Gli
oligarchi e i loro gendarmi fascisti hanno sequestrato l’Ucraina mentre
i ribelli islamisti del SIIS si riprendono le città in Iraq. Le nazioni
BRIC, guidate dall’ancora una volta il male Putin, si preparano alla
fine dell’impero finanziario anglo-statunitense. L’oligopolio di
banche/energia/armi/droga dei Rothschild/Rockefeller, che ha
schiavizzato l’umanità e decimato la Terra negli ultimi secoli, va a
pezzi.
L’arroganza e la stupidità dei sedicenti “illuminati” che operano
dalla loro matrice della City di Londra, è chiara a tutti. Tornando
alle truppe di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU) entrate in
Bahrayn per aiutare la petro-monarchia al-Qalifa nel reprimere le
proteste pro-democrazia; tale intervento, approvato dalle potenze
occidentali, rappresenta l’un ultimo tentativo di salvare il Gulf Cooperation Council
(GCC), a capo del modus operandi neocoloniale che guida il regime di
riciclaggio degli eurodollari di Londra, puntellando sterlina e dollaro.
Ma le teste dei monarchi possono ancora cadere.
I popoli delle nazioni
del GCC sono in fermento, in particolare in Arabia Saudita e Bahrayn.
Non a caso i i ribelli siriani finanziati dai Saud vengono inviati a
destabilizzare l’Iraq. Gli sceicchi traggono beneficio quando
nazionalisti come Assad vengono abbattuti dagli islamisti al soldo degli
oligarchi. Gli eventi in Ucraina e la rivolta del SIIS in Iraq sono
legati. L’oligarchia globale si basa su tali violenze.
L’islamismo è fascismo. Il fascismo è la religione delle élite, ovunque risiedano
Le sei nazioni del GCC: Arabia Saudita, Quwayt, Bahrayn, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Oman, siedono sul 42% del petrolio mondiale. Le monarchie unifamiliari che le controllano furono radunate dall’impero inglese e collaborano con Israele sottraendo il greggio dal popolo arabo. Non la Cina o il Giappone, ma esse sono i maggiori acquirenti di titoli del Tesoro USA. I loro interessi non sono nel popolo, ma nella City di Londra e Wall Street. L’élite reale dei sei Paesi del GCC ha fortemente investito nelle economie occidentali. L’alto volume della produzione di greggio fa fluire tali investimenti a Wall Street e City di Londra, consentendo alle élite del CCG di vivere in modo opulento.
Le sei nazioni del GCC: Arabia Saudita, Quwayt, Bahrayn, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Oman, siedono sul 42% del petrolio mondiale. Le monarchie unifamiliari che le controllano furono radunate dall’impero inglese e collaborano con Israele sottraendo il greggio dal popolo arabo. Non la Cina o il Giappone, ma esse sono i maggiori acquirenti di titoli del Tesoro USA. I loro interessi non sono nel popolo, ma nella City di Londra e Wall Street. L’élite reale dei sei Paesi del GCC ha fortemente investito nelle economie occidentali. L’alto volume della produzione di greggio fa fluire tali investimenti a Wall Street e City di Londra, consentendo alle élite del CCG di vivere in modo opulento.
Come il
ministro del petrolio saudita Hisham Nazir ha detto, “Siamo legati dai nostri reciproci interessi e sicurezza“.
Mentre la dipendenza occidentale dalle risorse del Terzo Mondo
aumentava, divenne sempre più necessario ai banchieri internazionali e
alle loro aziende includere le cricche elitarie locali nei programmi di
accumulazione del capitale, rendendo un piccolo gruppo di indigeni
estremamente ricco, in modo che collabori nello svendere risorse locali
all’occidente. Un esempio dell’uso delle élite locali come surrogati si
può vedere nel caso dell’uomo più ricco del mondo. Hassanal Bolkiah,
sultano del Brunei, una piccola enclave petrolifera sull’isola del
Borneo, dove Royal Dutch/Shell detiene il quasi monopolio petrolifero e
paga bene il sultano per continuare così.
Il sultano del Brunei possiede
oltre 60 miliardi di dollari e vive in un palazzo di 1778 stanze. Tale
élite locale, a sua volta, consegna le proprie ricchezze ai banchieri
occidentali per proteggerle da svalutazione e fallimenti bancari. Ma
essi derubano il proprio Paese dei capitali necessari, spesso
precipitandoli nella svalutazione e crisi debitoria. Gli Stati Uniti
stessi sono un Paese debitore, i cui debiti, in parte, appartengono alle
élites del Terzo Mondo che possiedono migliaia di miliardi depositati
presso le grandi banche statunitensi, mentre i loro connazionali vivono
in condizioni di estrema povertà. Le élite egiziane, per esempio,
detengono 60 miliardi di ollari di depositi in banche estere, mentre
l’egiziano medio guadagna 650 dollari all’anno. Nel caso del GCC, la
quantità di petrodollari riciclati che scorre negli investimenti
occidentali è davvero sconcertante.
I sauditi hanno più di 600 miliardi di dollari investiti all’estero. Citigroup possiede il 33% della Saudi American Bank controllata dalla Casa di Saud. Nel 1993 il principe saudita al-Walid bin Talal, proprietario della Saudi Commercial Bank, versò 590000000 di dollari alla Citibank. Bin Talal ora possiede il 17,34% di Citigroup, mentre il principe ereditario Abdullah possiede una quota del 5,4%, divenendo i due maggiori azionisti della banca. Bin Talal è anche il secondo maggiore azionista della Rupert Murdoch Newscorp, proprietaria di Fox News e Wall Street Journal. Le operazioni di acquisto saudite di Citigroup furono facilitate dal Gruppo Carlyle di Washington, che per il 20% è di proprietà della famiglia Mellon, che possedeva Gulf Oil e ora possiede una grande quota di Chevron Texaco. Carlyle è guidata dall’ex-segretario alla Difesa di Reagan e Bush, e presidente della NSC di Reagan, Frank Carlucci. George Bush Sr., James Baker III e l’ex-primo ministro inglese John Major erano consulenti e membri del consiglio della Carlyle. Bush Sr. fu Investment Advisor alla Carlyle per la famiglia bin Ladin fino al novembre 2001.
Nel 1995 il
principe bin Talal collaborò con il finanziere canadese Paul Reichmann,
il presidente di Loews Larry Tisch e il finanziere libanese Edmund J.
Safra, amico intimo del criminale di guerra Henry Kissinger, per
comprare il complesso Canary Wharf di Londra per 1,04 miliardi di dollari. Il monarca dell’UAE shayq Zayad gestisce l’Abu Dhabi Investment Authority. Gran parte del denaro è gestito da una finanziaria privata come Carlyle Group
e Donaldson, la Lufkin & Jenrette di proprietà per il 18% del
gruppo saudita Olayan. Olayan possiede anche grandi azioni di JP Morgan Chase e CS First Boston. Il direttore dell’Abu Dhabi Investment Authority è consigliere per l’Asia del Carlyle Group.
Il Bahrayn svolge un ruolo nel riciclaggio di petrodollari, essendo un
importante centro offshore bancario per gli sceicchi del CCG e i loro
partner mega-bancari internazionali.
Il Bahrayn è anche la base della
Quinta Flotta e di un gran numero di raffinerie che lavorano il greggio
saudita. Il Libano fu il primo centro bancario del Medio Oriente in
passato, ma con Beirut ridotta in macerie dai bombardamenti israeliani,
le banche se ne andarono nel porto franco di Dubai, negli Emirati Arabi
Uniti, ora primo mercato dell’oro del pianeta. Le banche d’investimento
sono in Quwayt. Ma è il Bahrayn ad ospitare i multi-miliardari mercati
fondiari dei derivati dai ricavi in petrodollari di GCC/Quattro
Cavalieri. La maggior parte delle banche in Bahrayn è di proprietà
straniera e tutte le mega-banche statunitensi vi svolgono operazioni.
Molte banche del Bahrayn sono di proprietà delle élite del GCC e sono un
importante canale per il riciclaggio dei petrodollari. La Burgan Bank
del Quwayt, per esempio, possiede una partecipazione del 28% di una
delle più grandi banche del Medio Oriente, la Banca del Bahrayn.
L’azienda più potente in Bahrayn è Investcorp, che ha grandi quote del New York Department Store of Puerto Rico, Saks Fifth Avenue, BAT, Tiffany, Gucci, Color Tile, Carvel Ice Cream, Dellwood Foods, Circle K e Chaumet. Investcorp è stata co-fondata nel 1983 dal rampollo della famiglia regnante del Bahrayn shayq Qalifa bin Sulman al-Qalifa, che possedeva anche una grossa fetta dell’infame BCCI. Un recente prospetto dell’Investcorp elenca il ministro delle Finanze del Bahrayn quale proprietario. Il presidente d’Investcorp è Abdul-Rahman al-Atiqi, ex-ministro del Petrolio e delle Finanze del Quwayt. Il suo vicepresidente è Ahmad Ali Qanu della ricca famiglia saudita Qanu, che avrebbe 1,5 miliardi di dollari. L’ex-ministro del petrolio saudita shayq Yamani fu uno dei soci fondatori d’Investcorp insieme a sette membri della famiglia reale saudita. Investcorp ha la sua sede di otto piani in Bahrayn, oltre a un ufficio a Park Avenue a New York e un ufficio a Mayfair a Londra. Partner dello sceicco al-Qalifa nel lancio d’Investcorp era Namir Qirdar, presidente della banca responsabile delle operazioni del Golfo Persico della Chase Manhattan. Numerosi dirigenti d’Investcorp sono ex-impiegati della Chase.
Molti acquisti d’Investcorp
si rivelarono dei flop e c’è un lato oscuro della banca. L’esecutivo
della gioielleria francese Chaumet, Charles Lefevre, ha detto che Investcorp evitò d’informare gli azionisti di Chaumet
mentre tentava di venderne le azioni a un prezzo superiore presso altri
investitori del Golfo Persico. Un’altra denuncia sosteneva che
Investcorp tentasse di saccheggiare la Saudi European Bank di Parigi. Il membro del consiglio d’Investcorp Abdullah Taha Baqsh, un miliardario saudita, ha investito pesantemente nell’Harken Energy
di George W. Bush. Così fece anche lo sceicco del Bahrayn al-Qalifa.
Bush e il co-proprietario Dick Cheney trasformarono la loro Arbusto Energy nell’Harken quando l’amico di Bush James Bath gli offrì 50000 dollari per l’avvio.
La Skyway Aircrafts
di Bath era sotto inchiesta della DEA per aver aiutato gli sceicchi del
GCC ad inviare banconote da 100 dollari nelle Isole Cayman. Bath spesso
prendeva in prestito denaro dagli sceicchi sauditi Qalid bin Mahfuz,
primo azionista della BCCI, e Muhammad bin Ladin, che probabilmente gli
diedero i 50000 dollari per lanciare ciò che divenne Harken Energy. Bin Mahfuz e bin Ladin aiutarono l’Harken
a firmare un accordo esclusivo per la trivellazione petrolifera in
mare, poco prima della Guerra del Golfo. Nel gennaio 1990 il presidente
Bush Sr. aveva approvato lo status commerciale preferenziale del regime
iracheno. Quello stesso mese Harken Energy s’aggiudicò la più grande
concessione petrolifera in mare aperto nel Golfo Persico, al largo del
Bahrayn. Altri investitori importanti della Harken furono i fratelli Bass di Ft. Worth, la famiglia sudafricana Rupert, l’Endowment Fund Harvard e il luogotenente dei Rothschild George Soros.
Nel 1989 il governo del Bahrayn interruppe bruscamente i colloqui con l’Amoco sulla stessa concessione petrolifera, dopo che l’emiro al-Qalifa decise di concederla alla Harken Energy su richiesta del capo per le operazioni in Medio Oriente di Mobil Michael Ameen. Il finanziamento del progetto fu organizzato dall’amico di Bush Jr. Jackson Stephens, proprietario della Worthen Bank
in Arkansas, determinante nel portare la BCCI negli Stati Uniti e che
donò 100000 dollari a Bush Sr. per la campagna presidenziale del 1988.
L’avvocato Allen Quasha di New York e suo padre William Quasha di
Manila, favorirono l’accordo della Harken con il Bahrayn. Nel 1961 Bill
Quasha aiutò George Bush Sr. a garantirsi i diritti di perforazione del
primo pozzo petrolifero in Kuwait con la Zapata Offshore Oil Company. Più tardi Quasha fu consulente legale nelle Filippine della lavanderia della CIA Nugan Hand Bank. Suo figlio Allen era il maggiore azionista della Harken.
Quasha aveva il 21% di una società svizzera controllata dalla famiglia
sudafricana Rupert, principale sostenitrice dell’ex-regime
dell’apartheid del Paese.
Appena un mese prima che l’Iraq invadesse il Quwayt, George W. Bush vendette il 66% della sua partecipazione alla Harken Energy con un profitto del 200%. Mentre analisti come Charlie Andrews della 13D Research emettevano raccomandazioni contro gli “acquisti” dalla Harken, il 22 giugno 1990 Bush incassava 840mila dollari dalle azioni Harken, dicendo che “ho venduto per la buona novella“. Bush sapeva che Harken aveva violato i termini dei prestiti ed era ormai alle corde finanziariamente. Cinque settimane dopo Harken subì una perdita di 23 milioni di dollari e il suo prezzo azionario crollò. Bush segnalò la sua tempestiva vendita delle azioni Harken Energy solo nel marzo 1991. Ciò era illegale, ma Bush sostenne che la SEC smarrì i moduli e non fu mai perseguito.
Nel 1993 Bush si dimise dal
consiglio di amministrazione della Harken. Con il pesante sostegno finanziario della Enron, divenne governatore del Texas. Bush fu difeso nella causa per la truffa Harken
dall’avvocato di Baker Botts Robert Jordan, pagato nel 2000 con la
nomina ad ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita. Il capo
della SEC, clemente durante la debacle Harken, era Richard
Breeden, uno dei maggiori sostenitori politici di Bush Sr. Al consiglio
della SEC vi era James Doty, altro sostenitore di Bush che aiutò George
W. ad acquistare la squadra di baseball dei Texas Rangers. Quando la Harken di George W. Bush si fuse con Spectrum 7 Energy, fu aiutato dall’insider d’Investcorp Abdullah Taha Baqsh, che acquistò il 17,6% della Harken
tramite una holding nelle Antille olandesi.
Alcuni dicono che Baqsh
fosse un uomo dello sceicco Qalid bin Mahfuz. Baqsh fu un importante
investitore d’Investcorp in Bahrayn, avviata da ex-dirigenti della Chase Manhattan.
Nel 1988 saccheggiò una banca araba di Londra. Baqsh fu anche accusato
di saccheggio della Banca Saudita di Parigi, quando crollò nel 1988,
poco prima del sorprendentemente simile crollo della BCCI. Baqsh è
azionista della First Group Commercial Financial, una società
di trading futures in materie prime di Chicago, sanzionata dalle
autorità di regolamentazione degli Stati Uniti per check-kiting e frode. Poco prima della guerra del Golfo, Investcorp vendette il 25,8% delle azioni ad una società irachena, nonostante una legge del Bahrayn vietasse tali operazioni.
Sauditi e kuwaitiani sono leader negli investimenti del GCC all’estero. La Kuwaiti Investment Authority ha oltre 250 miliardi di dollari investiti all’estero ed è il primo investitore straniero in Giappone e Spagna. Citigroup e JP Morgan Chase gestiscono gli investimenti del Quwayt negli Stati Uniti, dove il clan al-Sabah possiede azioni in ciascuna delle 70 maggiori aziende quotate alla New York Stock Exchange. Le loro aziende statunitensi sono, per il 100% l’Occidental Geothermal, per il 29,8% le Great Western Resources, per il 100% l’Atlanta Hilton Hotel, per il 45% il Phoenician Hotel e per l’11% l’Hogg Robinson. In Germania possiede il 14% di Daimler-Chrysler, il 25% della Hoechst (erede della nazista IG Farben e seconda maggiore azienda farmaceutica del mondo), il 20% di Metallgesellschaft e parte del rivenditore tedesco Asko.
In Italia possiede il 6,7% di Afil, l’holding della famiglia Agnelli
che possiede FIAT e diverse altre iniziative. Nel Regno Unito possiede St. Martin’s Properties e il 5,4% di Sime Darby. In Malesia la sua società K-10 possiede la più grande testata, New Straits Times Press. Nella vicina Singapore, i kuwaitiani possiedono il 10,6% di Singapore Petroleum, il 37% di Dao Heng Holdings e il 49% della società d’intermediazione mobiliare JM Sassoon. La Kuwait Oil Company (KOC) fu tecnicamente nazionalizzata nei primi anni ’80, ma resta vicina ai suoi creatori Chevron Texaco e BP Amoco,
vendendo a questi due cavalieri petrolio scontato. KOC ha reso ricchi
gli emiri al-Sabah e la famiglia al-Ghanim, agente della società per
decenni.
Nel 1966 KOC comprò una controllata danese e divenne la prima
compagnia petrolifera mediorientale a vendere benzina al dettaglio in
Europa. La KOC fu la società della GCC più aggressiva negli investimenti
all’estero. Nel 1982 acquistò centinaia di stazioni di servizio Q8 in
tutta Europa. Nel 1987 possedeva più di 5000 rivenditori di benzina in
Europa e Asia meridionale. Proprio la scorsa settimana KOC s’è
aggiudicata un contratto per costruire le raffinerie di petrolio in
Corea del Sud. I kuwaitiani hanno anche comprato in uno dei Quattro
Cavalieri, la BP Amoco, di cui nel 1988 possedevano una quota
del 22%. Poi ridussero la quota al 9,85%, ma sempre una quota di
controllo. Acquistarono le operazioni di raffinazione a Napoli, Italia,
della Mobil, possiedono quasi il 4% di ARCO (ora di BP Amoco) e il 2,39% di Phillips Petroleum (ora fusasi con Conoco). In Spagna i kuwaitiani dirigono l’azienda chimica Torras Hostench e in Giappone l’Arabian Oil.
Gli investimenti del GCC in banche e multinazionali occidentali totalizzano migliaia di miliardi. La maggior parte viene investita in titoli di Stato a lungo termine statunitensi e giapponesi. Gli sceicchi del GCC sono cruciali per mantenere l’intero castello di carte dell’economia globale. I loro acquisti sono garantiti dal debito degli Stati Uniti, in gran parte maturato con la spesa per la difesa del Golfo Persico, mantenendo un dollaro forte e impedendo che l’architettura finanziaria internazionale deperisca. Gli emiri e i loro amici elitari finanziano le operazioni segrete della CIA, mentre riequilibrano i loro surplus commerciali con l’occidente attraverso l’acquisto di armi degli Stati Uniti, per proteggere i propri feudi petroliferi. Gli eventi in Ucraina e Medio Oriente dimostrano la posizione disperata dell’oligopolio energetico Rockefeller/Rothschild. Putin ha appena iniziato a giocare potenti carte. Le marionette del GCC sono assediate. La fine dello standard petrolifero può essere scongiurata solo con un guerra permanente. Giorni curiosi.
Dean Henderson
Dean Henderson è autore di Big
Oil & Their Bankers in the Persian Gulf: Four Horsemen, Eight
Families & Their Global Intelligence, Narcotics & Terror
Network, The Grateful Unrich: Revolution in 50 Countries, Das Kartell
der Federal Reserve, Stickin’ it to the Matrix & The Federal Reserve
Cartel. Il suo sito è Left Hook.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/20/la-fine-dellegemonia-anglo-statunitense/
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