C’è un dato oggettivo e inoppugnabile che oggi ci consegna una
verità/realtà dai risvolti inquietanti, ma ancora invisibile alla gran
parte della gente. Questo perché, gli individui delle società
occidentali, sono avulsi da quella necessaria consapevolezza che di
fatto li esonera da ogni capacità di critica e di sapere interpretare il
presente quando, in animo loro, sperano ancora che qualcosa cambi e che
le difficoltà del momento vengano superate.
Ma di questi tempi, la speranza è il peggiore investimento che si possa
fare, se parallelamente non è affiancata da quell’azione di forza e di
slancio rivoluzionario di riconversione che restano in assoluto le sole
condizioni in grado di contrastare, almeno in parte, gli effetti
apocalittici del tracollo dell’Impero liberista.
E sto parlando del “Lavoro”, di qualsiasi lavoro che dipenda da terzi e
per il quale sacrifichiamo la gran parte della nostra vita ogni santo
giorno, e i cui costi materiali, morali e umani, hanno superato di gran
lunga i guadagni e i presunti vantaggi. Un dato che sancisce la disfatta
e la fine del capitalismo e quindi di un’epoca con tutti i suoi effetti
diretti e collaterali sull’umanità e l’ambiente.
IL LAVORO dunque, NON PAGA PIU’! NON E’ PIU’ CONVENIENTE! – sotto ogni
punto di vista, che sia la salute, il benessere, il futuro o la
felicità. Meglio restarsene in casa ad intagliare un pezzo di legno al
caldo di un camino, mentre fuori la pioggia disseta il nostro orto e
alimenta il pozzo. Finalmente con i nostri figli per restituire loro il
tempo dell’amore e dell’attenzione – l’imprinting che modellerà il loro
carattere e deciderà le loro scelte future.
E poi basterebbe fare i “conti della serva” per capire che, di questi
tempi, qualsiasi tipo lavoro, é quanto di più stupido, improduttivo e
dispendioso ci possa essere. Sarebbe molto più corretto definire un tale
stato di cose, “una schiavitù a piede libero” dove quei pochi spiccioli
rimasti al netto delle spese e dei sacrifici, li avremmo
tranquillamente guadagnati in una condizione di totale autonomia e
serenità fra le quattro mura di una onorevole casetta di campagna,
liberati da ogni effimero consumo e dipendenza.
UN UOMO CHE NON PUÒ DISPORRE E DECIDERE DEL SUO TEMPO, E’ UN UOMO MORTO!
Ma se non si è in grado di rinunciare a ciò che in realtà non serve,
omologati all’interno di un Sistema che alimentiamo quotidianamente in
virtù di necessità virtuali indotte dalla propaganda liberista, ogni
nostra parola, indignazione e protesta, vanificano ogni buona
intenzione.
Se non la smettiamo di ricaricare cellulari, di inoltrare vitalizi alle
Pay TV, di rincorrere la tecnologia, di comprare playstation ai nostri
mocciosi (rincoglioniti in erba), riempiendo la loro vita di minchiate
varie (futuri rifiuti da discarica), ci siamo resi responsabili di quel
tracollo morale, etico e umano che farà carta straccia del loro futuro.
Gli individui ben differenziati delle società contadine, proprio in
virtù della loro autonomia, disponevano di quel tempo libero
(indispensabile e necessario), che dava un senso alla loro esistenza ed
era motivo di socializzazione, tradizione, fantasia, pura introspezione e
svago. La variabilità del tempo, li costringeva per lunghi periodi, ad
abbandonare la fatica dei campi, potendo così concedersi lunghe pause di
rigenerante riposo, e in occupazioni manuali/artigianali, fonte di
creatività, ispirazione e consapevolezza. Oggi con la moderna cultura
liberista, ogni più remoto barlume di dignità, di felicità e di buon
senso è stato per sempre cancellato. Che valore e senso abbiamo dato al
nostro vivere e con quale animo affronteremo in seguito la morte?
Un uomo, costretto a lavorare otto ore ogni giorno (che piova o tiri
vento), per quarant’anni della sua vita dentro una fabbrica malsana,
caotica e assordante, per miserabili 1000 euro al mese, non solo è un
irresponsabile ma (senza il dubbio di essere smentito), uno psicopatico.
Questo, vale anche per le otto ore svendute di fronte ad un computer, o
alla guida di un Tir, o alla cassa di un supermercato.
Questa non è la vita o l’estrema condizione di sopravvivenza, ma stato
vegetativo. Il tempo, e la qualità della nostra esistenza, sono i beni
più preziosi che abbiamo, e li dobbiamo custodire gelosamente, e nessuno
ce li può sottrarre; tanto meno ad un prezzo così alto.
Che valore e senso avremo dato al nostro vivere e con quale animo affronteremo la morte?
Quel processo di semplificazione, che ha traghettato l’uomo da un
passato industrioso a un presente industriale, è miseramente fallito:
l’autonomia di un tempo, fonte di libertà e decoro, è degenerata in
dipendenza dal Sistema e, la salutare e appagante fatica dell’uomo
contadino, in lavoro meccanico, frustrante e senza dignità. Per tali
motivi, l’individuo umano, cosciente e responsabile di un tempo, si è
involuto in umanoide robotizzato; un automa che si attiene alle regole
stereotipate di un libretto di istruzioni che il Sistema gli consegna al
momento della sua venuta al mondo. A un tale uomo è negata la felicità.
L’uomo ragionevole, muore da uomo, perché la memoria delle sue azioni,
sia da conforto per tutti quelli che lo hanno amato. L’uomo ragionevole
cerca l’autonomia e la libertà, in una condizione d’autenticità, e di
qualità della vita. Diversamente, meglio sarebbe per lui, vivere di
espedienti e trovare ristoro, nel freddo di una baracca di lamiera e
cartone, e che fosse la carità, a soddisfare i suoi bisogni, e le notti
stellate, i suoi sogni.
L’uomo di quest’epoca insensata si deve ribellare, e riappropriare
dell’unica cosa che è capace di produrre miracoli, e in grado di
riesumare autentiche passioni e vere motivazioni: la Terra. La Terra, è
il vero potere! Il solo potere al quale possiamo serenamente
sottometterci sapendo che, domani, per noi sarà un altro giorno. Un
giorno nuovo, pieno di aspettative e di speranze, di sana fatica, sereno
riposo e felicità.
Gianni Tirelli
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