martedì 24 novembre 2015

Europa come l'Italia: chi sbaglia non paga mai


Tra Italia ed Unione Europea esiste almeno un minimo comune denominatore: il fatto che chi sbaglia non paga mai. Un salvacondotto si trova per chiunque abbia fallito, dopo essere giunto nella stanza dei bottoni della politica o dell'alta finanza.

In Italia è un vizietto noto da tempo immemore, ma è un paradosso per le Istituzione europee, le quali non lesinano mai critiche al Belpaese pur praticando la medesima penosa abitudine. E di fallimenti l'UE ne ha incassati parecchi dall'entrata in vigore dell'euro. Non si può non pensare alla crisi greca, gestita dalla Troika in modo imbarazzante, con l'annessa cura-avvelenamento i cui effetti vengono oggi pagati a livello umano dagli ellenici a livello economico da tutti i cittadini europei (gli italiani sganciano 65,8 miliardi, secondo Exane-Bnp Paribas). 

Naturalmente tutto verrà restituito con i dovuti interessi, per carità, ma intanto paga Pantalone, come dicono da noi. Così, gli eurocrati illuminati che ambiscono a sostituirsi alla sovranità politica dei singoli Stati hanno commesso un grave sbaglio: proprio nella crisi greca si amplifica tutta la loro presunzione, ad esempio l'essere stati alla fine degli anni Novanta eccessivamente ottimisti nel decidere di far entrare nell'euro la debolissima Grecia, poi l'essere stati colpevolmente incapaci nel prevenirne il crack e infine il gestirlo senza quel minimo di umanità che si pretenderebbe da un sistema che vorrebbe chiamarsi federalista.

 
Negli ultimi mesi l'errore è aver aderito ai diktat di Obama e dei gruppi finanziari globali e aver quindi messo la parola fine ai prestiti ponte verso la Grecia: una scelta folle non solo per l'Europa, che con altissime probabilità dovrà affrontare un nuovo default greco nei prossimi anni, ma anche per la stessa Grecia che era a un passo dal liberarsi da quei vincoli che non si sposano né con le sue tradizioni né col suo paniere economico. 
 
In un qualsiasi Paese del mondo che non sia l'Italia, passi falsi di questa entità sarebbero bastati a far mandar via quei dirigenti che li hanno commessi. E invece in questa fulgida e moderna Unione Europea sono ancora tutti lì a governare, con la supponenza di sempre. E facciamo altri esempi. L'economia globale quest'anno crescerà, secondo World Economic Outlook, redatto periodicamente dal Fondo Monetario Internazionale: +3,1% a parità di potere d'acquisto, poi +3,6% nel 2016. La crescita media degli Usa sarà del 2,5% e per l'Ue dell'1,6%: un differenziale dello 0,9% dagli Stati Uniti potrebbe rivelarsi davvero una grossa sconfitta per l'Unione. 
Vogliamo poi parlare di questi ultimi gloriosi anni di politica estera comunitaria? Per tratteggiare il declino dell'Occidente sia a livello valoriale che militare, basterebbe citare l'appoggio dato alle "primavere" arabe, alla guerra di "liberazione" libica capitanata da Sarkozy, alla gestione della crisi ucraina e all'inerzia di fronte all'avanzata dell'Isis in Sira. Eppure dopo aver contribuito a far diventare una polveriera il Medio Oriente e ad aver quasi innescato una conflitto con la Russia — pericolo per adesso scongiurato grazie alla pazienza e all'acutezza di Putin — si vedono gli stessi personaggi all'interno della Nato e dell'Onu che declamano sentenze morali e politiche a tutti gli altri Paesi del mondo. Forse prima di Internet si potevano ancora biancheggiare a piacimento le pagine di storia, ma oggi in molti aprono gli occhi e comprendono che gli imperi del bene e del male possono scambiarsi i ruoli piuttosto velocemente, anzi forse non sono neanche mai esistiti, perchè luci e ombre ci sono ovunque.
 Il premier italiano Matteo Renzi al summit UE.
 
In un tale contesto di mantenimento del potere nonostante i fallimenti conclamati di governanti, diplomatici, vertici militari e finanziari degli appartenenti alla casta dell'Eurocrazia, si innestano poi le incapacità locali; e in questo l'Italia ha pochi rivali. E' proprio di queste ore la notizia delle dimissioni dell'ennesimo Commissario per la Spending Review, che molla l'incarico in dissenso col presidente del Consiglio Renzi: stavolta è toccato a Roberto Perotti, la scorsa volta era stato Carlo Cottarelli. 
 
Sono auto-dimissioni da parte di chi ha ancora la schiena diritta e non ci sta ad essere complice di un Governo che dichiara una cosa e fa l'esatto opposto. Purtroppo anche questo esempio dimostra come la casta dei falliti, o comunque la si voglia definire, riesca ad espellere dal sistema chi cerca di cambiarlo e migliorarlo. Loro, i campioni del "tarocco", sono sempre lì, inamovibili, intoccabili, potenti. Alla faccia del diritto di voto e della sovranità popolare.
 

Marco Fontana
 

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