Forse alle storie della "primavera bosniaca” qualcuno
in Europa ci crede, ma di certo non nei Balcani. Le agitazioni qui,
dapprima, possono aver avuto carattere sociale, ma si sono rapidamente
evolute in tentativi di usarle per scopi politici.
Ci
sono due fattori, uno interno e uno esterno. In primo luogo, quest'anno
ci saranno le elezioni in Bosnia-Erzegovina. Quasi tutti i partiti
politici qui per quattro anni non hanno fatto nulla per migliorare la
vita dei cittadini. Ora, secondo l'antica tradizione balcanica, per
vincere di nuovo le elezioni si parla di una Bosnia-Erzegovina
unificata, minacciando anche la guerra tra le varie parti della
federazione.
Il fattore esterno è la partecipazione
attiva dei funzionari austriaci nei disordini in Bosnia-Erzegovina.
Nominato lo scorso anno, il ministro degli Esteri austriaco Sebastian
Kurtz il giorno dopo aver preso ufficio è giunto in Croazia, "per
dimostrare che la regione dei Balcani occidentali è una delle priorità
della politica estera austriaca". Vienna riconosce la natura sociale dei
disordini in Bosnia-Erzegovina, ma vede la soluzione in un nuovo
Deiton. Kurtz ha direttamente chiesto di discutere la questione della
modifica della Costituzione:
Le persone meritano di vivere in un paese con una struttura politica funzionante. Deiton ha funzionato per il ristabilimento della pace. Ora serve una nuova costituzione.
L’Alto
Rappresentante per la Bosnia-Erzegovina, Valentin Inzko, ha minacciato
un aumento del contingente austriaco nel paese, e in caso di un
aggravamento della situazione, l'introduzione di truppe dell'Unione
europea. Ma se l'agitazione ha carattere sociale, come sottolineano
costantemente le élite politiche bosniache ed europee, a cosa serve
l'esercito? Questo, dopotutto, non è intervenuto durante le
manifestazioni o in Grecia o in Spagna, e in Italia.
Catherine
Ashton ha respinto la proposta di Inzko sull’invio di truppe, ma come
confermato dal ministro della Difesa Gerald Klug, il contingente
austriaco di 190 soldati in Bosnia-Erzegovina, quest’estate aumenterà di
altri cento. In una recente riunione del governo austriaco si è deciso
di inviare, nel primo semestre di quest'anno, un ulteriore contingente
di 130 soldati nella Kosovo Force. In tutto, lì ci saranno 500 soldati
austriaci, che verranno mandati a nord, in sostituzione di quelli
francesi. Così, in Kosovo e in Bosnia-Erzegovina, l’Austria, tra i paesi
non membri della NATO, avrà il contingente maggiore.
L’intensificazione
della politica di sicurezza dell’Austria si manifesta anche nel
tentativo di partecipare alle missioni dell'UE in Africa centrale e nel
Mali, nell’ambito di un mandato delle Nazioni Unite. "Dobbiamo essere
presenti ovunque ci sia una crisi", ha detto il ministro Klug.
Intanto,
in Austria si organizzano simposi scientifici, si pubblicano libri
sulla Prima Guerra Mondiale, si girano film. Il tutto con l'obiettivo di
spostare la colpa per lo scoppio della prima guerra mondiale da
un’altra parte, se possibile, sui serbi. Non c'è da meravigliarsi se
durante i disordini in Bosnia-Erzegovina sia stato appiccato il fuoco
all’Archivio di Stato, dove sono custoditi i più importanti documenti
del periodo dell'Impero austro-ungarico.
Analogamente,
non stiamo celebrando solo il centesimo anniversario dell'inizio della
Grande Guerra, ma vediamo anche che questi cento anni è come se non ci
fossero nemmeno stati. La situazione è molto simile a quella del 1914.
L’Austria minaccia nuovamente l’intervento dell'esercito, e la Germania
esercita pressioni sulla Serbia, chiedendo che i serbi cambino la loro
versione della storia, e la loro visione del futuro del paese.
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