“La sorte è l’alveo nel quale fluisce il tempo d’un uomo:
difficile vederne chiaramente il profilo.”
(Elémire Zolla)
Secondo
Elémire Zolla ci sono molte metafore per indicare il destino e la vita.
Le più comuni sono quelle che rapportano la vita al corso di un fiume,
alla colata di lava di un vulcano, ad un vortice marino oppure ad una
macchina da costruire e da far funzionare. La vita, per chi ha avuto una
buona sorte, dimostra che vale la pena di vivere, perché è tale la vita
dalla sorte chiara e sicura. Soprattutto la vita dei grandi uomini e
dei santi ci appare come tale cioè come una vita che è stata impiegata
per assolvere ad un destino di cui ogni tappa e ogni minimo episodio ci
appare come significativo.
Una
vita piena di significato è quella in cui gli avvenimenti si dispongono
in un ordine che mostra il significato del destino che si deve
assolvere. Le metafore che indicano il destino sono tratte dalla
filatura e dalla tessitura dei tappeti, in cui la trama appare e si
mostra solo quando il lavoro del tessitore si è concluso. La tradizione
ci mostra molti esempi di questo tipo, infatti Plutarco elenca una serie
di eventi che prepararono l’assassinio di Cesare. Egli disse che non fu
un caso se Cesare venne ucciso nello stesso giorno in cui fu eretta la
statua di Pompeo, e se fu ucciso nell’edificio che era stato costruito
proprio per ordine di Pompeo.
Anche
Giuseppe Flavio, riguardo l’omicidio di Antigono, racconta che Giuda
l’Esseno si disperò quando vide che Antigono entrava nel Tempio. Giuda
gridò che per lui era meglio morire, perché la verità era morta da
quando la sua profezia non si era avverata. Antigono era vivo malgrado
lui aveva visto che avrebbe dovuto essere ucciso mentre era a Torre di
Stratone che distava ben settanta miglia dal tempio. Subito dopo, si
seppe che Antigono era stato assassinato nella rocca sotterranea che
veniva chiamata Torre di Strabone cioè come l’omonima città. In questi
racconti si vede come, nell’antichità, si credeva che il destino sia
legato all’uomo come i fiori sono legati la loro radice, dice Zolla.
Gli
Ewe del Togo credono che l’uomo possiede, oltre l’anima anche uno
spirito che determina il carattere e il destino. Era stata la Madre
Celeste che ha inviato quello spirito mentre l’uomo sta in attesa di
incarnarsi, al fine di fargli realizzare un certo destino e con una
certa benedizione. Si dice che l’uomo abbia il compito di ripetere ciò
che aveva già compiuto in cielo, cioè dovesse avere lo stesso lavoro e
la stessa famiglia. Essi credono che l’uomo avrebbe sofferto se non
avesse ritrovato, fra tutte le sue moglie, la donna che era chiamata la
“donna dell’aldilà.”
Nel
Ghana si dice che la madre Celeste emana un “messaggio del destino” per
l’anima che sta per incarnarsi, e le fa cadere in bocca una goccia
dell’acqua della vita, in cui la Madre si rispecchia. La Madre Celeste
avverte l’anima che è pronta a nascere, che durante la vita dovrà
perfezionare il suo spirito vitale, altrimenti dovrà tornare a
reincarnarsi. Molti miti dell’Africa, dell’Australia e dell’Asia
mostrano le stesse idee espresse da Platone nel “Menone” in cui si dice
che, se l’anima deve rinascere tanto vale mantenerla pura. Ma, se l’uomo
che non crede più a queste mitologie, si chiede Zolla, come può
abbandonarsi con fiducia alla vita?
Anche
gli antichi sapevano che, all’uomo serve un sostegno ideologico a cui
potersi appoggiare per tollerare l’angoscia del vivere. Per questo
motivo, anche nei misteri egizi e mitraici gli adepti dovevano gridare
che l’adepto non era morto e che il cadavere era risorto. Vedere il
disegno del destino, dice Zolla, conforta perché la vita insopportabile è
quella che ha una forma che ci appare insensata. Invece la “buona vita è
quella in cui gli incidenti sono del tutto pertinenti al carattere di
chi li vive.” Le vicissitudini della vita sono espresse anche nel mito
di Iside che deve affrontare il naufragio, la prigionia per mano dei
ladroni e molte altre vicissitudini per ritrovare Osiride.
Nel
mito di Iside, secondo Sinesio, si insegnava che la vita terrena non è
altro che quel mito divino che si ripete continuamente nel mondo
materiale. Il mito di Iside rivelava all’adepto che la vita è un
percorso di ricerca, dice Zolla, perciò essa apparirà colma di una nuova
luce. Vediamo che anche gli errori più rovinosi assumono un senso
diverso e comprendiamo che, solo facendo quella strada piena di errori
siamo giunti alla pace in cui siamo. I misteri di Iside insegnavano che
esiste una guida invisibile che ci conduce lungo il cammino, e la guida
poteva essere una madre ovvero la stessa dea Iside.
Secondo
altri, la guida poteva essere un animale soccorritore ovvero un custode
angelico oppure, come per i greci, un daimon che era insieme un genio e
il destino. Per noi moderni non è facile credere che, l’uomo, oltre
l’anima e lo spirito possiede anche un genio personale. La coscienza di
questo fatto era molto diffusa in passato anche se le tribù
d’Australiane e nelle isole andamanesi lo credono ancora. In seguito,
questa idee, è restata solo nella mente degli sciamani che hanno la
capacità di creare un’alleanza con gli animali. Il termine sciamano
deriva dal manciù “shaman” che significa “coloro che sono invasati” e
dal sanscrito “sramana” che significa “asceti.”
Nell’etimologia
già si mostra che esiste un legame non solo tra l’ascesi e la
fratellanza con gli animali, secondo Zolla, ma che esiste un legame
anche tra la natura dell’anima dell’animale e la genialità umana. Aver
raggiunto la genialità mostra che si sono superati i limiti dell’uomo
comune perciò che si è raggiunto lo stato che consente di avere delle
rivelazioni impenetrabili e misteriose. E si dimostra pure che il genio
personale è inconfondibile e che, per gli sciamani, si esprime nel
timbro e nella qualità dell’animale con cui l’uomo si sente più in
sintonia e nutre più simpatia. E ci indica persino la forma di comunione
più propizia alla manifestazione del proprio genio.
Si
dice che gli animali dal fascino più robusto abbiano - a loro volta- un
genio custode che alcuni collegano ad un’entità esterna che viene
collegata al genio del luogo. Invece altri lo pensano collegano al genio
della specie animale a cui l’animale appartiene, perciò si dice che
solo la renna cui piace il cacciatore possa venire uccisa. Anche gli
antichi popoli germanici dicevano che gli eroi avevano fede in un
animale, infatti essi credevano che il soffio e il principio di estasi
di Odino si mostrasse nel lupo. L’anima e la memoria più intima erano
percepite sotto forma di corvo, e anche la mente più segreta era vista
in forma animale.
Anche
l’animale custode ovvero il genio che ci accompagna per tutta la vita
che viene percepito dalla seconda vista era visto sotto forma di
animale. Dell’uomo pronto e intuitivo si diceva che aveva un genio molto
forte. E poi si distingueva tra il proprio genio personale e quello
familiare che veniva tramandato dal padre e dal nonno insieme al nome, e
la forma in cui esso appariva era quella della vergine valchiria.
Spesso le figure del genio personale e dell’antenato totemico
s’intrecciano nelle varie mitologie.
Invece,
nell’America centrale, il genio era chiamato “nagual” cioè “spirito
familiare,” ma gli europei che li cristianizzarono lo assimilarono nella
figura dell’angelo custode. Gli spagnoli non compresero che il nagual
era la figura di un essere tutore che era strettamente correlato con
l’uomo che proteggeva al punto che, ciò che accadeva all’uno si
ripercuoteva sull’altro. Il suo vero nome era “tonal” che significa
calore, estate, sole perché la costellazione sotto cui si nasce è la
propria costellazione cioè rappresenta il proprio destino.
La
conoscenza del nagual, secondo Zolla, era trasmessa e garantita da una
confraternita i cui adepti usavano le danze per propiziare le
apparizioni dello spirito e che usavano una lingua segreta molto
complicata e piena di metafore. In alcune immagini arcaiche dell’America
centrale vediamo dei guerrieri che sono sovrastati dal loro animale
custode che viene raffigurato sotto forma di giaguaro, di coccodrillo,
di serpente o di uccello. Gli Inca avevano il loro custode, “fratello” o
oracolo che raramente era un animale, e veniva infuso nell’amuleto che
veniva messo accanto al cadavere.
Ma
il genio personale non era sempre in forma animale, infatti gli
sciamani d’America lo rappresentano come una fonte di potere che è
perlopiù un uccello oppure un animale molto forte oppure il vento,
l’acqua o una montagna dotata di un grande magnetismo cioè un luogo di
potere. Poiché ogni cosa ha una forza vibratoria, allora essa può
diventare una entità protettrice e può assumere la funzione di genio o
di custode personale. Presso i Fox, tutte le forze divine possono avere
la funzione di genio protettore, infatti lo possono essere sia il
Signore del Cielo, le stelle, i morti che fanno scaturire le sorgenti,
il grano che infonde l’energia del cibo, le tortore che sono la voce di
Manitù, oppure i serpenti, i gufi, le volpi, i lupi e così via.
E
non è neppure raro che il genio che si mostra come animale possa
diventare un simulacro o un amuleto di legno, oppure un totem. Gli
Australiani fanno degli oggetti sacri fatti di legno o di pietra
chiamati ciuringa, in cui vengono incisi dei segni. Ognuno tiene
nascosto il ciuringa che è stato inciso dal nonno per il nipote, che è
consegnato al compimento della maggiore età e che viene presentato come
l’animale da cui si proviene. Questo amuleto è il tramite che lega gli
aborigeni al loro passato ancestrale, ai loro primi antenati e alla
condizione beata in cui vivevano.
Buona erranza
Sharatanfonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2015/11/i-custodi-del-destino.html
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