Non è passata neanche una settimana da quando gli USA
hanno cominciato a lanciare bombe sulle postazioni dei terroristi in
Siria senza la rispettiva decisione del Consiglio di sicurezza e senza
il consenso del governo di Damasco. Ma ecco che Washington decide di
andare oltre. “Per neutralizzare i combattenti dello Stato islamico è
necessario svolgere un’operazione di terra in Iraq e Siria”, - ha
dichiarato il comandante del Comitato dei capi di stato maggiore degli
USA, generale Martin Dempsey. Sebbene ufficialmente il Pentagono non
abbia ancora chiesto l’autorizzazione per lanciare un’operazione di
terra, persino i cittadini degli USA sono convinti che sia soltanto una
questione di tempo. I risultati del sondaggio svolto dalla rete
televisiva NBC e dal quotidiano Wall Street Journal dimostrano che il
72% degli americani dubita della promessa del presidente Obama di non
usare i soldati statunitensi contro gli estremnisti dell’ISIS.
La
Gran Bretagna ha accolto con comprensione il parere del Pentagono. La
Turchia pure ha ammesso che le sue forze armate potrebbero partecipare
all’operazione in Iraq e Siria. Anche Damasco ha fatto capire che non si
oppone all’operazione internazionale contro i terroristi dello Stato
islamico, solo che gli obiettivi, i termini e le modalità
dell’intervento in territorio iracheno e siriano devono essere approvati
dal Consiglio di sicurezza dell’ONU e non devono contrastare il diritto
internazionale. Eppure, proprio questa condizione viene ignorata da
Washigton, e questo fa supporre che gli USA non stiano pensando soltanto
alla lotta al terrorismo, ma abbiano anche l’intenzione di realizzare
il loro vecchio piano: rovesciare il regime di Bashar Assad, sottolinea
il presidente dell’Istituto di studi mediorientali Evgeny Satanovsky.
Gli USA non hanno rinunciato all’intenzione di rovesciare il presidente Assad, di cambiare il regime in Siria. I problema è che l’operaizone di terra contro gli islamisti potrebbe diventare operazione contro le truppe di Assad. Nessuno sa che ordine potrà dare il presidente degli USA.
Tuttavia, se Washington davvero decide di
cambiare il regime in Siria parallelamente alle operazioni contro i
terroristi, gli USA andranno incontro a difficoltà che faranno sbiadire i
problemi di oggi, fa notare l’orientalista Sergej Demidchenko.
Se Assad sarà rovesciato da Washington, di ISIS, movimento che prima è stato creato e ora viene combattuto dagli americani, non ce ne sarà solo uno, ce ne sarano tre o quattro. Il regime di Assad è una delle principali forze regionali che cercano di contenere la proliferazione del radicalismso islamico. Il governo di Assad, l’Iran, gli sciiti dell’Iraq, i curdi – queste sono le forze che oggi stanno lottando contro lo Stato islamico e subiscono le perdite più pesanti. Dal punto di vista etnico e religioso, la situazione in Siria è ancora più difficile che in Iraq. Se Washington riesce a rovesciare Assad, comincerà un casino che Israele non perdonerà mai agli USA.
Molti
esperti credono che nel caso della caduta forzata del regime siriano, i
conflitti che travagliano il Medio Oriente potrebbero sfociare in una
terza guerra mondiale. Evgeny Satanovsky mette in guardia: in questo
caso saranno guai per tutti, non solo per i paesi della regione, ma
anche per gli Stati molto lontani da essa.
La terza guerra mondiale sarebbe una guerra delle civiltà, guerra dell’islam radicale contro tutte le altre correnti islamiche del Medio Oriente, ma anche contro il mondo non islamico, comprese l’India, la Cina, la Russia e quello che in Africa resta del cristianesimo, per non parlare di Israele. Quanto all’Europa e agli USA, gli attacchi terroristici contro di essi potrebbero soltanto moltiplicarsi.. Da questo punto di vista la Siria è l’ultimo caposaldo. Il governo siriano sta bloccando l’avanzata di una colossale forza dei terroristi che altrimenti avrebbero colpito su altre direttrici.
Da
parte di Washington non c’è stata ancora nessuna dichiarazione
ufficiale sull’inizio dell’operazione di terra contro lo Stato islamico.
Giorni fa però il presidente Obama ha riconosciuto che la pericolosità
dell’ISIS è stata sottovalutata, mentre la capacità di resistenza
dell’esercito iracheno si è rivelata più bassa di quello che si stimava.
Pertanto l’operazione in Iraq e Siria durerà non alcuni mesi, come
dichiarato inizialmente, ma almeno tre anni.
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