giovedì 16 aprile 2015

Il decreto antiterrorismo è legge.


Alfano esulta: “Difendiamo democrazia e libertà”
 
Via libera definitivo al decreto antiterrorismo da parte del Senato: restano enormi dubbi su alcune misure (incomplete e poco chiare). 

Via libera definitiva al disegno di legge di conversione del decreto legge “Misure urgenti per il contrasto al terrorismo, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia”. Si tratta del controverso dl antiterrorismo, sul quale il Governo aveva posto la questione di fiducia, tagliando la discussione nell’Aula del Senato, dopo le polemiche seguite all’approvazione della Camera dei deputati: i voti favorevoli al Governo sono stati 161, i contrari 108 con una astensione.


Immediato il commento entusiasta del ministro dell’Interno Angelino Alfano:
“Il decreto antiterrorismo è legge! Da oggi più forti nella lotta al terrorismo per la difesa della democrazia e della libertà”. E palese la soddisfazione al Viminale, che ha rilasciato una nota in cui si parla di una legge che “rafforza la normativa penale in materia di terrorismo internazionale e affida al procuratore nazionale Antimafia il coordinamento delle inchieste sul terrorismo” e che contiene alcune novità di rilievo come “l'innalzamento delle pene per il delitto di arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, il reato di ‘organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo' finalizzato a colpire i foreign fighter, e le sanzioni penali per i cosiddetti ‘lupi solitari' che organizzano attentati in Italia”.

Come dicevamo, il provvedimento presenta una serie di criticità e di aspetti poco chiari, come del resto rilevato nella relazione illustrativa seguita al dibattito in Commissione. Stralciata la norma che avrebbe consentito di “controllare” computer, smartphone e tablet di ogni cittadino (resta da capire se “rientrerà dalla finestra” quando si deciderà di mettere mano alla questione “intercettazioni”), restano altri elementi molto controversi, in particolare per quel che concerne la prevenzione, le misure per il contrasto del proselitismo attraverso internet dei foreign fighters e il controllo sui provider e sui siti web. 


Cosa c’è nel decreto “antiterrorismo” e perché è da fermare

Misure confuse e poco chiare, provvedimenti spot e una incomprensibile riduzione degli spazi di libertà individuale (soprattutto per gli stranieri che risiedono nel nostro Paese, la cui privacy viene definitivamente cancellata); il tutto in ossequio alla logica dell'emergenza: ecco cosa è (diventato) il decreto legge antiterrorismo del Governo Renzi.
Aggiornamento 26/03: Stando a quanto si apprende in queste ore, il Presidente del Consiglio avrebbe chiesto lo stralcio della norma sui "captatori occulti" e sulla possibilità dunque di "spiare" computer e tablet dei cittadini; la questione sarà inserita nel disegno di legge sulle intercettazioni, al momento oggetto dell'esame preliminare delle commissioni. Si tratta di una scelta di buonsenso che non cancella però i limiti di un provvedimento più che discutibile.

È in discussione alla Camera dei deputati il controverso disegno di legge di conversione del decreto legge “Misure urgenti per il contrasto al terrorismo, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia”. Il decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 19 aprile e in scadenza il 20 aprile 2015, è stato approvato dal Consiglio dei ministri del 10 febbraio: l’utilizzo della procedura di urgenza è stato giustificato con la necessità di interventi rapidi e concreti per rispondere alla minaccia jihadista e al terrorismo internazionale. È persino superfluo sottolineare come si tratti di un provvedimento guidato da una logica emergenziale che risente dell’impatto “emozionale” dell’escalation politico - militare dello Stato islamico e degli eventi degli ultimi mesi. Insomma, come sempre, si risponde ad una emergenza (?) sicurezza con provvedimenti che restringono le libertà individuali e che calpestano la privacy dei cittadini (soprattutto stranieri, come vedremo). Nulla di nuovo, si dirà.

Di cosa parla il decreto legge antiterrorismo

Il testo si compone di 21 articoli, divisi in 5 capi. Il primo capo riguarda le “disposizioni di contrasto del terrorismo internazionale”, con l’articolo 1 che modifica le norme del codice penale relativamente ai delitti di terrorismo, in modo da prevedere:
  • la reclusione da 3 a 6 anni per i foreign fighters (“ovvero coloro che si arruolano per il compimento di atti di violenza, con finalità di terrorismo”)
  • la reclusione da 3 a 6 anni per “chiunque organizzi, finanzi o propagandi viaggi finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo” (sul punto si noti la denuncia di Antigone, che sottolinea il rischio che siano coinvolti anche i cittadini che, ad esempio, decidano di recarsi in Palestina o Kurdistan)
  • la reclusione da 5 a 10 anni per chi viene sorpreso ad organizzare atti terroristici, dopo essersi documentato sulle “tecniche di commissione di atti di violenza con finalità terroristiche”
  • l'aggravamento della pena per chi utilizza “strumenti telematici o informatici” per l’addestramento ad attività con finalità terroristiche
L’articolo 2 invece disciplina il “contrasto alle attività di proselitismo attraverso Internet dei foreign fighters”. Si prevede un aggravamento della pena per i reati di istigazione ed apologia di terrorismo commessi “tramite strumenti informatici e telematici”; si dà la possibilità alla polizia postale di avere una black list dei siti internet “sospetti”; si introduce l’obbligo, in capo agli internet provider, di rimuovere contenuti illeciti; si autorizza l’unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia a fornire al ministero dell’Interno i dati, anche riservati, su anomalie nelle transazioni finanziarie. 

Con l’articolo 4 poi si rende possibile l’espulsione degli stranieri anche solo per “motivi di prevenzione del terrorismo”, se risultano alle autorità “rilevanti atti preparatori diretti a partecipare ad un conflitto all'estero a sostegno di organizzazioni che perseguono finalità terroristiche”. L’articolo 6, invece, tratta della modifica al dl antiterrorismo del 2005, stabilendo la possibilità del rilascio di un particolare tipo di permesso di soggiorno “a fini investigativi”. In sostanza potranno essere concessi “permessi di soggiorno anche nel corso di operazioni di polizia […] introducendo in via transitoria la possibilità per i servizi di informazione e sicurezza di effettuare colloqui con detenuti per prevenire delitti con finalità terroristica di matrice internazionale”. 

Il rafforzamento dei “servizi di informazione e sicurezza interna” passa poi per la modifica delle norme che regolano la privacy (viene sostanzialmente aumentata “la portata” del trattamento dei dati per finalità di polizia), per l’attribuzione al personale delle Forze Armate della qualifica di “agente di pubblica sicurezza con funzioni di polizia di prevenzione” e infine per le “tutele agli agenti dei servizi” in caso di reati commessi nel corso delle operazioni (si garantirà l’anonimato, in pratica).

I punti oscuri delle misure antiterrorismo

Le critiche al testo sono molteplici e solo in parte riguardano la coesistenza di misure diverse (rifinanziamento delle missioni internazionali, nuovo assetto della direzione antimafia e dotazione per Terra dei Fuochi ed Expo, ad esempio): per adesso preferiremo però soffermarci sulle norme specifiche in materia di antiterrorismo.

Prima di tutto è utile notare che, data l’entità delle pene previste (3 - 6 anni), sarà possibile l’applicazione della custodia cautelare per i sospettati (anche se non ci sarà l’arresto obbligatorio in flagranza di reato). Una questione controversa, dal momento che da una prima interpretazione era evidente il rischio di arresti ad esempio per una “mera adesione” a richieste di arruolamento, proclami terroristici e via discorrendo: solo successivamente, dal dibattito in Commissione (e nella relazione illustrativa) si è giunti a specificare che “la condotta dell’arruolato cui si fa riferimento non si esaurisce nella prestazione del mero assenso al compimento di reati con finalità terroristiche […] ma la condotta in questione consiste nel mettersi seriamente e concretamente a disposizione come milite, e quindi soggiacendo a vincoli di obbedienza gerarchica, per il compimento di atti di terrorismo, pur al di fuori ed a prescindere dalla messa a disposizione con assunzione di un ruolo funzionale all’interno di una compagine associativa, tradizionalmente intesa”. Ma la questione è tutt’altro che risolta, come nota il servizio studi della Camera:
In ordine alla formulazione del testo, si evidenzia che quanto affermato dalla relazione illustrativa non trova pieno riscontro nella fattispecie penale che punisce il soggetto “passivo” del reclutamento. Inoltre, il momento di consumazione del reato non risulta chiaramente identificato. Sembrano inoltre presumibili difficoltà in ordine alla prova del commesso reato.
È però l’articolo 2 a destare maggiori preoccupazioni e perplessità, proprio perché introduce misure “per il contrasto alle attività di proselitismo attraverso Internet dei foreign fighters”. La modifica dell’articolo 302 del codice penale, infatti, introduce un’aggravante di un terzo della pena quando l’istigazione a “commettere i reati contro la personalità interna e internazionale dello Stato” avvenga attraverso strumenti informatici; discorso simile per la modifica dell’articolo 414 che punisce l’istigazione a delinquere e l’apologia di terrorismo. Come avviene per i reati legati alla pedopornografia, la polizia postale manterrà aggiornata una black list dei siti sotto osservazione, senza peraltro che si conoscano le specifiche di questo “livello di controllo” (in sostanza, quali siti verranno monitorati? Cosa altro comporterà l’inserimento nella black list e quali sono i “parametri oggettivi” per finirci? Come si supereranno i problemi legati alle traduzioni e ai riferimenti allegorici che abbondano in un certo tipo di comunicazione?).
  
I provider e “altri soggetti che comunque forniscono servizi di immissione e gestione” saranno poi tenuti a inibire l’accesso ai siti inseriti nella black list, oltre che a rimuovere (su ordine del pubblico ministero) ogni tipo di contenuto “illecito”. Questo passaggio è particolarmente confuso, dal momento che non si capisce in primo luogo se tra gli “altri soggetti” sono inclusi i social network e, in secondo luogo, non è chiaro come si immagina di intervenire, ad esempio, sulle testate giornalistiche registrate che, per la legge sulla stampa, non possono essere “sequestrate preventivamente” né obbligate a rimuovere un contenuto in attesa di pronunciamento definitivo (sempre che non passi la nuova formulazione del ddl diffamazione, ovviamente…).
A peggiorare decisamente l’articolo 2 ci hanno poi pensato alcuni emendamenti già approvati in Commissione, che vanno a toccare la questione “privacy”. La prima denuncia è del garante sulla privacy che riassume così gli emendamenti più perniciosi:
  • l’emendamento che porta a 2 anni il termine di conservazione dei dati di traffico telematico e delle chiamate senza risposta (ora di un anno e, rispettivamente, di un mese) va nel senso esattamente opposto a quello indicato dalla Corte di giustizia l’8 aprile scorso […] In quella sede, la Corte ha ribadito la centralità del principio di stretta proporzionalità tra privacy e sicurezza; proporzionalità che esige un’adeguata differenziazione in base al tipo di reato, alle esigenze investigative, al tipo di dato e di mezzo di comunicazione utilizzato.
  • l’emendamento che ammette le intercettazioni preventive, disposte dall’autorità di pubblica sicurezza nei confronti di meri sospettati, per i reati genericamente commessi on-line o comunque con strumenti informatici. Anche in tal caso l’equilibrio tra protezione dati ed esigenze investigative sembra sbilanciato verso queste ultime, che probabilmente non vengono neppure realmente garantite da strumenti investigativi privi della necessaria selettività
Ancora più duro il deputato di Scelta Civica Stefano Quintarelli, che lancia l’allarme sulla possibilità che le intercettazioni avvengano anche “attraverso l’impiego di strumenti o di programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico”. Come scrive sul suo blog, infatti, con questo “emendamento l’Italia diventa,  per quanto a me noto, il primo paese europeo che rende esplicitamente ed in via generalizzata legale e autorizzato la  “remote computer searches“ e l’utilizzo di captatori occulti da parte dello Stato!” (e per giunta nemmeno restringendo il campo ai soli reati di matrice terroristica…). Scrive Quintarelli in un post che vale davvero la pena di leggere: 
 Ci si lamenta dell’uso disinvolto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, che sono in vero regolate e previste solo per alcuni reati, con limiti nei tempi e nei modi, e vietate nei domicili privati se non nei casi in cui i reati si svolgano presso il domicilio (art.266 c.p.p.), e poi si inserisce una norma che consente una attività assai più invasiva senza limiti e senza adeguate garanzie!
 Con questo non dico che i captatori siano sempre da vietare, ma il loro utilizzo deve esser regolato in modo se possibile ancora più stringente di quello delle intercettazioni: pena la violazione di principi costituzionali oggi più che mai fondamentali (artt.13/15 Cost).
Anche le modifiche in materia di misure di prevenzione personali e di espulsione dello straniero per motivi di prevenzione e terrorismo (articolo 4) sono tutt'altro che condivisibili. Nel complesso di una serie di modifiche che riguardano le “misure di prevenzione personali” (ad esempio la facoltà del questore di ritirare un passaporto o la possibilità dell’arresto in flagranza per l’uso di documenti non validi o “sospesi”), si inseriscono anche le modifiche al testo unico sull’immigrazione. Il prefetto ora potrà disporre “l’espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo” per gli stranieri che “svolgano rilevanti atti preparatori, diretti alla partecipazione ad un conflitto all’estero a sostegno di organizzazioni che perseguono le finalità terroristiche”, sostanzialmente anche in assenza di “prove certe” e con la possibilità di ricorrere al “controllo preventivo” tramite “intercettazioni di comunicazioni o conversazioni telefoniche anche per via telematica, e di comunicazioni o conversazioni tra presenti”, esteso anche al tracciamento delle comunicazioni telefoniche e telematiche e all’acquisizione dei dati esterni - i «dati del traffico» relativi alle suddette comunicazioni - e di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni”. Come a dire, della privacy degli stranieri ci importa davvero poco. Anzi, nulla.

 
Articolo a cura di Adriano Biondi


fonte: http://www.fanpage.it/cosa-c-e-nel-decreto-antiterrorismo-e-perche-e-da-fermare/

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