La
sinistra italiana per cinque/sei anni ha indefessamente difeso
l’operazione della CIA nota come ‘Primavera araba’ spacciandola da
rivolta di popolo, e ancora oggi, come insegna la vicenda della spia
anglo-statunitense Giulio Regeni, persegue l’obiettivo tracciato dalle
centrali atlantiste di Washington, Londra, Parigi, Berlino e Ankara:
distruggere gli Stati-nazioni arabi per sostituirli con califfati
wahhabiti controllati dalle borghesie compradore allevate dalle ONG
occidentali, o dominati dall’integralismo taqfirita, o Gladio-B, variante mediorientale della rete stragista nazista-atlantista nota come Gladio/Stay Behind.
A tale operazione partecipano da destra organismi come Lega e Fratelli
d’Italia, e a sinistra tutto lo spettro, da PD/ANPI e Italia dei Valori
fino a sprofondare nell’estrema sinistra settaria anarcoide,
post-piccista (contropiano e affini scalfariani), ‘post-henverista’
(Marco Rizzo), ‘trotskista’ o pseudotali, passando per le varie
sfumature del grigiore rifondarolo o le varie tinte marroncine dei
centri sociali (Wu Ming, Militant, e altro lerciume),
senza ignorare il codazzo di finti intellettuali dalla fraseologia
pseudo-marxista ma dagli intenti filo-imperialisti (Salucci, Ricci,
Nachira, Moscato, Monti, Maestri, Ferrario e altro ciarpame), né i finti
amici della Siria, che in realtà cercano il riconoscimento dalle sette
taqfirite in altri ambiti (Libia o soprattutto Egitto post-Mursi).
Tale
fronte si è impegnato, con tutte le forze e tutte le risorse messigli a
disposizione dai mass media di regime, di propagandare come rivolta
popolare e addirittura come rivoluzione sociale, il gigantesco e ultimo
tentativo dell’imperialismo di trasformare il Medio Oriente in una
colonia della NATO controllata dal sicario sionista in combutta con gli
ascari neo-ottomani e wahhabiti di Washington; e quindi, una volta
completato tale passaggio, usare le forze taqfirite e islamiste radunate
da Gladio-B per aggredire Iran, Federazione Russa e Cina
popolare, assaltando l’Eurasia. In Italia, il tutto veniva e doveva
essere ammantato da un’inesistente bandiera rossa da parte dei
volonterosi kollabò di sinistra del Pentagono e di Langley.
La duplice sconfitta dei taqfiriti nell’Egitto di al-Sisi e nella Siria di al-Assad (e presto in Iraq) impedisce l’attuazione di tale piano delirante che vede tutta la sinistra italiana, partecipe collaborazionista.
In
effetti, nella primavera del 2012, l’allora segretaria di Stato degli
USA, Hillary Clinton, nel documento datato 2000-12-31 22:00,
declassificato nel 2015 e intestato “UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05794498 Date: 11/30/2015”, scrisse quanto segue:
“Il modo migliore per aiutare Israele verso la crescente capacità nucleare dell’Iran è aiutare il popolo della Siria a rovesciare il regime di Bashar Assad. I negoziati per limitare il programma nucleare iraniano non risolveranno il dilemma della sicurezza d’Israele. Né impediranno all’Iran di migliorare la parte fondamentale di qualsiasi programma per armi nucleari, la capacità di arricchire l’uranio.
Nella
migliore delle ipotesi, i colloqui tra grandi potenze e Iran iniziate ad
Istanbul lo scorso aprile e che continueranno a Baghdad a maggio,
permetteranno ad Israele di rinviare di qualche mese la decisione se
lanciare un attacco contro l’Iran, che potrebbe provocare una guerra in
Medio Oriente. Il programma nucleare iraniano e la guerra civile in
Siria possono sembrare non collegati, ma lo sono.
Per i capi israeliani,
la vera minaccia di un Iran dotato di armi nucleari non è la
prospettiva di un leader iraniano folle che lancia un attacco nucleare
iraniano non provocato su Israele, che porterebbe alla distruzione di
entrambi i paesi.
Ciò che realmente preoccupa i capi militari israeliani, ma non possono dirlo, è che perdono il monopolio nucleare.
Un Iran dotato di armi nucleari non solo porrà fine al monopolio
nucleare, ma potrebbe anche incoraggiare altri avversari, come Arabia
Saudita ed Egitto, ad adottare il nucleare. Il risultato sarebbe un
equilibrio nucleare precaria in cui Israele non potrebbe rispondere alle
provocazioni con attacchi militari convenzionali in Siria e Libano,
come può oggi. Se l’Iran dovesse divenire uno Stato dotato di armi
nucleari, Teheran troverebbe molto più facile incitare gli alleati Siria
ed Hezbollah a colpire Israele, sapendo che le sue armi nucleari servirebbero da deterrente contro la risposto d’Israele contro l’Iran.
Tornando alla Siria. La relazione strategica tra Iran e il regime di Bashar Assad in Siria rende possibile all’Iran di minare la sicurezza d’Israele, non attraverso un attacco diretto, che in trent’anni di ostilità tra Iran e Israele non s’è mai verificato, ma attraverso il suo delegato in Libano, Hezbollah, sostenuto, armato e addestrati dall’Iran attraverso la Siria. La fine del regime di Assad porrebbe fine a questa alleanza pericolosa. La leadership d’Israele se bene che sconfiggere Assad è ora nel suo interesse. Parlando con Amanpour della CNN la scorsa settimana, il ministro della Difesa Ehud Barak ha sostenuto che “il rovesciamento di Assad sarà un duro colpo per l’asse radicale, un duro colpo per l’Iran….
E’ l’unico avamposto dell’influenza iraniana nella mondo arabo… e indebolirà drasticamente sia Hezbollah in Libano e Hamas e Jihad islamica a Gaza. Rovesciare Assad non solo sarebbe un vantaggio enorme per la sicurezza di Israele, ma anche allevierebbe la comprensibile paura di Israele di perdere il monopolio nucleare. Poi, Israele e Stati Uniti potrebbero sviluppare una visione comune quando il programma iraniano è così pericoloso che l’azione militare potrebbe essere giustificata. In quel momento, la combinazione tra alleanza strategica dell’Iran con la Siria e il costante progresso del programma di arricchimento nucleare iraniano hanno portato i capi israeliani a contemplare un attacco a sorpresa, se necessario, nonostante le obiezioni di Washington.
Con Assad caduto e non più in grado di
minacciare Israele attraverso i suoi agenti l’Iran, è possibile che
Stati Uniti e Israele concordino le linee rosse quando il programma
iraniano varcherà la soglia accettabile. In breve, la Casa Bianca può
allentare la tensione che si sviluppata con Israele sull’Iran facendo la
cosa giusta in Siria. La rivolta in Siria dura ormai da più di un anno.
L’opposizione non cede, e il regime accetta una soluzione diplomatica
dall’esterno.
Con la vita e la famiglia a rischio, solo la minaccia o l’uso della forza convincerà il dittatore siriano Bashar Assad…
L’amministrazione Obama era comprensibilmente prudente ad impegnarsi in un’operazione aerea in Siria come quella condotta in Libia, per tre ragioni principali. A differenza delle forze di opposizione libiche, i ribelli siriani non sono uniti e non controllano alcun territorio. La Lega araba non ha chiesto l’intervento militare estero come fece in Libia. E i russi si oppongono.
La Libia è stato un caso semplice. Ma a parte lo scopo lodevole di salvare i civili libici dai probabili attacchi dal regime di Gheddafi, l’operazione libica non ha avuto conseguenze durature per la regione. La Siria è più difficile. Ma il successo in Siria sarebbe un evento che muterebbe il Medio Oriente. Non solo un altro dittatore spietato soccomberebbe all’opposizione di massa per le piazze, ma la regione cambierebbe in meglio, mentre l’Iran non avrebbe più un punto d’appoggio in Medio Oriente da cui minacciare Israele e minare la stabilità della regione.
A differenza della Libia, un intervento di
successo in Siria richiederebbe una sostanziale della leadership
diplomatica e militare degli Stati Uniti. Washington dovrebbe iniziare
ad esprimere la volontà di collaborare con gli alleati regionali
Turchia, Arabia Saudita e Qatar ed organizzare, addestrare e armare le
forze ribelli siriane. L’annuncio di tale decisione, di per sé,
probabile causerebbe defezioni sostanziali nell’esercito siriano.
Quindi, utilizzando il territorio in Turchia e, eventualmente, in
Giordania, diplomatici statunitensi e ufficiali del Pentagono
inizierebbero a rafforzare l’opposizione. Ci vorrà del tempo, ma la
ribellione andrà avanti per molto tempo, con o senza il coinvolgimento
degli Stati Uniti. Il secondo passo è sviluppare il sostegno
internazionale per un’operazione aerea della coalizione. La Russia non
potrà mai sostenere tale missione, quindi non c’è alcun punto che passi
al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Alcuni sostengono
che il coinvolgimento degli Stati Uniti rischi la guerra con la Russia.
Ma l’esempio del Kosovo dimostra il contrario. In tal caso, la Russia
aveva legami etnici e politici con i serbi, che non esistono tra Russia e
Siria, e anche allora la Russia fece poco più che lamentarsi. I
funzionari russi hanno già riconosciuto che non si opporrebbero
all’intervento.
Armare i ribelli siriani e usando la potenza aerea occidentale per tenere a terra gli elicotteri e gli aerei siriani è un approccio ad alto profitto e a basso costo. Fin quando i capi politici di Washington saranno decisi a che le truppe di terra statunitensi non siano impiegate, come in Kosovo e la Libia, i costi per gli Stati Uniti saranno limitati. La vittoria non si avrà rapidamente o facilmente, ma arriverà. E la vittoria sarà sostanziale. L’Iran sarebbe isolato strategico, incapace di influenzare il Medio Oriente.
Il regime
risultante in Siria vedrà gli Stati Uniti come amico, non un nemico.
Washington otterrebbe il riconoscimento sostanziale dalla gente in lotta
nel mondo arabo, non dai regimi corrotti. Per Israele, la razionale
paura che spinge ad attaccare gli impianti nucleari iraniani verrebbe
alleviata. E il nuovo regime siriano potrebbe anche essere aperto a
un’azione tempestiva sui colloqui di pace congelati con Israele. Hezbollah
in Libano verrebbe isolato dallo sponsor iraniano in quanto la Siria
non sarebbe più via di transito per addestramento aiuto e missili
iraniani.
Tutti questi vantaggi strategici e la prospettiva di salvare migliaia di civili dall’omicidio per mano del regime di Assad (10000 sono già stati uccisi nel primo anno di guerra civile). Togliendo il velo della paura al popolo siriano, che apparirebbe determinato a combattere per la libertà. Gli USA possono e devono aiutarlo, e così facendo aiuterà Israele e contribuire a ridurre il rischio di una grande guerra”.
Alessandro Lattanzio, 30/3/2016
Riferimenti: Grasset Philippe, Note su una nota di Hillary Clinton, Dedefensa, 24 marzo 2016
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