George Smith, un profano nel campo dell’archeologia, incisore di banconote, nato il 26 marzo 1840 a Chelsea presso Londra, era un autodidatta che si dedicava allo studio delle prime pubblicazioni di assiriologia. A 26 anni scrisse un paio di lavori su caratteri cuneiformi di ancor dubbia interpretazione, che attirarono l’attenzione del mondo specializzato. Due anni piú tardi era assistente della sezione egizio-assira del British Museum di Londra. E quando morì a 36 anni, nel 1876, aveva già pubblicato una dozzina di opere e il suo nome era legato a notevoli scoperte. Questo ex incisore di banconote era curvo nel 1872 sulle tavole che Hormuzd Rassam aveva mandato al Museo, e cercava di decifrarle.
Allora nessuno sapeva che era esistita una letteratura assiro-babilonese degna di essere citata accanto alle grandi opere delle letterature posteriori. Appena cominciata la lettura, fu attirato dal contenuto stesso del racconto, dal fatto e non dalla forma in cui era esposto. Smith aveva seguito il forte Gilgamesh nelle sue grandi gesta, aveva letto dell’uomo dei boschi Enkidu che era stato attirato nella città da una meretrice sacra per vincere Gilgamesh il superbo. Ma la violenta lotta degli eroi restò indecisa. Gilgamesh ed Enkidu si strinsero in amicizia e compirono imprese valorose, uccisero Chumbaba, il terribile signore dei boschi dei cedri, e sfidarono gli stessi dèi quando questi offesero Ishtar, che aveva offerto a Gilgamesh il suo amore divino.
Smith decifrò che Enkidu era morto di un’orribile malattia e che Gilgamesh l’aveva pianto, e, per non restar vittima dello stesso destino, si era messo in cammino alla ricerca dell’immortalità. Andò a visitare Ut-napiscti, il progenitore di tutti gli uomini, sfuggito con la sua famiglia al grande castigo che gli dèi avevano inflitto a tutto il genere umano, e divenuto immortale. E Ut-napiscti, l’antico progenitore, raccontò a Gilgamesh la storia della sua prodigiosa salvazione.
Smith trovò sempre maggiori lacune nel testo delle tavole di Rassam e dovette concludere di avere davanti a sé una parte dell’iscrizione, e che proprio la parte che era per lui essenziale, la conclusione della grande epopea, il racconto di Ut-napiscti, era frammentaria.
Ma quello che era riuscito a leggere dell’epos di Gilgamesh non gli dava tregua e sollevò l’interesse dell’Inghilterra, cosí ligia alla parola della Bibbia. Un quotidiano di grande diffusione venne in aiuto di George Smith. Il giornale londinese «Daily Telegraph» annunciò che metteva 1000 ghinee a disposizione di chi volesse recarsi a Kujundshik per rintracciare il resto dell’iscrizione di Gilgamesh.
George Smith, l’assistente del British Museum, accettò l’offerta. Si esigeva da lui che facesse un viaggio di migliaia di chilometri da Londra fino alla Mesopotamia, e che, giunto sul posto, cercasse in un enorme cumulo di macerie, che rispetto alla sua mole era stato appena intaccato dal lavoro compiuto fino allora, quelle e proprio quelle tavolette di argilla.
Smith trovò la parte mancante dell’epopea di Gilgamesh e portò in Inghilterra 384 frammenti di tavole d’argilla, e fra di esse i pezzi mancanti della storia di Ut-napiscti, di cui tanto lo aveva colpito la prima parte. Era la storia del Diluvio universale, e non si trattava di una di quelle catastrofi acquatiche che ricorrono nella mitologia primitiva di quasi tutti i popoli, ma proprio del Diluvio universale, di cui, molto piú tardi, riferisce la Bibbia. Poiché Ut-napiscti non era altri che Noè. Ecco il testo in questione (il dio Ea, amico degli uomini, aveva manifestato in sogno al suo protetto Ut-napiscti il proposito degli dei di punire gli uomini, e Ut-napiscti fabbricò una barca):
Presi con me tutto quanto avevo, l’intero frutto della mia vita e lo portai nella barca; la famiglia e tutti i parenti, gli animali dei campi, le bestie del pascolo e le genti da lavoro, imbarcai tutti. Salii nella barca e chiusi la porta.Quando il nuovo giorno sorse luminoso, una nuvola nera si raggomitolò lontano sull’orizzonte... il chiarore del giorno si trasformò d’un tratto nella notte, il fratello non vede piú il fratello, il popolo del cielo non si può piú riconoscere. Gli dèi erano pieni di spavento davanti al diluvio, essi fuggirono e si rifugiarono fino sulla montagna celeste di Anu, gli dèi si rannicchiarono, come cani, contro la parete e stettero fermi. Durante sei giorni e sei notti si gonfiarono la tempesta e il diluvio, Uragano regnò sul paese.
Quando il settimo giorno spuntò, si placò la tempesta, si spianò la marea che aveva infuriato come un esercito in guerra; le onde si fecero tranquille, cessò il vento tempestoso, e i flutti smisero di salire. Guardai verso l’acqua, il suo mugghiare si era ammutolito, tutti gli uomini erano divenuti fango! La mota arrivava all’altezza dei tetti! Guardai verso la terra, verso l’orizzonte del mare, lontano, molto lontano, emergeva un’isola. L’imbarcazione arrivò al monte Nissir, presso il monte Nissir si fermò e rimase come ancorata. Quando spuntò il settimo giorno, liberai una colomba e la mandai lontano, e la mia colomba volò e poi tornò indietro.
Poiché non aveva trovato un posto dove posarsi, tornò indietro. Presi una rondine e la lasciai volare, e la mia rondine volò via e ritornò, poiché non aveva trovato un posto dove posarsi, tornò indietro. Presi un corvo e lo lasciai volare, e il corvo volò via e vide che lo specchio dell’acqua si abbassava; esso si nutrí, volò intorno, gracchiò e non tornò piú indietro.Era ancora possibile dubitare che fosse stata trovata la versione piú antica della leggenda biblica del Diluvio? E non colpiscono soltanto l’analogia generale della vicenda; ma ci sono singoli particolari che ritornano nella Bibbia, come la colomba e il corvo, gli animali che Noè lasciò volare dall’arca. Il testo cuneiforme dell’epopea di Gilgamesh venne a porre all’epoca di George Smith una questione rivoluzionaria: la verità della Bibbia non era dunque la piú antica? Ancora una volta la conoscenza archeologica aveva fatto un enorme passo in avanti nel passato. Nuovi problemi si presentavano:
La storia di Ut-napiscti era solo la conferma recata alla leggenda biblica da una leggenda ancora piú antica?
Ma non era stato fino a poco tempo prima ritenuto leggenda anche tutto ciò che la Bibbia racconta di questa straordinaria terra tra i due fiumi?
E non era apparso che tutte queste leggende contenevano un nucleo di verità?
Non doveva quindi anche la storia del grande diluvio essere considerata qualcosa di piú di una semplice leggenda?
A quali remotissimi tempi risaliva la storia della Mesopotamia?Quello che finora era stato creduto un muro impenetrabile, dietro cui non c’era che l’oscurità delle epoche senza storia, sarebbe presto apparso un semplice velario calato davanti ad uno spettacolo ancor piú remoto.
Pochi anni dopo la scoperta di George Smith, verso il 1880, fu ancora un francese, e un agente consolare per giunta, di nome De Sarzec, che a Tello, in Babilonia, scoprí nella sabbia una figura di uno stile di cui finora non si era trovato nessun esempio in Mesopotamia; questa scultura era certamente affine a quelle che erano state rinvenute in precedenza, ma rivelava un’arte piú arcaica e monumentale, appartenente all’infanzia della civiltà umana e di gran lunga piú antica di quella egiziana, ritenuta finora senza contestazione la piú antica.
La scoperta di questi antichissimi strati di civiltà, e di questo antichissimo popolo, è il frutto di un’ipotesi estremamente audace degli studiosi, confermata dal ritrovamento fortuito di Sarzec.
Ma questo capitolo troverà la sua conclusione solo alla metà del secolo scorso, quando tre spedizioni partirono nel 1949 per rintracciare, in base alle informazioni di un contadino turco, i resti dell’arca di Noè sul Monte Ararat, un’impresa che a fine Ottocento sarebbe stata considerata l’assurda fantasia di cervelli malati.
Pierluigi Montalbano
fonte: http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2014/09/il-diluvio-universale-nella-bibbia.html
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