La prima persona singolare – quel dispettoso dell’io – non è né prima, né persona, né tantomeno singolare. - James Hillman, psicologo analista junghiano
Facciamo un esempio
tratto dalla vita quotidiana.
Sto passeggiando
sul marciapiede d’una qualsiasi via della mia città, quando a un certo punto
dalla stiva di un aereo-merci fuoriesce una mucca congelata che precipita sulla
mia verticale. Un passante alle mie spalle, che stava con la testa all’insù
osservando un signore di mezza età che faceva pipì dal balcone di casa sua,
grida a gran voce: “Hey... Attenzione, gentile signore! Una mucca congelata sta
per colpirla!”
D’improvviso io
alzo la testa, vedo la mucca e con un balzo mi metto istintivamente in salvo.
“Grazie, buon uomo”
dico al passante sorridendo e solo adesso mi avvedo che indossa dei pantaloni
color cane. A questo punto mi faccio venire un malore completo.
Un esempio più semplice: un bicchiere di cristallo cade da uno scaffale, immediatamente e spontaneamente afferrate l'oggetto senza che ci sia il tempo di formulare un pensiero, un idea o un'intenzione. Solo un attimo dopo che avete fatto un balzo per mettervi in salvo dalla mucca congelata e solo un attimo dopo che avete afferrato al volo il bicchiere... potete pensarci, capire cos'è successo, e allora il vostro battito cardiaco si fa più veloce, i pensieri si affollano nella mente e l’esperienza iniziale si frammenta nel corpo emotivo e in quello mentale.
L’istante in cui
balziamo o afferriamo al volo qualcosa è un istante di Vuoto assoluto, in un
certo senso è un’esperienza di illuminazione, ma è un’illuminazione passiva in
quanto la mia attenzione in quel momento era passiva, ossia il mio corpo ha
reagito allo stimolo bypassando la mia coscienza. Quando funzioniamo nella modalità
ordinaria la nostra attenzione è passiva e viene mobilitata – risvegliata – da
un evento improvviso che coglie sempre impreparata la nostra coscienza, la
quale si ritrova di fronte al fatto compiuto e non le resta che gestire nei
secondi successivi all’evento la dispersione di energia a livello fisico,
emotivo e mentale.
Che sia la nostra fidanzata che ci lascia o una mucca
congelata che cade dal cielo... non fa poi molta differenza. Ogni evento scioccante,
traumatico o anche solo improvviso, provoca un risveglio dell’attenzione, ma noi
non ci siamo con la nostra coscienza per sfruttarlo a nostro favore.
L’attenzione dell’uomo
ordinario non si trova in realtà in uno stato di vigilanza autonomo e
incondizionato; essa viene semplicemente risvegliata da mobilitazioni di
energia prodottesi nella nostra macchina biologica, e il suo risveglio è
condizionato da tali mobilitazioni. Non appena passa il momento-senza-durata in
cui tutto si è fermato e il corpo ha agito da solo, quell’energia risvegliante resta
intrappolata nel mondo formale delle emozioni e dei concetti: “Che spavento! C’è
mancato poco. Ma cosa è successo? Oddio che batticuore.” L'occasione di
contattare il Qui-e-Ora che si era prodotto per un istante... ormai è perduta.
Dopo che i pensieri
sono emersi, non serve a niente cercare di liberarsene, non si possono
sopprimere pensieri ed emozioni (se non pagandone un caro prezzo in futuro), se
ne può sopprimere soltanto la paternità. Come disse il monaco Huineng
(638-713): “Sopprimere il lavoro della mente... è malattia, non è Zen.” Se pensieri
ed emozioni appaiono, significa che è già troppo tardi per liberarsene, anche
se molti di noi ci provano.
L'attenzione non
dovrebbe risvegliarsi solo quando la macchina biologica viene mobilitata, bensì
prima, e questo si verifica nel momento in cui, invece di osservare i processi ideativo-emotivi
che si stanno producendo come effetto collaterale d’un evento, io afferro quei
processi quando sono ancora sul punto di prodursi. Il che si verifica quando, invece di esercitare un’attenzione passiva –
meccanica – nei confronti delle mie reazioni, io cerco di percepirne
attivamente la nascita. Per usare un’espressione mutuata dallo sport: gioco d’anticipo.
Una nuova vigilanza sovrintende ora la mobilitazione della macchina biologica.
Detto più semplicemente, un'attenzione attiva giace in attesa dei
miei movimenti interni. Non sono più quindi le mie emozioni a interessarmi, ma
la loro nascita; non più il loro movimento, bensì il sorgere di quel movimento
informale che ne è all'origine.
È un sentire
profondo e non più un osservare.
Quando la nostra
attenzione è passiva, essa provoca l'emergere di pensieri ed emozioni, mentre
al contrario, quando è attiva, allora i pensieri non emergono perché viene evitato in maniera naturale il
processo di reazione all’evento. Badate
bene, non c’è costrizione né desiderio di controllo in questo. Tutta l’energia
dovuta all’evento viene in qualche modo trattenuta all’interno e non si
disperde.
Quando la nostra
attenzione opera secondo la modalità attiva accade una magia: ci accorgiamo che
non vi è assolutamente nulla di oggettivo da percepire. Non
resta alcun mondo oggettivo “là fuori”; tutto ciò che accade è che il
mondo guarda se stesso secondo una modalità non duale. Esiste l'atto del vedere senza più nulla di oggettivo da vedere.
Ma come si produce
l’attenzione attiva di cui abbiamo bisogno?
Essa è uno stato di
vigilanza intensa ma rilassata che si risolve nella totale accettazione di
quanto accade istante per istante. Stiamo parlando di un gesto interiore che si traduce nella sospensione del pensiero senza
la sua soppressione. Una sospensione del film delle immagini nella mia mente,
ottenuta senza averla cercata, come effetto collaterale del voler rimanere
attenti a tutti i costi.
Perché possa
funzionare al meglio io devo già essere in questo stato di attenzione quando
accade l’evento, affinché possa sentire
l’origine delle emozioni e contattare direttamente la loro paternità. Questa paternità, questa energia alla base di pensieri
ed emozioni, è ciò che io veramente sono.
E questo non può
essere descritto.
Sta a voi
scoprirlo.
Salvatore Brizzi
(occupazione: domatore di fiumi)
(occupazione: domatore di fiumi)
PS: procuratevi il film Predestination del 2014,
perché è un vero koan zen, da non perdere!
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