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Alcuni esperimenti di laboratorio
confermano un fenomeno che la Meccanica Quantistica ha sostenuto su un
piano teorico ed ora assume connotati sostanziali grazie a
sperimentazioni scientifiche che lo evidenziano.
L’Entanglement spiega anche la telepatia?
Da tempo l’Entanglement è un termine
usato da molti ricercatori come metafora di modi diversi da quelli della
Fisica Classica di entrare in contatto tra entità, che siano particelle
o esseri umani. In particolare, nel campo della comunicazione si spiega
la ricezione di messaggi tra menti umane senza l’uso dei cinque sensi,
con una sorta di connessione spiegabile appunto con l’Entanglement.
Ciò che cambia oggi, sulla scorta di
nuove prove di laboratorio, è che la teoria viene suffragata da fatti
concreti, che la sperimentazione mette in luce senza ombra di dubbio,
confermando le ipotesi teoriche che già avevano reso perplesso Albert
Einstein, che insieme ai suoi collaboratori aveva comunque riconosciuto
tale processo connettivo fra particelle che avevano avuto tra loro un
contatto.
A distanza, anche abissale, le particelle collasserebbero
nello stesso modo allo stesso momento, proprio come se una – vivendo uno
stato – lo trasmettesse all’altra, oppure come se istantaneamente i
fenomeni di posizione o di stato avvenissero all’unisono. Anche se non
ci sono spiegazioni, secondo la Fisica subatomica è certo che accada.
Fotoni: una relazione a quattro
Recentemente
le cose sono cambiate. Riprendiamo dalla rivista Le Scienze (n.
Febbraio 2016) alcune dichiarazioni su un esperimento innovativo svolto.
“L’Entanglement, la correlazione a
distanza che secondo le leggi della meccanica quantistica può legare
stati di particelle lontane tra loro, può essere stabilito anche tra i
momenti angolari di ben quattro fotoni. Lo hanno dimostrato per la prima
volta ricercatori dell’Università di Leiden, nei Paesi Bassi,
guidati da Wolfgang Löffler, che firmano un articolo sulle Physical
Review Letters. Questo risultato è un importante passo in avanti
nell’ambito della ricerche mirate alla realizzazione di computer
quantistici, che dovrebbero surclassare quelli convenzionali per potenza
di calcolo. Il momento angolare orbitale dei fotoni, scoperto in un
esperimento effettuato proprio all’Università di Leiden nel 1992, è una
grandezza fisica su cui si sono concentrate di recente le attenzioni dei
fisici teorici e di quelli sperimentali. Si tratta dell’analogo
quantistico del momento angolare, una grandezza fondamentale che, nella
meccanica classica, è associata al moto di rotazione di un corpo intorno
a un asse. L’analogia è dovuta al fatto che quando un’onda
elettromagnetica si propaga nello spazio, in certe condizioni, i fronti
d’onda possono avvolgersi a spirale attorno alla direzione di
propagazione. In questo caso i fotoni, i quanti di luce, associati
all’onda, hanno quindi un momento angolare orbitale.
Schema dell’apparato sperimentale usato
nello studio: attraversando un cristallo contemporaneamente, quattro
fotoni emergono legati dall’Entanglement (W. Löffler/Leiden University)
Parte dell’interesse destato da questa grandezza è dovuto al fatto che i
momenti angolari orbitali di due particelle possono essere legati tra
loro dall’Entanglement, una correlazione a distanza che tanto aveva
perplesso Albert Einstein. Quando due particelle, opportunamente
preparate, sono entangled, una misurazione effettuata su una fa
“collassare” lo stato della particella misurata su un dato valore e
contemporaneamente anche lo stato della secondo particella,
indipendentemente dalla distanza a cui si trova, su un altro
valore. Alcuni recenti esperimenti hanno prodotto l’Entanglement tra i
momenti angolari orbitali di due fotoni, mentre il gruppo di Löffler,
per la prima volta, è riuscito a ottenerlo per ben quattro fotoni,
facendo in modo che passassero nello stesso istante in un cristallo”.
La mente fotonica
Dunque,
anche per gli inesperti di Meccanica Quantistica o per noi psicologi,
il fatto è di importanza capitale, perché dimostra una volta di più che
il fenomeno, utilizzato spesso strumentalmente per spiegare eventi in
qualche modo analoghi, è vero e dimostrato. Addirittura il fatto che
quattro fotoni reagiscano allo stesso modo è una dimostrazione che apre
molti interrogativi, appunto anche in altre discipline. La letteratura
parapsicologica, ad esempio, è ricchissima di prove in cui soggetti che
hanno avuto contatti tra loro (parenti, gemelli, coppie affiatate, ecc.)
vivono esperienze analoghe o si trasmettono informazioni ed emozioni
senza che avvenga alcuna comunicazione tramite i cinque sensi o altri
mezzi noti.
Classica è la situazione in cui un
congiunto avverte improvvisamente una sensazione di disagio profondo,
scoprendo successivamente, che in quell’esatto momento un suo parente
aveva avuto una disgrazia, anche in condizioni in cui nulla faceva
presagire ciò che poi è accaduto. Ricerche fatte sui gemelli monozigoti
sarebbero particolarmente favorevoli, ma anche tra congiunti o tra
persone in forte relazione emotiva tra di loro. Sulla stessa lunghezza
d’onda, le migliaia di casi di persone che vengono improvvisamente in
mente dopo tanto tempo che si sono viste o sentite… e dopo pochi secondi
squilla il telefono con loro in linea. In molti casi si può ovviamente
parlare di coincidenze, anche se Jung avvertiva che le coincidenze sono
spesso legate fra loro non da un rapporto di causa-effetto, bensì di
significato, come se ci fosse un filo sottile che lega eventi che hanno
un senso per i partner della comunicazione.
I laboratori scientifici vanno oltre: è
sempre più frequente la sperimentazione tra soggetti che sono in
relazione fra di loro, dove non si misurano più gli “indovinamenti” di
messaggi telepatici, bensì si analizzano le onde elettroencefalografiche
per individuare se nel momento casuale in cui un soggetto riceve un
messaggio, anche l’altro, che non sta compiendo niente di particolare,
esibisce la stessa funzione d’onda. Non essendoci una vera e propria
trasmissione di pensiero a livello conscio, ciò che avviene è una sorta
di “telepatia inconsapevole”, ancora più significativa perché dimostra
la connessione tra le due sorgenti impegnate (trasmittente che vive uno
stato e ricevente che non sa come e quando avverrà quell’attimo, ma che
in quell’attimo “riceve” la stessa sensazione od emozione su un piano
neurologico rilevabile). Alla domanda su come è possibile, almeno per
ora l’Entanglement è l’unica risposta possibile.
Un esperimento significativo
In questo tipo di esperimenti, condotti
negli USA e anche in Italia, cambia totalmente la prospettiva rispetto
ai classici esperimenti di telepatia, fenomeno che passa in secondo
piano, a favore di ricerche centrate più sulla Neuropsicologia e
Neurofisiologia, dietro a cui c’è comunque l’uomo e le sue potenzialità
mentali, anche inconsce o “automatiche”. Sembra di poter dire che le
correnti di pensiero moderne nella ricerca su cervello e mente stanno
aprendo nuovi orizzonti che potranno avere implicazioni di notevole
portata nella conoscenza della nostra esistenza e della relazione che
esiste tra il Sé e gli altri.
Ripensando ad un esperimento storico
della Parapsicologia, quello di Alister Hardy e Robert Harvie, si
possono fare nuove considerazioni proprio in funzione delle prove
sull’Entanglement. I due ricercatori inglesi avevano realizzato un
esperimento collettivo in cui misuravano il numero di “indovinamenti” di
bersagli trasmessi telepaticamente da parte di un gruppo numeroso di
persone partecipanti alla prova.
Ottennero alcuni risultati significativi (corrispondenza tra bersaglio e risposta), ma dovettero rilevare che molte risposte erano simili tra loro, come se fosse avvenuta una sorta di “ telepatia interna ”, cioè un buon numero di soggetti davano risposte che non c’entravano col bersaglio, ma che riproducevano lo stesso disegno. Sostennero che il fatto non poteva essere casuale perché ripetuto in più esperimenti con frequenza significativa.
Verificare le ipotesi di lavoro
Al
tempo della mia Tesi di Laurea in Parapsicologia volli ripetere gli
esperimenti di Hardy e Harvie e consapevole di quanto a loro accaduto
decisi di inserire una variante. Mi rivolsi a un gruppo di studenti
delle magistrali e li divisi in vari gruppi; a uno di loro chiesi di
indicare quali bersagli avremmo dovuto utilizzare in un esperimento di
Percezione ExtraSensoriale, mantenendolo isolato dagli altri gruppi che,
contemporaneamente erano chiamati a “indovinare” bersagli prestabiliti
con le tre modalità: Telepatia, Precognizione, Chiaroveggenza.
L’ipotesi di lavoro era che avrei
misurato sia la corrispondenza verso i bersagli “veri” (quelli
utilizzati nelle prove) sia verso quelli “falsi” (quelli suggeriti dal
gruppo che dovevano suggerire quali usare). L’intenzione era di
eliminare il fattore “caso”, vale a dire che le risposte casuali erano
riconoscibili in quanto frutto di un repertorio che i ragazzi comunque
avrebbero esibito essendo nella loro cultura e nel loro linguaggio
abituale. I risultati diedero qualche indicazione positiva rispetto ai
bersagli veri, ma non statisticamente significativi, mentre la
correlazione con i bersagli falsi fu elevata, come da ipotesi. Dunque
anche i relativamente pochi indovinamenti potevano valere di più, perché
avevano superato lo scoglio della cultura comune (per il fatto di dover
dare una risposta se non interviene l’ESP si usa il linguaggio corrente
tra i ragazzi), mentre era certo che tante risposte erano appunto
simili tra loro per un fatto culturale. Dunque poca ESP, ma
probabilmente genuina e molta risposta casuale, come si potrebbe
logicamente prevedere.
Tuttavia, ciò che allora interpretai non
come una “telepatia interna” (a differenza di Hardy e Harvie), bensì
come incidenza del fattore culturale comune, potrebbe oggi essere
modificata dalle dimostrazioni sull’Entanglement. Infatti, le persone
che hanno partecipato agli esperimenti inglesi e ancor di più i ragazzi
delle magistrali italiane, potrebbero, nella situazione sperimentale di
concentrazione su un bersaglio ignoto, aver avuto un’esperienza
entangled, vivendo nello stesso momento la sensazione o l’emozione sullo
stesso stimolo, proveniente non dal bersaglio, ma dal collega di
esperimento.
Nel momento dell’attesa di una
percezione nella mente di uno stimolo trasmesso o ignoto, per un attimo,
un’idea presentatasi a un partecipante potrebbe essere stata condivisa
da un altro (anzi da diversi altri, come accaduto negli esperimenti
citati e come nel caso dei quattro fotoni entangled dell’esperimento di
Leiden). Su questa linea si potrebbe ripensare l’esperimento di Hardy e
Harvie – e della mia replica – isolando opportunamente tutti i
partecipanti (forse lavorando anche via web) e raccogliendo le loro
percezioni a fronte di uno stimolo unico, che in realtà viene dichiarato
ma non utilizzato, per cui si può fare un calcolo statistico sulla
eventuale “telepatia interna” e se significativa, verificare ancor
meglio l’ipotesi di un evento entangled multiplo.
Il fatto di credere che esista un
bersaglio mette in movimento la disposizione mentale a ricevere
messaggi. Il fatto che non ci sia alcun bersaglio elimina la direzione
(in andata o in ritorno) verso quello specifico stimolo, permettendo di
misurare solo la connessione tra le menti coinvolte nell’esperimento. È
vero che rimarrebbe sempre la possibilità del caso, ancora una volta
superabile attraverso un gruppo di controllo che in un momento
precedente indica quali stimoli si potrebbero usare; e poi si calcola se
si manifesta una correlazione diversa fra ciò che i partecipanti
percepiscono “insieme” rispetto ai “falsi” bersagli, rappresentativi del
caso.
Insomma, dalla Meccanica Quantistica arrivano input interessanti anche per le ricerche psichiche, non soltanto dal punto di vista della speculazione teorica, bensì anche sul piano sperimentale. Per cui l’idea che esista una sorta di connessione tra menti diverse, indipendentemente dalla distanza spaziale, potrebbe essere sperimentata, per disporre di una verifica pratica che possa confermarla (o confutarla).
karmanews.it
http://www.altrogiornale.org/le-nuove-implicazioni-dellentanglement/
vedi www.bioquantica.org Paolo
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