Dal Grande Fratello orwelliano alla guerra psicologica
...E’ davvero incredibile come Orwell sia riuscito ad avere, già nel 1948, una visione talmente netta e dettagliata di quella realtà – massmediatica prima ed informatica poi – dalla quale milioni di esseri umani sarebbero stati sempre più condizionati, se non asserviti del tutto, grazie ad una sottile revisione del pensiero e dell’espressione linguistica, che lo veicola e ne è l’ovvio interfaccia.
Mi sono
ricordato allora di un mio vecchio scritto – datato non a caso 1984…-
nel quale analizzavo questa manipolazione logica (“Bispensiero/Doublethink”) e linguistica (“Neolingua/ Newspeak”), suggerendo anche una strategia per opporsi, nonviolentemente, ad entrambi. Ecco uno dei brani del romanzo che citavo:
“Se si vuole comandare e persistere nell’azione di comando, bisogna anche essere capaci di manovrare e dirigere il senso della realtà… […] Bispensiero sta a significare la capacità di condividere simultaneamente due opinioni palesemente contraddittorie ed accettarle entrambe […] La Neolingua era intesa non ad estendere ma a diminuire la possibilità di pensiero; si veniva incontro a questo fine, indirettamente, col ridurre al minimo la scelta delle parole…” (questa e le successive citazioni erano tratte dall’ediz. italiana, Milano, Mondadori,1983).
Rileggere,
oggi, questi brani del romanzo orwelliano fa venire i brividi. Come non
restare stupiti, poi, di fronte alla constatazione che questi due
processi di “addomesticamento” e massificazione del pensiero e del
linguaggio, mediante un’accurata programmazione della mente umana, erano
stati previsti dall’autore intimamente legati all’uso delle tecnologie
informatiche?
Programmare
un linguaggio-macchina, sottolineava già negli anni ’70 il cibernetico
Silvio Ceccato, comporta l’eliminazione di ogni forma di originalità
biologica e culturale, allo scopo di perseguire una “oggettività” ed
“universalità” comunicativa, sì da
“…sopprimere i contenuti del pensiero-linguaggio che fanno riferimento alla personalità dei parlanti…” (S. Ceccato, La terza cibernetica. Per una mente creativa e responsabile, Milano, Feltrinelli, 1975)
Tornando
alla cronaca di quanto sta accadendo oggi in Siria – ma è da poco
accaduto in molti altri paesi arabi del Mediterraneo – è evidente che
l’informazione ha fatto largo uso di tutte le tecniche neo-linguisticheper
indirizzare subdolamente le menti di lettori, ascoltatori,
telespettatori e cybernauti nella direzione voluta da chi ha deciso da
anni chi sono i buoni ed i cattivi, facendo derivare da questo assioma
tutte le altre considerazioni.
“Il 4 aprile 1951, il presidente statunitense Truman istituì lo Psychological Strategy Board (PSB), il primo organismo statale destinato a pianificare, coordinare e condurre operazioni di controllo psicologico di massa. I primi manipolatori psicologici compresero che quando si vuole agire su una quantità enorme di soggetti, bisogna “trasformare la realtà”. E il modo più efficace e rapido per cambiare la realtà a nostro piacimento è cambiare le parole con cui descriviamo la realtà. “La sostituzione di una sola parola – scriveva William Nichols (direttore di “This week magazine” – può aiutare a mutare il corso della storia”.
Noi comuni
mortali, ovviamente, ignoriamo che alle nostre spalle e sulle nostre
teste migliaia di persone siano state accuratamente formate alla
manipolazione del pensiero e del linguaggio, in modo da far giungere al
nostro cervello solo le informazioni gradite, escludendo le altre che,
guarda caso, sono spesso proprio quelle vere… Eppure, ricorda
Marescotti, già nel 2002
“…il New York Times riportò che l’Office of Strategic Influence (OSI) del Pentagono stava “elaborando dei progetti per divulgare notizie, magari anche false, a beneficio dei media stranieri nell’ottica di influenzare l’opinione pubblica e i decisori politici di paesi amici e non”.
Quando però i militari della NATO si resero conto che la sigla “PSYOPS” ( Psycological Operations)
era troppo esplicita, in una nota ufficiale il Tenente Colonnello Steve
Collins – a capo della struttura omonima con sede presso il Comando
Supremo in Belgio – corresse il tiro, scrivendo che sarebbe meglio“…”
utilizza(re) una terminologia più vaga, evitando termini come operazioni psicologiche e optando per quelle che alcuni consideravano delle espressioni più accettabili come “operazioni di informazione”. (vedi: http://www.nato.int/docu/review/2003/issue2/italian/art4.html )
La “verità” confezionata dai militari
Siamo di fronte ad un’abituale applicazione del “Newspeak” che caratterizza ormai il linguaggio dei media, contrassegnato da espressioni “polically correct”o, comunque, capaci di non impressionare negativamente il lettore-ascoltatore-spettatore. Chiamare “operazioni informative” quelle che nascono invece come manipolazioni psicologiche è di per sé una mistificazione. Nello stesso Dizionario dei Termini Militari e di quelli Associati, a cura del Dipartimento della Difesa USA ( JP 1-02 DOD Dictionary of Military and Associated Terms) troviamo scritto, infatti, che:
“Le Operazioni Psicologiche sono operazioni pianificate per veicolare informazioni ed indicatori selezionati ad un pubblico straniero, per influenzare le loro emozioni, motivazioni, ragionamenti oggettivi e, in ultimo, il comportamento dei governi stranieri, come di organizzazioni, gruppi ed individui.”
Queste operazioni – che si integrano con quelle di “intelligence”
e di “guerra psicologica” – vengono perfino designate con un colore
diversificato, a seconda del grado di mistificazione raggiunto. Quelle
“bianche”, infatti, sono azioni attribuite al loro effettivo autore (i
servizi informativi della Difesa o, comunque, del Governo. Quelle
“grigie” sono “deliberatamente ambigue” ed attribuibili a fonti
non-ufficiali. Le operazioni “nere”, infine, sono addirittura
attribuite a fonti abitualmente ostili alla politica governativa, e sono
utilizzate come un supporto segreto e “coperto” ai piani strategici
“scoperti” dei militari.
Dal 1985 (anno significativo…) la sede dell’USA-CAPOC (U.S. Army Civil Affairs and Psycological Operation Command (http://www.usacapoc.army.mil/ ) si
trova a Fort Bragg (North Carolina) e comprende due Unità Operative
dedicate alle PSYOPS, una nell’Ohio e l’altra in California. Ho notato
che lo stemma del primo Gruppo riporta una fiaccola (simbolo del sapere)
che s’incrocia in basso con due saette, convergenti sul cartiglio col
motto latino “veritas”. L’altra unità è contrassegnata da uno stemma con
la stessa fiaccola, questa volta però affiancata a sinistra da una
penna d’oca e a destra da una spada ricurva. Le stesse insegne ufficiali
ed i distintivi del CAPOC rappresentano poi il “cavallo” degli scacchi,
circondato dal motto: “Persuadere-Cambiare-Influenzare” (fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/USACAPOC ).
Il guaio è
che la principale vittima di questi corpi militari scelti è proprio
quella “verità” di cui essi vorrebbero farsi scudo ma che, per essere
tale, non può né deve essere sottoposta ad un trattamento finalizzato a
persuadere la gente, a cambiare i fatti e ad influenzare le opinioni.
Non pensiamo, d’altra parte, che questa specie di “psycological warfare” riguardi
esclusivamente i militari statunitensi ed il Pentagono. L’Italia,
infatti, non ha mai smesso di far parte di quell’Alleanza Atlantica alla
quale resta tuttora vincolata in tutti i sensi, al punto che la sua
stessa sovranità nazionale me risulta pesantemente limitata ed il
territorio ed il mare italiani sono costantemente sottoposti al ferreo
controllo della NATO.
Un articolo di A. Scarpitta del marzo 2010, poi, ci informa sulle “psyops” italiane in Afghanistan con queste parole:
“La comunicazione operativa si prefigge lo scopo di far conoscere, in maniera adeguata e credibile, il fine dell’impegno militare italiano e alleato in Afghanistan, modificando positivamente la percezione di tale impegno presso la popolazione locale, grazie alla capacità di accentrare, controllare e gestire le informazioni” […]. Lo scopo è poter influenzare le percezioni, le suggestioni ed il comune sentire dei civili attraverso l’analisi dell’impatto psicologico delle operazioni ed orientare tali sentimenti a favore del nostro operato. […]In questo contesto, le comunicazioni operative debbono fornire e gestire le notizie in termini coerenti con le necessità delle operazioni e con le finalità del nostro impegno militare, contribuendo a creare un clima generale favorevole al buon esito della missione…”. (http://www.loccidentale.it/articolo/enduring+freedom.+le+psy+ops+italiane+in+afghanistan+.00873809 )
Apprendiamo
dal citato articolo che, per studiare e divulgare a loro volta queste
interessate “elaborazioni” della verità fattuale, così da meglio
asservirla alle finalità delle operazioni militari e per giustificarle
agli occhi dell’opinione pubblica, i nostri bravi militari seguono degli
appositi corsi. Essi si addestrano a queste tecniche, col supporto di
specialisti informatici, giornalisti, psicologici ed altri compiacenti
“tecnici”, presso una struttura nazionale, ma anche in dotti corsi
accademici all’estero.
“Questi compiti fuori dal comune sono affidati al 28° Reggimento Comunicazioni Operative “Pavia”, un assetto specialistico pregiato del nostro esercito di recentissima costituzione basato a Pesaro […] La Sezione Corsi, inserita nell’Ufficio OAI (Operazioni Addestramento Informazioni). Il “Pavia” è infatti sia unità di impiego che addestrativa, provvedendo direttamente alla formazione del proprio personale. […] A questo si aggiunge, per gli aspetti più marcatamente militari, la stretta collaborazione con forze alleate che già dispongono di esperienze consolidate nel settore delle operazioni psicologiche, come il Civil Affairs/Psychological Operations Command (CAPOC/A) statunitense, che assicura corsi e seminari tenuti a Fort Bragg o a domicilio da istruttori molto qualificati, o la Scuola di Intelligence britannica.[…] A tal fine alcuni elementi qualificati vengono inviati presso enti e comando alleati all’estero, come lo SHAPE o la NATO School di Oberammergau.”(vedi art.cit.).
Ebbene,
adesso sapete che, quando ascoltate un notiziario TV, leggete un
quotidiano oppure navigate in Internet – il vero “Grande Fratello” è
sempre presente, con la sua preoccupante capacità di controllare e di
orientare il pensiero, anche attraverso il linguaggio quotidiano. Nel
caso della politica, poi, siamo di fronte a quelle che qualcuno ha
efficacemente definito
“armi di disinformazione di massa”.
L’intenzione, spiegava Orwell, è quella di rendere ogni discorso
“…indipendente il più possibile da una corrente di pensiero operante…”,
facendo
della Neolingua – asettica, omologata e ambivalente – il codice ideale
per impedire ai nostri cervelli di svolgere il loro pericoloso compito
di comprensione,di analisi e di valutazione della realtà.
Ormai resi
ottusi, massificati ed istupiditi, vivremmo forse più tranquilli, però
avremmo smarrito del tutto la nostra scienza e coscienza, come
c’insegnava già 250 anni fa il saggio Voltaire:
“Non avete vergogna ad essere infelice, dal momento che alla vostra porta c’è un vecchio automa che non pensa a nulla e che vive contento?” “Avete ragione – mi rispose – cento volte mi son detto che sarei felice se fossi stupido come la mia vicina, e tuttavia non saprei che farmene di una felicità così…” (Voltaire, Il bianco e il nero ed altri racconti, 1764 ).
PEACEDU VS PSYOPS : quando la pace si fa con le parole
Come fare formazione alla disinformazione…
Vorrei continuare il discorso iniziato nel mio precedente articolo PSY…OPS! Quando la guerra si fa con le parole.,
cercando da un lato di approfondire un aspetto della guerra da cui
siamo bersagliati un po’ tutti e, dall’altro, di chiarire quali risposte
costruttive e nonviolente può e deve opporre chi, invece, ha come
obiettivo la pace.
Devo dire che questa storia delle PsyOps
mi ha incuriosito parecchio, ragion per cui ho cercato di capirne
qualcosa di più, utilizzando quella ‘rete’ che è uno dei principali
strumenti non solo di persuasione occulta di tipo commerciale, ma anche
di subdola guerra psicologica.
Da insegnante e da ricercatore/educatore per la pace, ad esempio, m’intriga non poco l’idea stessa di una “Scuola della NATO” (https://www.natoschool.nato.int/index.asp
) , nella quale militari di ogni nazionalità possono usufruire di una
“offerta formativa” per tutti i gusti… Come spiega la guida di questa
nobile istituzione ‘alleata’ – la cui sede si trova ad Oberammergau –
la NATO School
“…fornisce corsi d’istruzione residenziali in cinque principali discipline: 1) Intelligence; 2) Sorveglianza, Acquisizione e Riconoscimento del Bersaglio (ISTAR); 3) Operazioni Congiunte; 4) Armi di distruzione di Massa (WMD); 5) Politica e Programmi NCO.”
Con una
spesa piuttosto modica, è possibile essere ospiti per qualche settimana
della discreta ed accogliente struttura della N.S.O., collocata in un
ridente villaggio nelle alpi bavaresi, per approfondire e specializzare
le proprie conoscenze, mediante
“educazione ed addestramento individuale a sostegno delle operazioni correnti ed in via di sviluppo, della strategia, della politica, dottrina e procedure della NATO”.
Devo
ammetterlo. La sola idea di un giovane ufficiale turco, inglese o
italiano che – da solo o magari anche in compagni di moglie e figli –
se ne vada in trasferta in questa graziosa cittadina della Baviera per
svolgervi qualcosa tra un “ritiro spirituale” ed un “training”
aziendale, alternando passeggiate nei boschi con dotti seminari sulle
armi di distruzione di massa, mi provoca una certa nausea…
Innegabilmente, la NATO School
ha un piglio molto professionale. Facciamo conto che a voi o ai vostri
superiori interessi approfondire, metti caso, proprio le PsyOps.
Basta consultare la “guida dello studente” sul suo sito per avere tutte
le informazioni in proposito. Si viene a sapere, infatti, che per due
volte all’anno si tiene il corso denominato “P3-08: Nato Operations Planners’ PsyOps”, la
cui durata è di 2 settimane e che è rivolto ad un minimo di 25 ed un
massimo di 60 persone, selezionate fra ufficiali e civili ‘equivalenti’.
Ovviamente
ai potenziali corsisti sono richiesti precisi “pre-requisiti’
(conoscenza di ottimo livello della lingua inglese, formazione di base
sulle tecniche di psy-ops, conoscenza delle direttive NATO, etc.), ma si
garantisce il conseguimento di qualificati obiettivi formativi. Fra
questi, il
“possesso di una sufficiente comprensione della psicologia e della sociologia di base, per essere capaci di adottare questa conoscenza nella pianificazione a livello operativo allo scopo di cambiare atteggiamento o comportamento di un determinato pubblico” .
Si persegue anche la finalità di:
“possedere una migliore conoscenza della misurazione e valutazione del successo…delle attività psicologiche volte ad influenzare atteggiamento o comportamento di un determinato pubblico”.
Fra gli altri obiettivi del Corso in questione c’è anche quello di
“comprendere organizzazione, integrazione, mancanze, opportunità e requisiti delle PsyOps, a partire da operazioni reali selezionate.” Insomma, bastano due settimane di “full immersion”
nello studio dei tanti casi precedenti di guerra psicologica per
conseguire una competenza non solo nella loro realizzazione, ma anche
nella valutazione del loro impatto e nella correzione degli eventuali
‘punti deboli’.
L’esperienza di uno “psico-guerriero”
Il linguaggio utilizzato è volutamente anodino e lascia intendere che si tratta d’un insegnamento come gli altri, sebbene non riguardi affatto di tecniche e metodologie valutative per l’insegnamento oppure per un trattamento psicologico, bensì quelle utilizzate dai militari per manipolare conoscenze, idee e comportamenti di migliaia di persone. Che si tratti di “armi di disinformazione di massa” risulta più evidente se, navigando in Internet, si finisce nel sito un po’ esaltato di un ‘veterano’ delle PsyOps , il maggiore a riposo Ed Rouse, dell’U.S. Army. Questo baffuto ufficiale – che si fa chiamare simpaticamente“Psywarrior” (Psicoguerriero) – chiarisce nelle sue note biografiche di parlare con perfetta cognizione di causa (20 anni d’onorata carriera militare, parecchi dei quali all’interno di quei reparti speciali che si occupano, appunto, di Psy-Ops) ma, con la stessa semplicità, c’informa che sua moglie Sheila è un’avida collezionista di orsacchiotti (teddy bear) e che entrambi si dilettano a fare acquisti nei “mercati delle pulci”… Questo “Rambo” della guerra psicologica, ormai in pantofole, presenta però in modo molto meno bonario e casalingo l’attività di cui si è occupato a lungo.
Sulla homepage del suo sito web (www.psywarrior.com ), ci spiega infatti che nell’arte della guerra (warfare) ci sono essenzialmente due forze: quella fisica e quella morale,
che richiedono due distinti approcci. Quello che il mag. Rouse chiama
un po’ eufemisticamente “morale” viene considerato “indiretto” ed è
sintetizzato dall’anonima citazione che apre la pagina: “Cattura le loro menti e i cuori e le anime seguiranno”. Ebbene, quando il nostro Psicoguerriero usa
il termine “catturare” non lo fa, ovviamente, nel senso in cui potrebbe
usarlo un missionario e neppure come lo farebbe un pubblicitario
professionista. E’ lui stesso a darne dimostrazione, squadernando una
lunga storia di ciò che è stato nel corso dei secoli la guerra
psicologica, da Alessandro Magno all’operazione “Desert Storm”, da
Gengis Khan alla guerra nel Vietnam. Soprattutto, il mag. Rouse ci
tiene a chiarire il senso di queste operazioni, che così definisce:
“…si tratta semplicemente d’imparare tutto sul vostro nemico-bersaglio, quello che credono, ciò che gli piace o non gli piace, i loro punti di forza e di debolezza e vulnerabilità. Una volta che avete conosciuto ciò che motiva il vostro bersaglio, siete pronti ad iniziare le operazioni psicologiche.[…] Una campagna di guerra psicologica è una guerra della mente. Le vostre principali armi sono la vista e il suono….”.
La pagina dei “links” che accompagna questa specie di storia della “Psycological Warfare” risulta ancor più istruttiva. Basta, infatti, navigare tra i tanti collegamenti informatici – dal sito del Comando Centrale ( http://www.soc.mil/
) alle pagine dedicate all’uso dei volantini oppure del Web nella
psico-guerra – per farsi un’idea di quanto avesse ragione George Orwell,
il profeta dell’attuale, pervasivo, “Big Brother” nel prefigurare una civiltà narcotizzata ed omologata dal potere dominante.
Controinformar e organizzar…
Sì, è vero che oggi non le chiamano più “Psycological Operations”, preferendo ricorrere alla più inoffensiva denominazione di “Information Operations”. Si tratta però d’un caso evidente della orwelliana Neolingua, in quanto si rimuove l’insidiosità del richiamo alla “psiche” per limitarsi a parlare di generica “informazione”. Ma è lecito domandarsi che razza d’informazione sarebbe quella il cui proposito – secondo il Mag. Rouse – è così riassunto:
“…demoralizzare il nemico, causando dissenso ed agitazione nelle sue fila, mentre allo stesso tempo si convince la popolazione locale ad appoggiare le truppe americane. Le PsyOps forniscono ai comandanti tattici sul campo anche una continua analisi degli atteggiamenti e comportamenti delle forze nemiche, cosicché possano sviluppare, produrre ed impiegare la propaganda in modo da aver successo…”.Si tratti delle immagini volutamente distorte diffuse negli anni ’60 sul Vietnam oppure dell’ultima campagna propagandistica per giustificare un intervento armato in Siria, le subdole “armi di disinformazione di massa” sono sempre le stesse, ma perfezionate e potenziate dalle moderne tecniche massmediatiche. Demistificarle non è certo semplice e richiede una grande e continua attenzione da parte di chi vorrebbe fare contro-informazione, ma è ovviamente handicappato dalle scarse forze disponibili e dall’assenza di risorse finanziarie che possano minimamente contrapporsi a quelle che muovono le operazioni di guerra psicologica.
Va detto
però, onestamente, che nessuna propaganda o campagna mediatica potrebbe
funzionare se non ci fossero moltissimi operatori dell’informazione
disposti a farsi assoldare.
Altrettanto
onestamente, poi, va riconosciuto che, purtroppo, dagli anni ’70 ad
oggi si è costruito ben poco in ambito della ricerca sulla pace e della
formazione alla risoluzione nonviolenta dei conflitti.
I“peace studies”
e la stessa educazione alla pace sono stati troppo spesso ridotti ad
ambiti di ricerca e formazione puramente accademica. Viceversa, la rete
delle organizzazioni pacifiste e nonviolente si è oggettivamente
indebolita ed ha perso il suo carattere internazionalista e globale, pur
partendo da azioni locali e specifiche. La stessa idea di “alternativa
nonviolenta” si è a poco a poco sbiadita, confinando Gandhi, Luther King
– ma anche il nostro Capitini – nella soffitta un po’ polverosa degli
eventi celebrativi e delle tesi di laurea. Per quanto mi riguarda, mi sono occupato sia dei rischi che corre in Italia una “peace education” banalizzata e strumentalizzata (E. Ferraro, Educazione o maleducazione alla pace?, Napoli 2008 – http://www.peacelink.it/pace/docs/2873.pdf ), sia della riscoperta della Nonviolenza (E. Ferraro, Nonviolenza qui e ora, Napoli 2010 – http://forummediterraneoforpeace.it.forumfree.it/?t=50946838 , sia delle caratteristiche e delle potenzialità ancora poco valorizzato dell’ecopacifismo (E. Ferraro, Ecopacifismo: visione e missione, Napoli 2011 – http://www.vasonlus.it/per-la-stampa/gli-editoriali/968-ecopacifismo-libia.
Ma il mio
punto di partenza, all’inizio degli anni ‘80, era stato proprio quello
della comunicazione nonviolenta e della formazione ad una lingua di
pace. Il mio opuscolo (E. Ferraro, Grammatica di Pace – Otto Tesi per l’Educazione Linguistica Nonviolenta, Torino, Satyagraha,1984 –http://www.libreriauniversitaria.it/grammatica-pace-otto-tesi-educazione/libro/9788876900198
) cercava, infatti, di proporre un percorso educativo che raggiungesse
innanzitutto i giovani, per formarli ad un linguaggio che servisse a
risolvere nonviolentamente i conflitti e non a coltivarli. Dopo una
lunga stagione di disinteresse per la comunicazione pacifica e pacifista
– fatta eccezione per alcune interessanti esperienze proprio negli USA
con le opere sulla N.V.C.di Marshall Rosemberg (http://www.nonviolentcommunication.com/aboutnvc/aboutnvc.htm ), devo dire che, finalmente, qualcosa sembra muoversi anche nel nostro Paese.
Proprio in
questi giorni, infatti, ci si presentano almeno due occasioni di
formazione in questa auspicabile direzione. La prima, organizzata dal
Centro Studi Difesa Civile di Roma, è un “Corso di Comunicazione Costruttiva”, che si svolgerà alla Casa per la Pace di Impruneta (FI) dal 20 al 21 febbraio (http://www.pacedifesa.org/canale.asp?id=498 ). La seconda è un “training alla nonviolenza”, promosso dal Centro per la Nonviolenza nei Conflitti di Napoli (www.cenocon.it
), che affronterà in più incontri, da marzo a maggio, le relazioni
interpersonali ed il metodo per renderle più empatiche e nonviolente.
Il
vero problema, allora, è quello di mettere insieme tante esperienze e
percorsi e farli interagire, per organizzare una rete di
controinformazione e comunicazione e per la trasformazione nonviolenta
dei conflitti. E’ un obiettivo davvero ambizioso, ma prorprio per questo
penso che dobbiamo darci da fare, al più presto. Prima che il Grande Fratello ed i suoi accoliti del “Ministero della Verità” riescano davvero a convincerci tutti che, secondo la logica del “bispensiero”: “”WAR IS PEACE,” “FREEDOM IS SLAVERY,” “IGNORANCE IS STRENGTH”…..
Ermete Ferraro
FONTE
http://www.nogeoingegneria.com/motivazioni/sociale/psyops-quando-la-guerra-si-fa-con-le-parole/
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