Nel mondo romano i cereali hanno rappresentato la principale fonte di cibo per uomini e animali domestici. I romani coltivavano il farro, l’orzo, il grano, il miglio e in misura minore il panico, l’avena e la segale. I tipi più utilizzati erano il grano e il farro, i più antichi, orzo e farro.
Farro, Triticum dicoccum –
Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) lo considerava primus antiquo…Latio cibus.
Il saggio Numa Pompilio (753-673 a.C.), secondo Re di Roma, decretò che
solo il farro tostato era puro per i sacrifici e per questo motivo
istituì le feste di Fornacalia in occasione della sua sua torrefazione.
Questo cereale dà il nome anche alla forma di matrimonio più antica e
solenne, la confarreatio, in cui i due sposi consumavano
insieme una focaccia di farro portato in dono dalla sposa. Molto antica è
anche la forma di offerta agli Dèi rappresentata dagli adoria,
doni confezionati con il farro. Base dell’alimentazione di Latini,
Etruschi e Romani, il farro può essere considerato a ragione il cereale
italiano per eccellenza.
Si tratta di un cereale rustico,
resistente ai rigori invernali, ai climi molto freddi e adatto ad ogni
tipo di terreno, ma in particolare a quelli argillosi e umidi. Veniva
seminato tra fine settembre e i primi di novembre e nei campi veniva
fatto ruotare con il lupino, la veccia o la fava.
Una volta raccolti, i chicchi venivano
tostati prima di essere macinati per ricavarne della farina. Per la
macinatura si usava un pestello o la molitura delle macine, anche
azionate ad acqua. Fino alla seconda metà del II secolo a.C. i mugnai e i
panettieri venivano chiamati pistores, ma solo coloro che macinavano il farro.
La farina veniva mescolata con acqua o latte e si usava per preparare il puls,
una farina semiliquida, che per molto tempo prima della diffusione del
pane fu il piatto tipico dei romani, tanto che i greci li chiamavano pultiphagi o pultiphagonides,
“mangiatori di puls”. Il farro poteva anche essere unito ad altri
cereali, come segale e orzo. Insieme alla veccia e al trifoglio si
otteneva la farragine, un miscuglio che si dava agli animali da
allevamento, ma che veniva impiegato anche per l’alimentazione umana nel
caso di carestie.
In Italia si coltivava anche il piccolo farro, Triticum monococco,
da cui si ricavava una farina raffinata chiamata alica. La migliore
veniva dalle campagne veronesi, pisane e campane. Con questa si
preparava un pane di ottima qualità, che si riteneva inventato nel
Piceno: l’impasto veniva fatto macerare per nove giorni, poi impastato
di nuovo con succo di uva passa. Alla fine se ne ricavava una sfoglia
che poi veniva cotta al forno all’interno di recipienti di argilla. Si
consumava solo inzuppato nel latte o nel miele. L’alica era talmente
pregiata che veniva contraffatta con del grano di bassa qualità.
In età imperiale il farro era ancora
impiegato per confezionare focacce (fitilla e mola salsa) da utilizzare
nei rituali religiosi, ma la sua diffusione come alimento si era già di
molto ridotta.
Orzo, Hordeum vulgare
–
Nel mondo romano ebbe una buona diffusione, ma molto meno rispetto al
mondo greco, dove veniva consumato sotto forma di farinata, detta
polenta. Veniva seminato tra fine ottobre e il solstizio d’inverno, solo
in terreni asciutti, sciolti, e grassi. Si raccoglieva dopo 6-8 mesi.
Prima della macinatura con pestello, i chicchi venivano immersi in molta
acqua e poi asciugati al sole. Con la farina si faceva un tipo di pane
assai utilizzato in età antica, ma disprezzato ai tempi di Plinio e
considerato quasi solo cibo per gli animali. Il famoso medico romano
Claudio Galeno (129-199 d.C.) lo considera nutriente quanto il grano (se
fatto con la migliore qualità di orzo), ma più lassativo. Con questo
pane si otteneva anche il lievito, facendolo fermentare in un
contenitore chiuso, assieme all’ervo o alle cicerchie.
Con l’orzo si poteva anche preparare una
farinata come si faceva in Grecia: si tostavano o meno i chicchi, si
macinavano e poi si aggiungevano vari ingredienti, come semi di lino,
miglio e coriandolo. La farina veniva usata anche come medicamento per
uomini e animali da soma. Particolarmente apprezzati erano i decotti di
orzo, nutrienti e salutari. Galeno afferma che la bollitura dei chicchi
produce un succo fluido e detergente, contrariamente a quello prodotto
dai chicchi di grano che è denso e viscoso. L’orzo ha un’azione
rinfrescante e disinfiammante, mentre il grano al contrario è energetico
e riscaldante. Inoltre, Galeno dice che l’orzo perlato, preparato in
modo appropriato, ha un’azione umidificante ed emolliente, soprattutto
sul tratto gastrointestinale: “I grani devono essere bolliti fino a
farli gonfiare al massimo e poi trasformati in zuppa dopo una lunga
cottura su fuoco basso. Alla fine si aggiunge un po’ di sale fino”.
Tradizionalmente è considerato un ottimo cereale per sostenere
l’attività sia fisica che mentale. Tra i cereali è il più rinfrescante e
quello dotato delle maggiori proprietà drenanti e calmanti. E’ quindi
adatto alla stagione estiva, ai climi caldi e alle persone di
temperamento sanguigno e bilioso e nelle cure disintossicanti. Il prezzo
dell’orzo era inferiore a quello del grano e della segale, ma superiore
a quello del miglio e del panico.
Grano, Triticum spp –
“Nulla produce più del tritico. La natura gli ha dato questa qualità perché con esso soprattutto nutriva l’uomo”.
Con queste parole Plinio voleva sottolineare il valore del grano
nell’alimentazione umana, sia da un punto di vista qualitativo che
quantitativo. Diverse erano le varietà del grano: robus, che corrisponde al nostro grano duro; siligo
(siligine), equivalente al nostro grano tenero e ottimo per panificare;
trimestrale, gradita molto agli agricoltori perché vi ricorrevano
quando le piogge o altre condizioni climatiche avevano impedito una
semina tempestiva.
Il grano si seminava tra fine ottobre e
fine novembre. Una volta mietuto, veniva portato sull’aia e poi si
procedeva alla battitura, usando delle pertiche, o con il calpestio
delle cavalle o utilizzando delle tavolette dentate dette tribula,
su cui si ponevano dei pesi e trainate sull’aia provocavano il distacco
dei chicchi dalla spiga. Per una corretta conservazione, lontano da
parassiti e muffe, i chicchi venivano poi prontamente messi in appositi
magazzini in mattoni o legno. La macinatura veniva eseguita con il
pestello o con le macine. Dal grano duro si otteneva il similago e il pollen,
due farine pregiate, utilizzate per fare un pane di prima e seconda
qualità. La siligine era particolarmente apprezzata per la bianchezza,
la bontà e il peso. Con la farina si preparava dell’ottimo pane e altri
prodotti da forno, consumati dalla popolazione più abbiente. Le zone di
maggiore produzione di siligine di qualità erano in Campania e in
Etruria, in particolare nelle campagne di Pisa, Arezzo e Chiusi.
Per quanto riguarda la lievitazione
(naturale, non utilizzando il lievito di birra), Galeno ci dice che i
tipi di pane migliori per la digestione sono quelli che contengono una
gran quantità di lievito (lievito madre), che sono stati impastati a
lungo e che sono stati cotti in un forno di terracotta con una fiamma
moderata. Quando il pane è cotto con fuoco moderato e per un lungo
periodo di tempo, rimane più facile da digerire per lo stomaco e
fornisce una maggiore dose di energia. Galeno afferma anche che il pane
che non contiene neanche un po’ di lievito non è utile a nessuno. Oggi
giorno sempre più persone mostrano una intolleranza al pane e alla
pizza. Il problema potrebbe certamente derivare dalla qualità pessima di
molte farine, ma, secondo me, molto è dovuto al modo con cui questi
prodotti sono lievitati e cotti. Siamo nel mondo della quantità, della
fretta e della velocità e questo va a discapito della qualità. E’ il
tempo a fare un buon pane.
Quindi, Galeno fa bene, a più riprese
nei sui scritti, a sottolineare l’importanza di una corretta
lievitazione dela farina di grano. La lievitazione è una predigestione
che avviene al di fuori del nostro organismo e trasforma un alimento
indigesto come i cereali in cibo facilmente digeribile per gli esseri
umani. Galeno afferma che la farina di grano “è il più energetico dei cibi indigeribili”
e quindi deve essere ben lievitato. E’ un cereale molto “riscaldante”.
Afferma anche che la digeribilità è decisamente migliore per il pane
raffinato rispetto a quello integrale: “Chiunque abbia una certa
dose di intelligenza non ha bisogno di essere convinto del fatto che una
farina particolarmente fine, bianca e libera da ogni sostanza semolosa
venga trasformata più efficacemente e rapidamente nello stomaco e, di
conseguenza, sia più facile da digerire e da distribuire nell’organismo
per fornire nutrienti alle varie parti del corpo che l’assimilano e
l’assorbono; mentre tutto ciò che contiene crusca ed è duro, visto che
ad una prima occhiata sembra non potersi dissolvere nell’acqua, non può
essere dissolto nello stomaco, né diviso, né digerito, tanto da rimanere
nello stesso stato di quando è stato ingoiato”. Questo è il motivo
per cui i chicchi interi e integrali sono per molti fonte di lenta
digestione e disturbi intestinali, come meteorismo e crampi, anche se
cotti a dovere. E’ quello che afferma anche Galeno: “Nessuno,
nemmeno in caso di penuria di cibo, arriverebbe a seguire tale pratica
(mangiare i chicchi bolliti), visto che in presenza di una buona scorta
di grano si può sempre produrre del pane”.
Miglio, Panicum miliaceum
–
Cereale minore nell’alimentazione dei romani. Apprezzato anche
perché, in apposite strutture, poteva essere conservato per lunghi
periodi, addirittura per 100 anni come afferma il grande Marco Terenzio
Varrone (116 a.C.-27 a.C.). Si seminava all’inizio dell’estate, in
terreni teneri e concimati e in rotazione con rape, orzo e tritico. Dopo
la mietitura, i chicchi venivano separati dalle spighe. La paglia di
miglio era considerata la migliore in assoluto.
Il pane di miglio non era sgradevole,
soprattutto se consumato caldo. Plinio ci dice che quello della Campania
era particolarmente dolce. La farina di miglio dava una resa molto
buona: con un moggio (8,66 litri) si potevano fare ben sessanta libbre
di pane (19,66 kg circa). Anche con il miglio si poteva preparare un puls, mescolandolo con l’acqua. Il puls
di miglio era l’alimento principale delle popolazione caucasiche dei
Sarmati, che la farina di miglio la consumavano cruda, mescolata al
latte di cavalla o al sangue estratto dalle vene dei loro destrieri.
Galeno lo reputa un alimento facilmente digeribile, che asciuga e non
blocca lo stomaco. Tradizionalmente, è considerato rinforzante,
vitalizzante e armonizzante. Era il cereale più utilizzato nella mensa
del sommo Pitagora (570 a.C. – 495 a.C.) e dei suoi seguaci.
In Italia le maggiori produzioni di
miglio venivano dalla Campania e dalla Transpadania. Plinio racconta che
ai suoi tempi iniziava a circolare anche una varietà di miglio nero, a
grani grossi, particolarmente produttivo, proveniente dall’India.
Panico, Setaria italica,
–
Anche questo è un cereale minore. Molto simile al miglio anche per
quanto riguarda i metodi di coltivazione, ma inferiore per gusto e
qualità nutritive. La farina raramente veniva utilizzata per fare il
pane (se non nei periodi di carestia), piuttosto si utilizzava per la
preparazione del puls, utilizzando anche il latte. Si coltivava
nell’Italia settentrionale, in particolare nella pianura Padana e ai
piedi delle Alpi, e in Campania.
Avena, Avena sativa, e segale, Secale cereale
–
Nell’alimentazione dei romani questi due cereali avevano una scarsa
importanza. L’avena era utilizzata come foraggio per gli animali, mentre
la segale era considerato un cereale pessimo, utile solo a respingere
la fame, difficile da digerire. Sull’avena, Galeno ebbe a dire: “E’
un cibo per gli animali, non per gli uomini, a meno che non ci si trovi
in tempi di carestia, nel qual caso può essere usato per fare il pane.
Quando non c’è penuria di cibo, l’avena può essere bollita nell’acqua e
mangiata assieme al vino dolce, al vino concentrato o al vino mielato”.
Adesso, per finire, vediamo la ricetta
di un antichissimo dolce chiamato Placenta. Molto apprezzato dai romani,
ma di origine greca e importato in Italia dagli etruschi (ricetta
tratta dall’interessantissimo volume sull’alimentazione Tradizionale: Raggi MA, L’Arte della Cucina Salutare. Victrix Edizioni, Forlì, seconda edizione, 2005).
Ingredienti
- Farina 500g
- Acqua q.b.
- Sale 1pz
- Ricotta 300g
- Miele 100g
- alloro
- olio evo
Sciogliere la ricotta con il miele.
Impastare la farina con l’acqua. Tirare due sfoglie sottili. Da una
ricavarne dei dischi di circa 20cm di diametro. Cuocere questi ultimi
sulla piastra o sul testo o nella placca del forno. In una teglia
disporre uno strato di foglie di alloro e sistemarvi sopra la sfoglia
più grande che deborderà abbondantemente dallo stampo, poiché dovrà
racchiudere il tutto. Disporre poi le sfoglie cotte a strati con la
ricotta. Chiudere tirando su la sfoglia esterna e saldarla al centro.
Cuocere a 160° per circa 30′. Spennellare con miele diluito con olio.
Bibliografia
- Buonopane A. La civiltà del pane. Centro Studi Longobardi, Ricerche 1, maggio 2015.
- Grant M, La dieta di Galeno. Ed Mediterranee, Roma, 2005.
- Raggi MA, L’Arte della Cucina Salutare. Victrix Edizioni, Forlì, seconda edizione, 2005.
Francesco Perugini Billi©copyright – divieto di pubblicazione senza esplicito consenso dell’Autore.
fonte: http://www.dottorperuginibilli.it/alimentazione-dietologia/4567-i-cereali-nellantica-roma
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