Non c’è novità nel “caso Burioni”:
c’è solo la conferma della mia ingenuità e dell’ennesimo fallimento di
quello che tanto tempo fa, rovesciando una frase, i filosofi di una
certa scuola chiamavano “ottimismo della ragione”.
Di lui sentii parlare nel 2013 per
qualcosa di attinente ai vaccini. Nessuna originalità allora: il
canovaccio e persino tante battute erano e restano sempre le stesse.
Squadra che vince non si cambia. Così lo cancellai dalla memoria. Questo
fino a qualche settimana fa quando un amico marchigiano mi mandò il
testo di una lettera al direttore della cronaca di Pesaro de Il Resto del Carlino con cui il professor Roberto Burioni ripeteva l’annoso copione.
A preoccupare l’amico fu la risposta
entusiastica del giornalista e, perciò, mi chiese d’inviare a mia volta
una lettera al giornale. Cosa che feci citando, pur nell’estrema brevità
delle 15 righe concesse, le ormai note porcherie che da una dozzina
d’anni troviamo costantemente nei vaccini e chiedendo se il professore
avesse nozioni di nanopatologia.
La mia lettera fu pubblicata parzialmente
modificata (per inciso, peggiorandone l’italiano) e il direttore della
cronaca di Pesaro rispose molto seccamente che lui non aveva la più
pallida idea di che diavolo fossero le nanopatologie, cosa che lo sistemava a braccetto di Burioni:
mettersi al riparo dietro la propria ignoranza è una tecnica che,
invece di suscitare un po’ d’imbarazzo, risulta vincente agli occhi del
pubblico. Io non lo so, ergo, quella cosa non esiste.
E qui entra in ballo il mio ingenuo ottimismo. Mi sono preso la briga di scrivere a Burioni mandandogli un link (http://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2840-ricerca-medica-se-ci-saranno-dei-morti.html).
La risposta fu che gli antiulcera fatturano più di un miliardo e il
vaccino esavalente 80 milioni. L’anti-HPV, poi, arriva alla metà.
Quindi – conclude letteralmente il professore – “A big pharma dei vaccini non gliene frega nulla.”
Che c’entri questo con l’inquinamento di
ferraglia e con gli altri argomenti critici sui quali si resta tutti in
attesa di risposta non è dato sapere, ma anche in politica funziona
così: davanti a un argomento scomodo si risponde parlando d’altro.
Detto tra parentesi, temo che a Big Pharma dei vaccini interessi qualcosa, se non altro stando a Il Sole 24 Ore del 13 aprile che riferisce come la GlaxoSmithKline
ha investito ora, e per la sola Italia, un miliardo per il prossimo
quadriennio, scrivendo (a pagina 16 dell’edizione cartacea):
“Non a caso proprio ai vaccini, col business strategico antimeningite, sarà riservato il 60% degli investimenti (600 mln) contro il 40% dedicato al pharma tradizionale. Leader mondiale dei vaccini con 3,7 miliardi di sterline di fatturato su 23,9 totali, è da questo settore (profittevole in due casi su 10 nel mondo) che la multinazionale britannica si aspetta un’autentica escalation nei prossimi anni.”
Insomma, a meno che i responsabili economici della Gsk non siano matti, il professor Burioni
non pare particolarmente informato a proposito del business
farmaceutico, e questo a dispetto di una seconda mail in cui afferma di
conoscere “piuttosto bene l’argomento”, essendo lui ordinario di virologia e “non proprio all’università di …”. Non riporto il nome dell’università per ovvi motivi.
Sempre tra parentesi, se si andasse a
cercare la sua università nelle classifiche mondiali, occorrerebbe
dedicare un po’ di tempo all’impresa. Ma questo non ha alcuna
importanza: un calciatore non si giudica dalla maglia che indossa ma da
come gioca.
In una terza missiva, poi, Burioni si esprime sulla grande efficacia del vaccino anti-HPV,
un vaccino i cui risultati non saranno disponibili fino al 2020 ma che,
evidentemente, lui già prevede e dà per scontati. Quando gli scrissi di
Jean Pierre Spinosa, l’ex professore universitario svizzero che si sobbarcò il peso di leggersi tutta la documentazione che la Merck presentò alla Food and Drugs Administration (VRBPAC Background Document – Gardasil™ HPV Quadrivalent Vaccine – May 18, 2006 VRBPAC Meeting), per avere il via libera a quel vaccino e la conclusione fu che i documenti stessi non provavano l’efficacia del prodotto, Burioni mi rispose “quello che dicono ex professori in colloqui informali mi convince poco.” Che Spinosa
abbia consegnato le conclusioni alle autorità sanitarie del caso pare
essere del tutto irrilevante. Ciò che importa al professor Burioni è altro, e qui entriamo nel surreale.
I
risultati di 12 anni di analisi sui vaccini, analisi fatte per conto
mio, per conto di gruppi di cittadini non solo italiani, per un paio di
Università, una italiana e una tedesca, e una Procura della Repubblica
non contano assolutamente nulla. Ciò che conta è che i dati siano
pubblicati dove dice lui. Tra parentesi, parte dei risultati si trovano
sul libro di mia moglie e mio Case Studies in Nanotoxicology pubblicato da Elsevier,
il maggiore editore medico del mondo, ma questo gli risulta
indifferente: le pubblicazioni devono essere fatte con le modalità che
stabilisce lui.
A questo punto è indispensabile chiarire
un po’ di cose: almeno metà di ciò che viene pubblicato dalle riviste
mediche è falso. A dirlo non sono io: io alzerei, e di parecchio, la
quota. A dirlo è il redattore capo di The Lancet, una delle riviste con il più alto impact factor,
cioè quel sistema truffaldino di autoprotezione con cui si valuta il
prestigio di un giornale. Altre fonti, ugualmente prestigiose, aggravano
il giudizio.
Occorre aggiungere un fatto
incontestabile: tutte le riviste mediche sono mantenute dall’industria
del farmaco o, comunque, dei prodotti medicali, e senza quel denaro non
ci sono discussioni: chiuderebbero bottega. È ovvio e, in un certo
senso, comprensibile, che nessuno di questi periodici sarebbe così
imprudente da osare qualcosa che dispiaccia a chi le fa vivere. Dunque,
mai e poi mai pubblicherebbero anche un solo dato che infastidisca la
sullodata Big Pharma, e scoperchiare la pentola dei vaccini rischierebbe
un effetto domino su tanti usi e costumi del farmaco che sarebbe poi
difficile o insostenibilmente costoso da arrestare.
Tenuto conto di quanto ho scritto e su cui chiunque ha voglia di contraddirmi è invitato a farlo, riassumendone il pensiero, Burioni
dice: perché io ti creda, devi pubblicare i tuoi dati su una delle
riviste che fanno parte del salottino buono dove siedo io. Cosa,
evidentemente, impossibile, e chi ha letto Kafka si accorge immediatamente del giochetto che, per vecchio e rozzo che sia, è di un’efficacia assoluta.
Ma Roberto Burioni
non si ferma qui e lima il pur per nulla originale capolavoro: io sono
come un motociclista che afferma di correre più veloce di Valentino
Rossi ma rifiuta di farsi cronometrare.
Più in particolare, nell’immaginazione
del professore io sono un patetico dilettante che pastrocchia nel
sottoscala di casa sua e inventa risultati che non sono certificati da
nessuno. In definitiva, la ferraglia esiste solo se lo dice lui.
E qui si palesa la mia ingenuità. Per un attimo avevo sperato che Roberto Burioni non fosse l’omologo al maschile della professoressa Susanna Esposito
con tutte le sue stravaganze, con tutte le sue grottesche invenzioni,
con tutti i suoi sei benefattori all’interno di Big Pharma. La delusione
è che, come si dice nel Mediterraneo, “una faccia, una razza”: sono tutti uguali.
Non so se nascano così o così diventino,
ma quando questi entrano, a qualunque titolo la cosa avvenga, nel
salottino buono dove ci si spartiscono gli onori, dove, se fai il bravo,
avanzi sui gradini della carriera e, magari, dove per qualcuno arriva
anche qualche soldo, morale e senso critico diventano una zavorra di cui
liberarsi all’istante.
Mi ero illuso di trovarmi di fronte non certo ad uno scienziato ma, almeno, a qualcuno che ricordasse di aver prestato il Giuramento d’Ippocrate.
Mi ero illuso, certo esagerando, di trovarmi di fronte a qualcuno
stuzzicato dalla curiosità che, vedi mai, avesse voglia di rifare le
nostre analisi. Ci avevo ingenuamente sperato come un naufrago che vede
un pezzetto di legno galleggiare sulle onde e ci si aggrappa. Peccato, Roberto: un guizzo di dignità sarebbe stato un raggio di luce. “Una faccia una razza.”
Io in quel salottino non ci entrerò mai, e
questo prima di tutto per scelta morale. Lo so: sono schizzinoso. Una
volta un tale che tentava inutilmente di farmi santificare una porcheria
che gli faceva comodo mi gridò in faccia: “Dai troppo valore alla tua anima e hai troppa paura di perderla!” Sì: è così. È solo l’aggettivo troppo ad essere di troppo. Sarà perché, come si dice al Sud, i padroni del mondo sono tre: ‘o re, ‘o papa e chi non tiene niente
e io, non essendo re né papa ma non avendo proprio nulla sono il
padrone del mondo almeno in termini di libertà, anche se sono stanco io
non mi fermerò e, in fondo, essere ufficialmente creduto da persone che,
fondamentalmente, compiango, non m’importa nulla.
Restando ai vaccini, lo si voglia o no
quella sozzura c’è, è evidentissima anche se il salottino buono
continuerà sempre più disperatamente a nascondersi dietro un ditino
rachitico senza rendersi nemmeno conto che, tra menzogne, arroganze e
ipocrisie, sta ammazzando quel che resta della pratica vaccinale. Chi
siede là e conserva un minimo d’intendimento ne è del tutto conscio. Gli
altri sono semplicemente degli utili idioti. E sono i primi a farmi
davvero ribrezzo. Allora, non può non tornarmi in mente una frase tanto
celebre quanto inutile di Bertolt Brecht:
“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente.”
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fonte: https://autismovaccini.org/2016/04/14/il-caso-burioni/
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