venerdì 21 febbraio 2014

Il lavoro, la nobiltà e l'abbronzatura

Anche in questa fredda mattinata torinese, al bar dove vado a fare colazione, ho sentito una signora di mezza età lamentarsi così: “Non c’è lavoro. Non si trova niente. Mio figlio sarebbe disposto a fare qualunque cosa, ma non trova niente!

 
Già... pensavo io, sarebbe disposto a fare qualunque cosa, forse il problema è proprio qui. Forse la mentalità dello schiavo – per quanto diffusa – non lo aiuta nella ricerca del lavoro, ossia non fa la differenza rispetto alle folle dei suoi coetanei con i quali deve sgomitare.
 
Vale sicuramente la pena riflettere su un concetto un po’ fuori moda: la nobiltà di una volta. Chi era il nobile? Una figura che oggi viene – giustamente, se si guarda agli esempi odierni – derisa e snobbata. Già, ma chi sarebbe dovuto essere in realtà?
 
Innanzitutto l’autentica nobiltà era sempre “nobiltà d’animo”. Ossia il vero nobile doveva anche e sempre, per definizione, essere magnanimo: magna (=grande) anima. Il corrispettivo del mahatma (=grande anima) nella cultura indù. Era una persona colta, che si occupava di filosofia, d’arte e di spiritualità. Sto parlando delle prime dinastie egizie, delle antiche famiglie nobiliari indù, cinesi e giapponesi; ma sto anche parlando di Giulio Cesare, Lorenzo il Magnifico, Federico il Grande di Prussia, Ferdinando I di Borbone, Federico II di Svevia ...
 
Il nobile non lavorava. Il nobile pensava, o al limite conduceva in battaglia i suoi uomini per una “giusta causa” oppure si dedicava all’arte. Ma non lavorava. Mai un vero nobile avrebbe aspirato al lavoro o addirittura lottato per esso. Qualcuno potrebbe obiettare che a nessuno piace lavorare, ma quando si è sottoposti alla necessità di procurarsi il denaro allora si cerca il lavoro, lo si ritiene un diritto, addirittura si combatte per esso. e si giunge al punto che “qualunque mansione andrebbe bene”.
 
Invece no. Vale esattamente il contrario: è proprio perché alle persone non interessa più nulla di profondo, nulla che oltrepassi la loro più bassa sopravvivenza, che sono costrette a lottare e sgomitare con gli extracomunitari per poter lavorare 8-10 ore come animali in una fabbrica o in un ufficio (entrambe le esperienze le ho vissute anch’io). A scuola, a mio figlio, insegneranno che esser schiavi d’un governo democratico è un diritto per cui battersi, lo spingeranno a “porre spontaneamente i polsi e le caviglie a ceppi”. Io gli trasmetterò l’opposto... vedremo chi l’avrà vinta. 

La soluzione sta nell’affrancarsi dalla paura di morire di fame e riacquisire la propria dignità - la propria nobiltà, appunto - dedicandosi innanzitutto a ciò che di più elevato si riesce a produrre interiormente, ossia l’identificazione con la propria anima, la vera essenza, dove sta anche scritto qual è il mestiere a cui dobbiamo dedicarci per vivere in maniera equilibrata. Presenza nel Qui-e-Ora e Cuore aperto sono le parole d’ordine.
Nessuno vi vieta di riacquistare questa dignità a partire da oggi!


 
Quando possiederemo la “nobiltà d’animo” il nostro lavoro tornerà a essere archetipico: l’artista, il guerriero, il guaritore, il commerciante ... nessuno di questi prevede il lavoro dipendente dove “qualunque mansione va bene purché mi diate i soldi” che ben si addice alla moderna genìa dei codici a barre umani.
 
Tutto in questa civiltà mira a fabbricare servi. Vi siete mai chiesti da dove nasce il vostro desiderio di essere abbronzati e avere il fisico palestrato? Ve lo immaginate un autentico nobile abbronzato e con i muscoli grossi come un muratore (o un attore holliwoodiano)? Vi siete accorti che sono le caratteristiche di chi svolge tutta la vita lavori di fatica sotto il sole? Perché oggi il mio corpo - per venire considerato bello - deve somigliare ai corpi di coloro che, in incarnazioni passate, erano i miei schiavi?

 
Non date nulla per scontato e tenete gli occhi aperti.



Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)
 

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