Quando al vecchio maestro Hyakujo venne chiesto in che cosa consistesse lo zen, questi rispose
“Quando ho fame mangio Quando ho sonno, dormo”.Il postulante controbatte “Beh ma non e ciò che fanno tutti? Non sei proprio come gli esseri ordinari”
Oh no rispose il maestro,
“gli esseri ordinari non fanno nulla del genere quando hanno fame non si accontentano di mangiare, ma pensano a ogni genere di cose. Quando sono stanchi non si accontentano di dormire, ma passano da un sogno all’altro”.Abbiamo corso più del necessario. Non c’è problema, perché siamo stati attivi, e col nostro agire abbiamo ottenuto un sacco di cose positive. Tuttavia, ecco cosa ci ha suggerito Aristotele molto tempo fa, uno dei suoi migliori suggerimenti: “Lo scopo dell’azione è la contemplazione”.
In altri termini, a che fine essere sempre, continuamente, terribilmente occupati?
Quando la gente è indaffarata, pensa che arriverà da qualche parte, che riuscirà a raggiungere la meta prefissata e a ottenere qualcosa. C’è davvero un valido motivo per agire se sappiamo che non stiamo andando da nessuna parte, e se sappiamo agire nello stesso modo in cui danziamo, cantiamo o suoniamo, allora davvero non stiamo andando in nessuna direzione. Stiamo semplicemente compiendo l’azione pura.
Se d’altra parte vogliamo agire con l’idea che in seguito a tale azione arriveremo in qualche posto, in cui tutto sarà perfetto, ecco che siamo ricaduti nella ruota della gabbia dello scoiattolo: condannati senza speranza a ciò che nel buddhismo prende il nome di samsara, la ruota, o rincorsa, della nascita e della morte. È questa la conseguenza del pensare di arrivare da qualche parte. Ci siamo già, e solo una persona che ha scoperto di esserci già è davvero in grado di agire. Una persona del genere non agisce in modo convulso con l’idea di arrivare da qualche parte. Non si può agire creativamente se non sulla base della più assoluta calma, con la mente capace di tanto in tanto di smettere di pensare.
La parola tathata, che è il termine sanscrito per ‘talità, quiddità,’ o ‘vastità, in realtà significa qualcosa del tipo: ‘da-da-da’, sulla base della parola tat, che in sanscrito vuol dire ‘quello’. Sempre in sanscrito, l’esistenza viene descritta come ‘tat tvam asi’, ‘quello voi siete’, ovvero, in un linguaggio corrente, ‘tu sei quello’. Però da-da-da è il primo suono che viene emesso dal neonato, allorché si guarda intorno e dice proprio: “Dada-da-da-da , ovvero Quello, quello, quello, quello, quello!. I padri se ne compiacciono, pensando che il piccolo con quel ‘da-da’ voglia dire ‘daddy’, invece, secondo la filosofia buddhista, tutto l’universo è da-dada, vale a dire diecimila funzioni, diecimila cose, ovvero una talità, nella quale ci ritroviamo tutti.
La forza della liberazione fa esplodere il mondo: è una corrente troppo forte, che un semplice cavo elettrico non può reggere finché pensate di stare per uscire di testa, e all’improvviso diventa… sì, tutto ciò che è, noi, seduti qui in questa stanza. Grazie, grazie di cuore.
Alan Watts
Alan Watts
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