Quantità e non qualità.
Con la crisi che non accenna a mollare la presa, gli italiani
continuano a tagliare sulle spese: dall'abbigliamento alle automobili a
farla da padrone è sempre il segno meno rispetto ai bei tempi che
furono. Un settore, però, "tiene botta": quello alimentare.
Tagliare è impossibile, almeno oltre un certo limite, ma si è
verificato – fa notare Coldiretti – un sensibile spostamento verso i
prodotti a basso costo per cercare comunque di risparmiare.
Nel 2013, analizza l'associazione dopo una analisi del rapporto "I
rischi dei cibi low cost" – le vendite sono aumentate solo nei discount
alimentari che hanno fatto segnare un incremento del'1,6% mentre sono
risultate in calo tutte le altre forme distributive fisse al dettaglio.
Il risultato – precisa Coldiretti – è l'aumento degli acquisti di "cibo low cost" con oltre sei famiglie italiane su dieci -
il 62,3% – che hanno tagliato quantità e qualità degli alimenti
privilegiando nell'acquisto prodotti offerti spesso a prezzi troppo
bassi per essere sinceri, che rischiano di avere un impatto sulla
salute".
Un impatto che effettivamente non è mancato. Sempre nei
dodici mesi dell'anno scorso, infatti, sono aumentati del 14% – rispetto
a cinque anni fa – gli allarmi alimentari in Italia con ben 534
notifiche sulla sicurezza di cibi e bevande potenzialmente
dannosi per la salute. Solo una minoranza di allarmi – sottolinea
Coldiretti – è dovuta a prodotti nazionali con circa 97 casi di
irregolarità e una tipologia del rischio abbastanza eterogenea: venti di
salmonella, undici di listeria ed epatite A in frutti di bosco
preparati con materie prime importate.
Dietro questi prodotti – chiarisce Coldiretti – spesso si nascondono ricette modificate, l'uso di ingredienti di minore qualità o
metodi di produzione alternativi. I rischi del low cost riguardano
infatti anche le imitazioni dei prodotti italiani più tipici come il
parmigiano Reggiano e il Grana Padano che soffrono la concorrenza sleale
dei similgrana le cui importazioni in Italia sono raddoppiate negli
ultimi dieci anni.
Si tratta di formaggi di diversa origine e qualità che non devono
rispettare i rigidi disciplinari di produzione approvati dal'Unione
Europea ma che rischiano di essere scambiati dai consumatori come prodotti Made in Italy perché vengono spesso utilizzati nomi, immagini e forme che richiamano all'italianità.
Un problema analogo – continua l'associazione degli agricoltori - riguarda
i prosciutti che in quattro casi su cinque tra quelli venduti in Italia
provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania,
Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta e con
l'uso di indicazioni fuorvianti come "nostrano" che ingannano il
consumatore sulla reale origine.
Quindi, dulcis in fundo, almeno una mozzarella su quattro tra
quelle in commercio – spiega sempre Coldiretti – non è stata realizzata
a partire direttamente dal latte, ma da cagliate straniere,
anche se non è obbligatorio indicarlo in etichetta. Ogni anno decine di
milioni di chili di cagliate provenienti soprattutto da Lituania,
Ungheria, Polonia e Germania diventano mozzarelle Made in Italy, dietro
il nome di marchi con nomi italiani, ma nessuno lo sa perché non è
obbligatorio riportarlo in etichetta. Oltre ad ingannare i consumatori,
si tratta di una concorrenza sleale nei confronti dei produttori che
utilizzano esclusivamente latte fresco perché la mozzarella "tarocca"
costa attorno alla metà e può essere venduta sullo scaffale a prezzi
molto più bassi. E in tempi di crisi non è una differenza da poco.
Purtroppo neanche per la salute.
fonte: http://www.articolotre.com/2014/02/allerta-alimentare-salmonella-ed-epatite-c-il-prezzo-della-crisi/258557
Nessun commento:
Posta un commento