Credo che l’informazione sia finita. Non il nostro mestiere, ma
l’informazione. L’informazione è finita per eccesso di informazione. È
quello che ti insegnano al primo anno di economia:
il primo cucchiaio di minestra ti salva la vita, il secondo ti nutre,
il terzo di fa piacere, ma, alla lunga, il decimo ti uccide. Noi siamo
attraversati di continuo da messaggi, non solo di tipo informativo, ma
anche pubblicitari, per cui non riusciamo più a ritenere nulla di quel
che leggiamo. Qualche anno fa lessi un articolo americano che spiegava
come i giovani cresciuti in era pre-televisiva avessero una quantità di
informazioni molto superiore ai loro coetanei nati dopo. Non parlo di
qualità, ma di quantità. È un processo naturale, oserei dire di difesa.
Come non puoi emozionarti di tutto, così non puoi ritenere tutto. Non
credo che sia una morte definitiva, perché non c’è mai nulla di
definitivo, però per gli anni a venire sono molto pessimista, non per
difetto, ripeto, ma per eccesso.
I veri cambiamenti avvengono soltanto quando ci si ritrova in condizioni di crisi veramente profonda. Se ci fosse una crisi economica veramente forte, e adesso
non ci siamo ancora, allora forse le persone si sveglierebbero e non
farebbero come adesso, che tirano a campare. E questo vale per tutto,
non soltanto per l’informazione. L’informazione è un campo strano: se
leggi soltanto quella mainstream sai che al 90 per cento è taroccata, se
invece cerchi in rete ti ritrovi con una massa talmente vasta di
informazioni che non sai più nemmeno come gestirla. Qual è l’errore
peggiore che può fare un giornalista? Non scrivere quello che vede e non
dire quello che pensa, senza dimenticare mai che quello che pensa non è
la verità assoluta, visto che non c’è nessuna verità. La cosa peggiore
che può fare un giornalista è non essere onesto. Io l’ho sempre detto:
se in un’inchiesta dovessi scoprire che mia madre è una puttana,
scriverei che mia madre è una puttana. Questo deve fare il giornalista.
Naturalmente non c’è una verità oggettiva, non esiste, ma questo è un
tema più profondo, qui sfociamo nella metafisica. C’è un bellissimo
film degli anni Cinquanta di Akira Kurosawa che si chiama Rashomon.
Kurosawa ti fa vedere la scena di un samurai e di sua moglie che vengono
aggrediti in un bosco. Lei viene stuprata e lui ucciso. Poi c’è il
processo, e al processo ognuno racconta la sua verità. E Kurosawa ti fa
vedere ogni volta la stessa scena, senza cambiare una virgola, ma ogni
volta la verità è diversa. L’onestà intellettuale è un atteggiamento
mentale che dovrebbe rappresentare la normalità. Significa trattare
nello stesso modo chi ti sta simpatico e chi ti sta antipatico. Una cosa
se secondo te è sbagliata, o giusta, lo devi riconoscere indipendentemente
da chi la fa. Questo vuol dire essere coerente e onesto
intellettualmente, se no fai l’agitatore, che è un altro mestiere.
Il grande corruttore in questo senso è stato Eugenio Scalfari, il
quale incominciò a dire una cosa per poi dire il suo contrario sei mesi
dopo, finché arrivò all’apice assoluto e, in un articolo su Bettino
Craxi, scrisse una seconda parte in cui riusciva a smentire ciò che lui
stesso aveva detto nella prima. Un tempo questo non sarebbe stato
possibile, perché come diceva Giorgio Bocca esisteva una “società degli
eccellenti”. È un concetto da prendere con le molle, ma insomma, certe
cose non le potevi fare, se no eri squalificato. Poi è saltato tutto, e
infatti lo vediamo nel giornalismo di oggi, ma anche nella politica.
«Stai sereno», dice Renzi a Letta, e dopo due giorni gli ha preso il
posto. Ecco, almeno per queste cose, un tempo l’Italia era diversa,
c’erano delle regole, anche non scritte, ma certe cose non le potevi
fare. E non solo nel giornalismo, anche nella vita quotidiana. Era
un’Italia, quella dei Cinquanta e Sessanta, in cui l’onestà era un
valore per tutti: per la borghesia, se non altro perché dava credito,
per il mondo contadino, in cui se venivi meno alla parola data o a una
stretta di mano venivi escluso dalla comunità, e anche per le classi
medie e il proletariato.
Quale è stato il punto di rottura? Il boom economico, l’idolatria del
quattrino. L’idolatria del quattrino ha cambiato gli italiani
radicalmente: ora ci si vende per niente. Lo vediamo tutti i giorni, i
recenti scandali che abbiamo visto ne sono la prova. Il dio quattrino è
diventato l’unico idolo condiviso di questo paese. Questa è la verità.
Il giornalismo e gli intellettuali – uh, che brutta parola – hanno delle
responsabilità gravissime, forse maggiori della stessa classe politica.
Gli intellettuali hanno tradito il loro compito, il loro mestiere. E
qual è il mestiere dell’intellettuale o del giornalista è, per usare una
vecchia formula un po’ usurata, quella del cane da guardia del potere,
il controllore. Un ruolo che in alcune parti del mondo ancora esiste,
penso agli Stati Uniti, paese che detesto per molti motivi, ma a cui
bisogna dare questo merito: la stampa, o almeno, delle parti della
stampa sembrano ancora avere l’indipendenza minima, quella che ti
permette quando parli dell’Afghanistan, per esempio, di criticare l’operato del tuo governo e del tuo esercito.
In Italia la stampa ha smesso da molto tempo di fare il suo mestiere,
è totalmente versipelle, ma ci sono esempi di tutti i tipi. Giuliano
Ferrara direi che ne è l’emblema, perché è una persona intelligente,
anche se in questo caso l’intelligenza mi sembra una aggravante più che
un’attenuante. In ogni caso, è questo mondo quello di cui parlo: i
Ferrara, i Della Loggia, i Panebianco, i Battista e via dicendo, sono
loro che hanno squalificato il lavoro del giornalista. Ma ci sono anche
esempi positivi, penso ai Rizzo, agli Stella, che hanno fatto parecchia
gavetta e che sono degli ottimi giornalisti. Il problema è che restano
in uno stato di perenne gavetta, non avranno mai il peso che può avere
un editorialista del “Corriere della Sera”, che poi non si sa nemmeno
più perché debbano essere loro gli editorialisti del “Corriere”.
Qual è il prezzo che un giornalista paga per difendere la propria
onestà intellettuale? Come paga? Be’, con la marginalizzazione,
l’estromissione, l’annullamento. Del resto, non si può fare la
rivoluzione con la mutua, come pretendevano quelli del ‘68. Se ti metti
contro devi essere disposto a pagarne il prezzo, e il prezzo è quello.
Una nuova generazione di giornalisti potrà cambiare le cose? È molto
difficile. Prima di tutto perché è difficilissimo entrare. Una volta
assumevi il figlio del collega o il nipote di un politico, ma insieme
assumevi anche uno bravo. Adesso quelli bravi fanno molta più fatica.
Forse il web sarà utile in questo senso, per creare qualcosa di nuovo e
indipendente, anche se la rete ha tutta una serie di problemi che non
rendono affatto facile emergere. Con l’abbondanza che può offrire il web farsi notare è sempre più un’impresa eccezionale.
Ci sono tantissimi finti anticonformisti in Italia, ci sono sempre
stati, e se ne stanno benissimo incistati in quello che si chiama
pensiero unico, che non sanno nemmeno bene che cos’è. È il pensiero
uscito dalla rivoluzione industriale, che si basa su una distinzione
netta tra destra e sinistra, che sono in realtà due facce della stessa
medaglia. Questo quando sono onesti intellettualmente. Quando sono
disonesti sembrano anche la stessa faccia, perché fondamentalmente si
conformano al potente del momento. È normale, è quello di cui parlava
Flaiano quando diceva “salire sul carro del vincitore”. Adesso c’è
Renzi, prima c’era Berlusconi,
poi chi sa chi ci sarà. Una volta i giornali davano spazio anche a
personaggi eterodossi. Certo li usavano come foglia di fico, ma almeno
li facevano scrivere. Pensa all’esempio di Pasolini, che ha scritto cose
micidiali sulle pagine del “Corriere della Sera”, opinioni eterodosse
che oggi non hanno più spazio. Questo tipo di intellettuale è esistito
in Italia per molto tempo. Mi vien da pensare anche a una parte della
carriera di Bocca, o di Montanelli. Adesso però io non riesco a vedere
personaggi di questo genere, di questa statura intellettuale. Insomma, o
fai parte della compagnia del giro, quella dei Fazio, dei Saviano, dei
Gramellini, o non avrai spazio. Per avere spazio devi essere cooptato da
qualcuno.
Massimo Fini
(Massimo Fini, dichiarazioni rilasciate ad Andrea Coccia per
l’intervista “I giornalisti? Sono più disonesti dei politici”,
pubblicata da “Linkiesta” il 15 giugno 2014).
fonte: http://www.libreidee.org/2014/06/fini-media-cialtroni-smascherati-solo-se-la-crisi-precipita/
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