mercoledì 13 aprile 2016

I cereali nell’antica Roma


Nel mondo romano i cereali hanno rappresentato la principale fonte di cibo per uomini e animali domestici. I romani coltivavano il farro, l’orzo, il grano, il miglio e in misura minore il panico, l’avena e la segale. I tipi più utilizzati erano il grano e il farro, i più antichi, orzo e farro.

Farro, Triticum dicoccum – 
Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) lo considerava primus antiquo…Latio cibus. Il saggio Numa Pompilio (753-673 a.C.), secondo Re di Roma, decretò che solo il farro tostato era puro per i sacrifici e per questo motivo istituì le feste di Fornacalia in occasione della sua sua torrefazione. Questo cereale dà il nome anche alla forma di matrimonio più antica e solenne, la confarreatio, in cui i due sposi consumavano insieme una focaccia di farro portato in dono dalla sposa. Molto antica è anche la forma di offerta agli Dèi rappresentata dagli adoria, doni confezionati con il farro. Base dell’alimentazione di Latini, Etruschi e Romani, il farro può essere considerato a ragione il cereale italiano per eccellenza.

Si tratta di un cereale rustico, resistente ai rigori invernali, ai climi molto freddi e adatto ad ogni tipo di terreno, ma in particolare a quelli argillosi e umidi. Veniva seminato tra fine settembre e i primi di novembre e nei campi veniva fatto ruotare con il lupino, la veccia o la fava.

Una volta raccolti, i chicchi venivano tostati prima di essere macinati per ricavarne della farina. Per la macinatura si usava un pestello o la molitura delle macine, anche azionate ad acqua. Fino alla seconda metà del II secolo a.C. i mugnai e i panettieri venivano chiamati pistores, ma solo coloro che macinavano il farro.

La farina veniva mescolata con acqua o latte e si usava per preparare il puls, una farina semiliquida, che per molto tempo prima della diffusione del pane fu il piatto tipico dei romani, tanto che i greci li chiamavano pultiphagi o pultiphagonides, “mangiatori di puls”. Il farro poteva anche essere unito ad altri cereali, come segale e orzo. Insieme alla veccia e al trifoglio si otteneva la farragine, un miscuglio che si dava agli animali da allevamento, ma che veniva impiegato anche per l’alimentazione umana nel caso di carestie.

In Italia si coltivava anche il piccolo farro, Triticum monococco, da cui si ricavava una farina raffinata chiamata alica. La migliore veniva dalle campagne veronesi, pisane e campane. Con questa si preparava un pane di ottima qualità, che si riteneva inventato nel Piceno: l’impasto veniva fatto macerare per nove giorni, poi impastato di nuovo con succo di uva passa. Alla fine se ne ricavava una sfoglia che poi veniva cotta al forno all’interno di recipienti di argilla. Si consumava solo inzuppato nel latte o nel miele. L’alica era talmente pregiata che veniva contraffatta con del grano di bassa qualità.

In età imperiale il farro era ancora impiegato per confezionare focacce (fitilla e mola salsa) da utilizzare nei rituali religiosi, ma la sua diffusione come alimento si era già di molto ridotta.

Orzo, Hordeum vulgare – 
Nel mondo romano ebbe una buona diffusione, ma molto meno rispetto al mondo greco, dove veniva consumato sotto forma di farinata, detta polenta. Veniva seminato tra fine ottobre e il solstizio d’inverno, solo in terreni asciutti, sciolti, e grassi. Si raccoglieva dopo 6-8 mesi. Prima della macinatura con pestello, i chicchi venivano immersi in molta acqua e poi asciugati al sole. Con la farina si faceva un tipo di pane assai utilizzato in età antica, ma disprezzato ai tempi di Plinio e considerato quasi solo cibo per gli animali. Il famoso medico romano Claudio Galeno (129-199 d.C.) lo considera nutriente quanto il grano (se fatto con la migliore qualità di orzo), ma più lassativo. Con questo pane si otteneva anche il lievito, facendolo fermentare in un contenitore chiuso, assieme all’ervo o alle cicerchie.

Con l’orzo si poteva anche preparare una farinata come si faceva in Grecia: si tostavano o meno i chicchi, si macinavano e poi si aggiungevano vari ingredienti, come semi di lino, miglio e coriandolo. La farina veniva usata anche come medicamento per uomini e animali da soma. Particolarmente apprezzati erano i decotti di orzo, nutrienti e salutari. Galeno afferma che la bollitura dei chicchi produce un succo fluido e detergente, contrariamente a quello prodotto dai chicchi di grano che è denso e viscoso. L’orzo ha un’azione rinfrescante e disinfiammante, mentre il grano al contrario è energetico e riscaldante. Inoltre, Galeno dice che l’orzo perlato, preparato in modo appropriato, ha un’azione umidificante ed emolliente, soprattutto sul tratto gastrointestinale: “I grani devono essere bolliti fino a farli gonfiare al massimo e poi trasformati in zuppa dopo una lunga cottura su fuoco basso. Alla fine si aggiunge un po’ di sale fino”. Tradizionalmente è considerato un ottimo cereale per sostenere l’attività sia fisica che mentale. Tra i cereali è il più rinfrescante e quello dotato delle maggiori proprietà drenanti e calmanti. E’ quindi adatto alla stagione estiva, ai climi caldi e alle persone di temperamento sanguigno e bilioso e nelle cure disintossicanti. Il prezzo dell’orzo era inferiore a quello del grano e della segale, ma superiore a quello del miglio e del panico.

Grano, Triticum spp – 
Nulla produce più del tritico. La natura gli ha dato questa qualità perché con esso soprattutto nutriva l’uomo”. Con queste parole Plinio voleva sottolineare il valore del grano nell’alimentazione umana, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. Diverse erano le varietà del grano: robus, che corrisponde al nostro grano duro; siligo (siligine), equivalente al nostro grano tenero e ottimo per panificare; trimestrale, gradita molto agli agricoltori perché vi ricorrevano quando le piogge o altre condizioni climatiche avevano impedito una semina tempestiva.

Il grano si seminava tra fine ottobre e fine novembre. Una volta mietuto, veniva portato sull’aia e poi si procedeva alla battitura, usando delle pertiche, o con il calpestio delle cavalle o utilizzando delle tavolette dentate dette tribula, su cui si ponevano dei pesi e trainate sull’aia provocavano il distacco dei chicchi dalla spiga. Per una corretta conservazione, lontano da parassiti e muffe, i chicchi venivano poi prontamente messi in appositi magazzini in mattoni o legno. La macinatura veniva eseguita con il pestello o con le macine. Dal grano duro si otteneva il similago e il pollen, due farine pregiate, utilizzate per fare un pane di prima e seconda qualità. La siligine era particolarmente apprezzata per la bianchezza, la bontà e il peso. Con la farina si preparava dell’ottimo pane e altri prodotti da forno, consumati dalla popolazione più abbiente. Le zone di maggiore produzione di siligine di qualità erano in Campania e in Etruria, in particolare nelle campagne di Pisa, Arezzo e Chiusi.

Per quanto riguarda la lievitazione (naturale, non utilizzando il lievito di birra), Galeno ci dice che i tipi di pane migliori per la digestione sono quelli che contengono una gran quantità di lievito (lievito madre), che sono stati impastati a lungo e che sono stati cotti in un forno di terracotta con una fiamma moderata. Quando il pane è cotto con fuoco moderato e per un lungo periodo di tempo, rimane più facile da digerire per lo stomaco e fornisce una maggiore dose di energia. Galeno afferma anche che il pane che non contiene neanche un po’ di lievito non è utile a nessuno. Oggi giorno sempre più persone mostrano una intolleranza al pane e alla pizza. Il problema potrebbe certamente derivare dalla qualità pessima di molte farine, ma, secondo me, molto è dovuto al modo con cui questi prodotti sono lievitati e cotti. Siamo nel mondo della quantità, della fretta e della velocità e questo va a discapito della qualità. E’ il tempo a fare un buon pane.

Quindi, Galeno fa bene, a più riprese nei sui scritti, a sottolineare l’importanza di una corretta lievitazione dela farina di grano. La lievitazione è una predigestione che avviene al di fuori del nostro organismo e trasforma un alimento indigesto come i cereali in cibo facilmente digeribile per gli esseri umani. Galeno afferma che la farina di grano “è il più energetico dei cibi indigeribili” e quindi deve essere ben lievitato. E’ un cereale molto “riscaldante”. Afferma anche che la digeribilità è decisamente migliore per il pane raffinato rispetto a quello integrale: “Chiunque abbia una certa dose di intelligenza non ha bisogno di essere convinto del fatto che una farina particolarmente fine, bianca e libera da ogni sostanza semolosa venga trasformata più efficacemente e rapidamente nello stomaco e, di conseguenza, sia più facile da digerire e da distribuire nell’organismo per fornire nutrienti alle varie parti del corpo che l’assimilano e l’assorbono; mentre tutto ciò che contiene crusca ed è duro, visto che ad una prima occhiata sembra non potersi dissolvere nell’acqua, non può essere dissolto nello stomaco, né diviso, né digerito, tanto da rimanere nello stesso stato di quando è stato ingoiato”. Questo è il motivo per cui i chicchi interi e integrali sono per molti fonte di lenta digestione e disturbi intestinali, come meteorismo e crampi, anche se cotti a dovere. E’ quello che afferma anche Galeno: “Nessuno, nemmeno in caso di penuria di cibo, arriverebbe a seguire tale pratica (mangiare i chicchi bolliti), visto che in presenza di una buona scorta di grano si può sempre produrre del pane”.

Miglio, Panicum miliaceum – 
Cereale minore nell’alimentazione dei romani. Apprezzato anche perché, in apposite strutture, poteva essere conservato per lunghi periodi, addirittura per 100 anni come afferma il grande Marco Terenzio Varrone (116 a.C.-27 a.C.). Si seminava all’inizio dell’estate, in terreni teneri e concimati e in rotazione con rape, orzo e tritico. Dopo la mietitura, i chicchi venivano separati dalle spighe. La paglia di miglio era considerata la migliore in assoluto.

Il pane di miglio non era sgradevole, soprattutto se consumato caldo. Plinio ci dice che quello della Campania era particolarmente dolce. La farina di miglio dava una resa molto buona: con un moggio (8,66 litri) si potevano fare ben sessanta libbre di pane (19,66 kg circa). Anche con il miglio si poteva preparare un puls, mescolandolo con l’acqua. Il puls di miglio era l’alimento principale delle popolazione caucasiche dei Sarmati, che la farina di miglio la consumavano cruda, mescolata al latte di cavalla o al sangue estratto dalle vene dei loro destrieri. Galeno lo reputa un alimento facilmente digeribile, che asciuga e non blocca lo stomaco. Tradizionalmente, è considerato rinforzante, vitalizzante e armonizzante. Era il cereale più utilizzato nella mensa del sommo Pitagora (570 a.C. – 495 a.C.) e dei suoi seguaci.

In Italia le maggiori produzioni di miglio venivano dalla Campania e dalla Transpadania. Plinio racconta che ai suoi tempi iniziava a circolare anche una varietà di miglio nero, a grani grossi, particolarmente produttivo, proveniente dall’India.

Panico, Setaria italica, – 
Anche questo è un cereale minore. Molto simile al miglio anche per quanto riguarda i metodi di coltivazione, ma inferiore per gusto e qualità nutritive. La farina raramente veniva utilizzata per fare il pane (se non nei periodi di carestia), piuttosto si utilizzava per la preparazione del puls, utilizzando anche il latte. Si coltivava nell’Italia settentrionale, in particolare nella pianura Padana e ai piedi delle Alpi, e in Campania.




Avena, Avena sativa, e segale, Secale cereale – 
Nell’alimentazione dei romani questi due cereali avevano una scarsa importanza. L’avena era utilizzata come foraggio per gli animali, mentre la segale era considerato un cereale pessimo, utile solo a respingere la fame, difficile da digerire. Sull’avena, Galeno ebbe a dire: “E’ un cibo per gli animali, non per gli uomini, a meno che non ci si trovi in tempi di carestia, nel qual caso può essere usato per fare il pane. Quando non c’è penuria di cibo, l’avena può essere bollita nell’acqua e mangiata assieme al vino dolce, al vino concentrato o al vino mielato”.


Adesso, per finire, vediamo la ricetta di un antichissimo dolce chiamato Placenta. Molto apprezzato dai romani, ma di origine greca e importato in Italia dagli etruschi (ricetta tratta dall’interessantissimo volume sull’alimentazione Tradizionale: Raggi MA, L’Arte della Cucina Salutare. Victrix Edizioni, Forlì, seconda edizione, 2005).

Ingredienti
  • Farina 500g
  • Acqua q.b.
  • Sale 1pz
  • Ricotta 300g
  • Miele 100g
  • alloro
  • olio evo
Sciogliere la ricotta con il miele. Impastare la farina con l’acqua. Tirare due sfoglie sottili. Da una ricavarne dei dischi di circa 20cm di diametro. Cuocere questi ultimi sulla piastra o sul testo o nella placca del forno. In una teglia disporre uno strato di foglie di alloro e sistemarvi sopra la sfoglia più grande che deborderà abbondantemente dallo stampo, poiché dovrà racchiudere il tutto. Disporre poi le sfoglie cotte a strati con la ricotta. Chiudere tirando su la sfoglia esterna e saldarla al centro. Cuocere a 160° per circa 30′. Spennellare con miele diluito con olio. 


Bibliografia
- Buonopane A. La civiltà del pane. Centro Studi Longobardi, Ricerche 1, maggio 2015.
- Grant M, La dieta di Galeno. Ed Mediterranee, Roma, 2005.
- Raggi MA, L’Arte della Cucina Salutare. Victrix Edizioni, Forlì, seconda edizione, 2005. 


Francesco Perugini Billi©copyright – divieto di pubblicazione senza esplicito consenso dell’Autore. 


fonte: http://www.dottorperuginibilli.it/alimentazione-dietologia/4567-i-cereali-nellantica-roma

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