lunedì 23 giugno 2014

QUANDO LA CITTADINANZA EUROPEA DIVENTA MERCANZIA

Condizionare l’ottenimento di un titolo di soggiorno allo spessore del borsellino e all’importanza del patrimonio è un’idea che fa furore in Europa. Da Riga ad Amsterdam, passando per Lisbona e La Valletta, le capitali europee monetizzano i permessi di soggiorno sul loro territorio: da 75 mila a 2 milioni di euro per installarsi con tranquillità in Europa o acquisire la nazionalità tanto bramata. Inchiesta sul business dei “visti gold” riservati ai migranti più facoltosi.

Mentre l’Unione Europea chiude le sue porte a migliaia di migranti che naufragano sulle coste siciliane, alcuni dei candidati desiderosi di stabilirsi hanno trovato un comitato d'accoglienza. Non c’è più bisogno di conoscere la lingua del paese di accoglienza, di fare prova di un particolare interesse per la sua storia e la sua cultura… basta avere il portafoglio pieno ed essere pronti ad alleggerirsi di qualche decina di milioni di euro a beneficio di un’azienda o di uno Stato.



La Lettonia è stato uno dei primi paesi a vedere una fonte di guadagno potenziale nell’appartenenza all’Unione Europea. Dal 2010, questo piccolo paese sulle rive del mar Baltico è diventato uno dei porti d’accesso all’Eldorado europeo. Nella capitale Riga, lontano dalle spiagge di Lampedusa e dei suoi “boat-people”, i candidati al permesso di soggiorno sbarcano invece negli uffici lettoni dell’immigrazione con il proprio agente immobiliare e l’interprete. La maggior parte sono russi e cinesi. La conditio sine qua non per ottenere un permesso di soggiorno è possedere un bene immobile sul suolo lettone – d’un valore minimo di 150 mila euro nella capitale, della metà di tale cifra in provincia.
Alcuni, meno numerosi, hanno scelto una delle altre opzioni offerte: investire in un’azienda nazionale o piazzare 300 mila euro in una banca lettone. In cambio, un permesso di soggiorno di 5 anni che, in seguito, può diventare definitivo.

Immigrati, sì, ma facoltosi
Per il governo questa manna finanziaria deve aiutare a risanare l’economia nazionale, ma anche a sostenere la demografia. In dieci anni, il paese ha perso più del 10% della sua popolazione, in parte a causa di un saldo migratorio negativo. Tra il 2010 e il 2011, data d’inizio d’entrata in funzione del dispositivo, il numero di permessi di soggiorno è raddoppiato. Il primo anno, sono stati consegnati[1] 1700 certificati di residenza rispondenti ai criteri d’investimento economico. Abbastanza per rilanciare gradualmente l’immigrazione – facoltosa – verso questo paese. Per il poco che la gente ci resta! Agli arrivanti non è imposta nessuna condizione di residenza sul territorio nazionale: in quanto residenti di un paese dell’Unione Europea e dell’area Schengen, sono liberi di spostarsi in Europa[2]. In base a certi criteri, possono anche ottenere un diritto di soggiorno in un altro Stato membro. Basta provare che possiedano le risorse necessarie e un’assicurazione sanitaria, spiega Cecilia Malmström, commissario europeo per gli Affari Interni.

La Lettonia non è il solo paese in Europa a proporre i nuovi visti. Quanti altri praticano questo scambio nell’Unione? Due? Cinque? Una quindicina! Ungheria, Portogallo, Malta, Paesi-Bassi…da nord a sud, dai più toccati dalla crisi ai più risparmiati. La maggior parte hanno iniziato tale pratica tra il 2010 e il 2014, certi vedendoci un mezzo per attirare nuovi capitali, altri per ridinamizzare un mercato immobiliare duramente colpito dalla crisi, come la Spagna. Le condizioni iniziali variano da un paese all’altro: investimenti finanziari nell’industria, aiuto al riscatto del debito pubblico, acquisizione di un bene immobile…Si tratta soltanto di essere ricchi.

Accogliere i ricchi e i truffatori
La differenza sta negli importi imposti e nel monitoraggio dei nuovi residenti. Nei Paesi-Bassi, dove il sistema esiste da ottobre 2013, la soglia imposta è tra le più elevate 1,25 milioni di euro piazzati nell’economia locale per ottenere un visto definitivo. Quasi allo stesso livello della Spagna che, da settembre 2013, chiede due milioni di euro di riscatto del debito pubblico. Per i “più modesti”, la penisola iberica concede anche permessi di soggiorno per un investimento immobiliare di 500 mila euro. Dal canto suo, Cipro propone dal 2012 dei permessi di soggiorno per l’acquisto di un bene per 300 mila euro, ma esige che i candidati abbiano la fedina penale immacolata, per prevenire le cattive sorprese.

Dall’Irlanda a Malta: come ci si compra il diritto di vivere in Europa?
  

Verificare chi sono i nuovi arrivanti è una condizione che forse il Portogallo avrebbe dovuto applicare quando ha lanciato il suo dispositivo nel 2012. In questo paese colpito dalla crisi, con l’avallo della Troika (Commissione europea, BCE e FMI), il governo portoghese di Pedro Passos Coelho (centro-destra) decide di creare a sua volta un “permesso di soggiorno per attività d’investimento”. Permessi soprannominati nel paese “vistos durados”, visti dorati. I candidati possono scegliere tra un acquisto immobiliare di almeno 500 mila euro, il trasferimento di minimo un milione di euro, o la creazione di 10 impieghi. Dalla sua applicazione, secondo le stime ufficiali il Portogallo avrebbe rilasciato 772 permessi di soggiorno, di cui 612 a cinesi. Tra questi Xiadong Wang, sistematosi dal 2013 a Cascais, sontuosa città alle porte di Lisbona.

Nel marzo 2014, il cittadino cinese viene arrestato dalle autorità portoghesi. Come rivelato da un giornale locale, Diario de Noticias, l’uomo è ricercato in Cina per frode fiscale. Su di lui pende una pena di 10 anni di prigione. Il suo paese d’origine non l’aveva segnalato. L’elemento scatenante è stato l’inserimento del suo nome della banca dati dell’Interpol, lo scorso gennaio. Per le autorità portoghesi, il suo arresto è la prova che il governo e la polizia di frontiera hanno fatto il loro lavoro. Ma sul sito internet di Diario de Noticias, numerosi internauti insorgono. “Questo governo è incompetente. Svendono il paese, ne fanno una discarica a cielo aperto dove i [truffatori] vengono a lavare il denaro sporco”, si legge. Poco dopo, un’altra persona non esita a dire “questo governo [e il suo dispositivo] sono la vergogna dei portoghesi.” La faccenda è stato uno shock, rilanciando la domanda delle ragioni di questo ricchi migranti.

Far traghettare i ricchi: un affare redditizio
Alcune aziende si sono specializzate nell’accompagnamento dei migranti facoltosi. Un esempio è la società Henley & Partners, come descrive LeFigaro in un articolo. Con base a Jersey, un paradiso fiscale, tale società rappresenterebbe il leader mondiale nel settore. Sul suo sito internet, sono elencate le destinazioni. L’Europa è largamente rappresentata: Austria, Belgio, Croazia, Cipro, e ancora la Svizzera e il Regno Unito… Per ciascun paese, un programma dettagliato di tappe e condizioni da rispettare. Un autentico manuale d’istruzioni al quale si aggiungono le attrattive proprie ad ogni regione. Natura verdeggiante e calorosa qui, vantaggi fiscali per i residenti là, e le nicchie di cui si può beneficiare.

 La società non lascia nulla al caso affinché ognuno trovi il suo paradiso. E per agevolare l’arrivo dei nuovi migranti. Perché perdere tempo con le lunghe e complesse procedure di richiesta dei visti quando un permesso di residenza permette di circolare facilmente in tutta l’Unione? In più, la maggior parte di questi paesi tassa poco o per nulla i residenti in possesso di un permesso di soggiorno a lungo periodo. Per gli stranieri dai migliori portafogli, la ditta propone una soluzione ancor più interessante: regalarsi una nazionalità europea. Sul sito ci sono tre destinazioni: l’Austria, Cipro e Malta. Dal 2013, il governo del più piccolo stato dell’Unione Europea, Malta, ha deciso di “vendere” la cittadinanza del suo paese. Ha affidato l’esclusività della gestione delle pratiche alla società Henley & Partners, in cambio di una commissione di 7500 euro per candidatura.

Una cittadinanza europea da vendere ai migliori offerenti
650 mila euro. È il prezzo fissato lo scorso autunno dal parlamento maltese. Nessuna condizione di residenza sull’isola, basta questo semplice apporto finanziario. Il primo ministro, Joseph Muscat, vede in ciò un modo di attirare nuovi capitali nel paese. Secondo le stime avanzate dal governo, la misura potrebbe interessare dai 200 ai 300 candidati l’anno. Ossia un minimo di 130 milioni di euro di introiti annui per il paese. Ma secondo un sondaggio realizzato dal quotidiano locale Malta Today, la maggior parte della popolazione sarebbe contraria al dispositivo. Un parere condiviso da Bruxelles. La decisione ha provocato un vero terremoto all’interno del Parlamento europeo, sollevando alcune critiche rispetto alla mercificazione della cittadinanza europea.

Nelle istanze dell’Unione, alcuni eurodeputati e membri delle commissioni europee hanno immediatamente manifestato la loro ostilità verso la nuova normativa maltese. Tra questi, Vivianne Reding, commissario incaricato della Giustizia. “La cittadinanza non è in vendita”, ha dichiarato a Strasburgo nel mese di gennaio. Subito dopo, il Parlamento europeo adotta una risoluzione[3], stimando  
“che un tale regime di vendita pura e semplice della cittadinanza europea compromette la fiducia reciproca su cui poggia l’Unione”. 

Da allora Malta ha accettato di tornare sul dispositivo, in parte: è oramai obbligatorio risiedere sull’isola la maggior parte dell’anno e dimostrare un legame reale con Malta. È inoltre necessario un investimento di 1,15 milioni di euro, di cui 500 mila in acquisti immobiliari, a cui si aggiunge un importo di 25 mila euro per il coniuge o per il figlio minorenne, e 50 mila euro per il figlio dai 18 ai 26 anni. Concessioni che il governo maltese ha accettato nonostante nulla lo obbligasse a farlo. Nell’Unione Europea, la nazionalità di un paese membro permette di accedere automaticamente alla nazionalità europea[4], ma le condizioni di rilascio fanno parte di prerogative proprie ad ogni Stato. Ciascuno dei 28 governi decide quindi della propria legislazione e delle sue condizioni.

Un accordo comune per l’Europa?
Mentre l’immigrazione clandestina è al cuore dei dibattiti per le elezioni europee, i candidati ignorano completamente la mercificazione dei permessi di soggiorno. Clarisse Heusquin, candidata per Europe Écologie-Les Verts nella regione Centro-Massiccio Centrale (Francia), ammette di scoprire il dispositivo: “Sono rimasta scioccata, mortificata venendone a conoscenza. Si sta costruendo un’Europa a due velocità. Da un lato, si chiudono le frontiere e dall’altro si accolgono i capitali. Questa Europa-fortezza è indegna”. Secondo lei la soluzione passa da un’Europa federale e politiche armonizzate in materia d’immigrazione.

Dal canto suo, Perre Henry, direttore generale dell’ONG France Terre d’Asile si rammarica che il dibattito sulle questioni migratorie non sia affrontato nel suo insieme.  
“Tra quelli che si augurano di uscire da Schengen, quelli che vogliono punire gli Stati che non rispettano alcune regole, quelli che pensano che la nomina di un commissario europeo per l’immigrazione risolverebbe il problema e quelli che si accontentano di criticare senza proporre…In realtà, non c’è un vero dibattito sulla questione migratoria”
La vendita della nazionalità è tenuta a debita distanza dalla piazza pubblica, ma si popolarizza tra i governi.

La Lituania affina il progetto e dovrebbe essere il prossimo paese a porre le sue condizioni. Il prezzo: 260 mila euro versati a un’azienda lituana e la creazione di cinque posti di lavoro. Il governo non attende altro che il via del parlamento.

 E in Francia? L’Esagono non propone le stesse condizioni agevolate dei suoi vicini. Tuttavia, in un documento[5] della Commissione europea, si precisa che in Francia si possono attribuire dei permessi di residenza per “contributi economici eccezionali” ad azionisti (almeno il 30% del capitale) di grandi società. Le condizioni: creare 50 posti di lavoro sul territorio nazionale o investire almeno 10 milioni di euro. Per ora non è prevista l’applicazione di clausole più vantaggiose o più severe per i ricchi investitori. Nulla di sorprendente secondo Pierre Henry. “Oggi, in Francia, il governo cerca ad ogni costo di evitare il dibattito sull’immigrazione, come per paura del populismo. Ciò non risolve niente e non è in questo modo che si arrestano le polemiche”. Quelle e quelli che non dispongono dei visti “business class” ne pagano caro il prezzo: in 14 anni, 23 mila migranti sono morti alle porte dell’Europa[6].

Morgane Thimel

NOTE
[1] Secondo le stime dell’OCSE
[2] Secondo l’articolo 21 della convenzione di applicazione degli accordi di Schengen relativo alla circolazione degli stranieri in possesso di un titolo di soggiorno
[3] Risoluzione del Parlamento europeo sulla cittadinanza dell’Unione europea in vendita
[4] Articolo 9 del Trattato sull’Unione Europea
[5] Studio della Commissione europea degli affari interni sui visti d’investimento
[6] Vedi The Migrants Files


Fonte: www.bastamag.net
Link: http://www.bastamag.net/La-citoyennete-europeenne-sera-t

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA BONGIORNO
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13537

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