La Tav viene presentata dalla stampa come un problema di ordine
pubblico, di devianza e addirittura di terrorismo. La domanda da porsi
sarebbe: perché la Tav entra in agenda solo come un problema di ordine
pubblico? E ancora: perché la stampa ha perso il suo ruolo storico di
strumento critico – pensate a tutti quei film che hanno immortalato
attraverso l’immaginario hollywoodiano la stampa come controsistema –
per diventare oggi completamente asservita al potere dominante? La risposta che si da solitamente è che la stampa è alla dipendenza della casta politica
e ne segue i diktat. Bene, non solo. Meglio: il giornalismo rappresenta
a sua volta una casta: c’è una casta che muove in qualche modo le fila
come un burattinaio, le fila che muovono l’opinione pubblica sono i
giornalisti asserviti al potere.
E se il problema fosse più complesso? Se anziché essere persuasori
occulti i giornalisti fossero in buona fede persuasi (sottolineo
persuasi) dal pensiero unico?
Preso atto che naturalmente l’agenda dei media influenza l’opinione pubblica, la domanda da porsi è: in base a quali principi si costruisce questa agenda, quali
sono gli elementi che hanno indotto la stampa a cambiare radicalmente
la sua funzione da giornalismo d’inchiesta e critica sociale a difesa
del consenso? Queste sono le domande da porsi. Bene. La cosa più
interessante è che pensiamo alla parola “dissenso”. E qui iniziamo un
ragionamento. Negli anni delle lotte per i diritti civili, la parola
dissenso era sinonimo di democrazia.
Oggi invece è piuttosto sinonimo di: devianza, delinquenza, terrorismo.
Il movimento No Tav esprime il dissenso delle popolazioni coinvolte
rispetto al progetto approvato a livello centrale: pertanto è un caso di
“insubordinazione”, è fuori dalla maggioranza. Ritengo che il caso No
Tav non sia un caso singolo, ma un format, che si replica in tutti i
casi di minoranze che si oppongono all’ordine del discorso quantitativo
della nostra epoca.
Noi viviamo attualmente le contraddizioni di vivere con una
Costituzione formalmente basata sul principio illuministico di difesa
delle minoranze ma cerchiamo di applicarla in modo contrario (è questo
il tema della discussione politica
di oggi) affinché la maggioranza possa esercitare quella che è di fatto
una dittatura. Per vedere come questo format si può estendere prendiamo
il caso del Parlamento. La dialettica parlamentare nasce per permettere
anche alle minoranze di esporre le proprie idee e partecipare alla
costruzione della legge. Piglio l’esempio della Boldrini: intervistata
da Fabio Fazio sul decreto Imu-Bankitalia (scandaloso) la Boldrini ha
giustificato la “ghigliottina” dicendo che era suo dovere, in veste di
presidente della Camera, troncare il dibattito
parlamentare per permettere alla maggioranza (sottolineo “permettere
alla maggioranza”) di governo di legiferare. Interessante.
Dunque il Parlamento va esautorato, le leggi sono un prodotto
dell’esecutivo in quanto appoggiato dalla maggioranza, e le minoranze
sono di per sé qualcosa di illegale, che dev’essere in qualche modo
ricondotto al volere dei più. Ecco questo format che si ripete anche
nella situazione della Boldrini. Io, guardate, è dagli anni ’80 che mi
occupo di maggioranza e sono stato forse il primo a segnalare in qualche
modo, partendo dall’analisi dell’audience televisiva, come l’uso
continuo del sondaggio avesse a poco a poco sostituito a livello sociale
la ricerca del sapere foucoltiano o della verità in generale. E se
tutte le scelte – anche politiche e morali – avvengono su base
quantitativa, non è più possibile esprimere dissenso, è chiaro. Abolito
il concetto di verità da parte del pensiero debole (altra cosa molto
importante) non esiste più alcun elemento valido per opporsi ai valori
della maggioranza.
Ecco che a tutto ciò si è poi aggiunto in qualche modo, dopo l’11 Settembre, un clima – come posso dire – di guerra
permanente, che giustifica in qualche modo un permanente stato di
eccezione. Ecco, questa qua è l’altra cosa fondamentale, e sottolineo
“stato di eccezione” che a sua volta giustifica il superamento di
qualsiasi garanzia democratica. Ricordo un programma di Santoro,
“Servizio Pubblico”, che mesi fa ha intervistato due No-Tav come
“terroriste” in quanto così presentate dalla stampa e dalla forza
pubblica. Erano due ragazze giovanissime, simpatiche, belle, tranquille.
Ma questo cosa vuol dire: che oggi che il semplice dissenso è sinonimo
di terrorismo. Questa è una cosa che sta passando tranquillamente: chi
si difende perché aggredito, anche se vede in parte riconosciute le sue
ragioni, viene comunque presentato come dalla parte del torto perché
(orrore!) ha operato in modo violento opponendosi all’ordine della maggioranza. La violenza è tollerata solo nel senso della forza pubblica.
Altro elemento fondamentale: dopo l’11 Settembre, in America, sono state sdoganate la tortura, Guantanamo e tutte le forme di guerra.
Apro questo inciso perché un altro elemento che ha lavorato nel nostro
inconscio, quella violenza che genera orrore e in qualche modo
raccapriccio se messa in opera da parte dissenziente, viene vissuta come
buona e giusta qualora sia un’emanazione del potere
costituito. In “24”, la serie americana, Jack Bauer combatte il
terrorismo con la violenza e la tortura, e scene di punizione corporale.
Bene, in Italia la polizia (già col G8 si era entrati in uno stato di
eccezione che ricordo molto bene, e prima ancora che a Genova anche a
Napoli) può picchiare, usare lacrimogeni pur di contenere comunque ogni e
qualsiasi forma di dissenso, anche il più pacifico ed innocuo. E’ il
dissenso in sé ad essere considerato criminale perché rallenta il
raggiungimento degli obiettivi della maggioranza. E il pensiero critico,
che è stato il mito della mia giovinezza, della nostra generazione,
appare ormai come elemento di disturbo. In vent’anni di berlusconismo,
la scuola è diventata una fabbrica per replicare il pensiero unico. Solo
un valore ottiene riconoscimento: l’obbedienza al conformismo vigente. E
questo vale in particolare per il giornalismo.
(Carlo Freccero, “No Tav e media”, estratti dell’intervento pronunciato il 18 febbraio 2014 al Circolo dei Lettori di Torino, ripreso dal sito No-Tav “Controsservatorio Valsusa”).
Nessun commento:
Posta un commento