso la fine
del secolo 18° e deriva dal greco stereos (solido) e typos (carattere).
Lo stereotipo era il calco che permetteva di riprodurre nei volumi a
stampa, delle copie identiche di figure e di immagini. Il primo uso del
termine in campo diverso fu quando venne usato in ambito psichiatrico
per indicare dei comportamenti patologici caratterizzati da ripetizioni
ossessive di gesti e di espressioni.
L’uso
in campo sociale avvenne nel 1922 quando il giornalista politico,
Walter Lippman, lo usò per indicare le categorie semplificate e sommarie
che vengono usate per collocare “l’altro” e “il gruppo di cui l’altro
fa parte”. Gli psicologi sociali dicono che il nostro rapporto con la
realtà esterna non è diretto, ma viene mediato da immagini mentali
perché la mente umana non riesce a trattare tutta l’infinita varietà di
sfumature con cui il mondo si mostra. Alcuni studiosi hanno affermato
che le categorie mentali sono degli stereotipi che i membri di una
cultura o sub-cultura assumono essendo una caratteristica che è tipica
della sua cultura.
Ogni
volta che giudichiamo gli altri usando uno stereotipo noi gli
attribuiamo un concetto che caratterizza tutto il suo gruppo, perciò
usiamo un insieme rigido di credenze negative che il nostro gruppo
condivide e che riguardano un gruppo esterno al nostro. Molti psicologi
affermano che gli stereotipi sono i meccanismi che fondano i pregiudizi e
che consento che quei pregiudizi si mantengano. Infatti il pregiudizio
si fonda sulla convinzione che un certo gruppo abbia delle
caratteristiche che lo connotano in un certo qual modo.
In
base a questo ragionamento, si crede che lo stereotipo sia il nucleo
cognitivo del pregiudizio cioè il nucleo delle credenze che riguardano
una certa categoria di oggetti che vengono sempre rielaborati in un modo
coerente che tende a sostenere e riprodurre i pregiudizi che lo
riguardano. Ma come funziona uno stereotipo?
L’orientamento
più recente afferma che lo stereotipo coinvolge tre processi cognitivi.
Il primo processo che entra in gioco è il processo di differenziazione o
polarizzazione in base al quale il gruppo esterno viene percepito come
più omogeneo di quanto sia. Il pericolo di questo processo proviene dal
fatto che si sottovalutano le differenze che esistono tra le persone
perciò non si riesce a percepire le differenze esistenti tra gli
individui che fanno del gruppo estraneo.
Il
secondo processo mentale che entra in gioco riguarda la memoria perché
si è notato che si tende a conservare più facilmente la traccia
mnemonica dei fatti negativi e che gettano discredito sul gruppo rivale o
estraneo piuttosto che ricordare gli elementi favorevoli o positivi che
lo riguardano. Poi vi è l’ultimo processo in base al quale tendiamo a
tralasciare le informazioni che danno torto alle nostre convinzioni, in
quanto le invalidano.
In
conseguenza a questo fatto, preferiamo stabilire correlazioni tra delle
caratteristiche che non sono significative, piuttosto che sentirci dare
torto perciò preferiamo costruire convinzioni illusorie. E tutto questo
è ciò che accade, a prescindere dal fatto che gli stereotipi sociali
costruiti siano positivi o negativi. Il tratto principale dello
stereotipo è che esso viene accettato e condiviso dagli singoli per
ottenere una comprensione più efficace della realtà.
Ma
lo stereotipo comporta l’accettazione di una rigidità mentale che è
ancorata alla cultura e nella personalità dei membri di quella cultura:
l’aspetto critico è vedere se questo sia immodificabile o meno.
Un’indagine condotta da sociologici e psicologi studiò gli stereotipi
razziali esistenti nella società americana contemporanea. Nella ricerca
si fece un’indagine telefonica contattando dei numeri a caso nel
Connecticut e così si intervistarono 686 residenti. Gli studi misero in
evidenza che gli stereotipi negativi sui “neri” erano molto più diffusi
di quanto si credeva, perché la maggioranza degli intervistati aveva
ancora delle credenze stereotipe sui “neri”.
Infatti,
molti intervistati dissero che i bianchi erano più abili nel pensiero
astratto rispetto alle persone di colore, e la metà degli intervistati
disse che le persone di colore hanno il cranio più sottile rispetto al
cranio dei bianchi. Le statistiche su questi studi confermano che il
mezzo migliore per prevenire la formazione di stereotipi è quello di
elevare il livello di preparazione scolastica cioè è quello di
migliorare il grado di istruzione.
Si
è visto che quelli che non avevano un diploma di scuola superiore
presentavano una percentuale doppia di risposte contenenti stereotipi
razziali rispetto a chi aveva il diploma di scuola superiore. Gli
studiosi confermano che vedere il mondo tramite idee rigide e di
interpretarlo per mezzo del filtro illusorio di questi rigidi schemi
mentali è dovuto all’ignoranza. Allora si tratta di ammettere che, nella
nostra società, esistono degli atteggiamenti che devono essere
modificati, e questo è difficile perché la nostra società agisce per
stereotipi.
La
società moderna usa abilmente e strumentalmente i meccanismi
dell’inclusione e dell’esclusione sociale per rafforzare il senso di
dipendenza degli individui. Il risultato è la creazione di interazioni
sociali che rafforzano l’inadeguatezza e l’incertezza delle persone.
Abbiamo creato contesti in cui l’esclusione mira a ridurre l'identità
dei singoli, perciò escludiamo per ridurre le potenzialità, le capacità e
le opportunità degli individui.
Lo
stereotipo implica una dimensione totalizzante che non ammette la
ricchezza della personalità del singolo. Il diverso è l'altro ossia il
nero, lo straniero, l’omosessuale, il femminile e l’handicappato fisico o
mentale che diventano gli elementi di disturbo per una società che
esalta la perfezione, l’efficienza del corpo, la salute, la normalità e
il consenso. Tutto quello che ricorda l’incapacità di accettare le
regole diventa un limite e un disturbo. La buona notizia, per gli
studiosi, è che ogni stereotipo anche il più diffuso e condiviso non
viene mai accettato da tutti, perciò possiamo agire sulla mancanza di
consenso totale.
Buona erranza
Sharatanfonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/07/stereotipi.html
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