È il fatto di cronaca di questi giorni, lo sconcertante caso degli “embrioni scambiati”. Dopo aver eseguito una villocentesi
una coppia, in attesa di due gemelli grazie a un percorso di
procreazione assistita (PMA) effettuato presso l’Ospedale Pertini di
Roma, si è trovata con il dubbio che i gemelli non siano i suoi. Alla
madre sarebbero quindi stati impiantati embrioni di un’altra coppia, che
sempre al Pertini si sarebbe sottoposta alle stesse procedure negli
stessi giorni. Un pasticcio. E ora sono in corso nuovi esami:
confrontando il DNA del materiale fetale prelevato a suo tempo con la
villocentesi con quello estratto da campioni di saliva delle coppie
coinvolte, si dovrebbe capire chi sono davvero i genitori biologici dei
due bambini. Il caso ha sollevato molti interrogativi di varia natura:
scientifici, bioetici, legali. OggiScienza ha deciso di esplorarne
alcuni, a partire dalle questioni genetiche relative all’attribuzione di
paternità e maternità. Per saperne di più, abbiamo sentito Faustina
Lalatta, responsabile dell’Unità operativa di genetica medica del
Policlinico di milano.
Dottoressa Lalatta, tanto per cominciare: è normale eseguire un esame invasivo come la villocentesi dopo una procedura di PMA?
Non è necessario né automatico, ma può essere proposto se la donna o la
coppia presentano rischi genetici superiori alla media: per esempio se
la coppia è portatrice di malattie genetiche o se, per l’età materna,
c’è un aumento del rischio di sindrome di Down. Altre coppie chiedono
questo esame perché temono che le manipolazioni effettuate durante le
procedure di PMA possano aver danneggiato gli embrioni, esponendoli a
rischi genetici, anche se non ci sono prove scientifiche certe a favore
di questa ipotesi.
Ma una villocentesi può dare informazioni su paternità e
maternità? Ci dice qualcosa sulla corrispondenza tra il materiale
genetico fetale e quello dei genitori?
Di norma la villocentesi non ha come obiettivo la definizione della
paternità, ma bisogna fare alcune distinzioni. In genere la villocentesi
serve per ottenere un cariotipo, un “quadro” dei cromosomi fetali, che
dice se questi cromosomi sono o meno normali per numero e struttura. Se
tutto va bene, ovviamente non abbiamo alcuna informazione sui rapporti
genetici tra feto e genitori. In alcuni casi, però, possono essere
necessari ulteriori approfondimenti, per esempio perché c’è stata una
contaminazione tra materiale genetico materno e quello fetale, o perché i
cromosomi fetali presentano anomalie strutturali, come traslocazioni o
inversioni. In questi casi si sottopongono i genitori a indagini del
loro patrimonio genetico, perché questo può aiutare a capire meglio la
situazione. Ed è proprio in queste circostanze che può saltar fuori
un’anomalia rispetto alla paternità (ovviamente, nel caso di gravidanze
spontanee e non da PMA la maternità biologica non è mai in discussione).
Ci può fare un esempio concreto?
Prendiamo il caso delle traslocazioni (uno scambio tra pezzi di
cromosomi), che possono essere ereditate o spontanee. Non sempre
sappiamo se una traslocazione comporta malattie o problemi al feto,
dunque se la identifichiamo può essere utile andare a vedere se c’è
anche in uno dei genitori. Se non la troviamo può voler dire che è
insorta spontaneamente, oppure che il papà è un altro. In altri casi la
villocentesi può essere utilizzata per verificare se il feto ha
ereditato particolari malattie genetiche di cui i genitori sono
portatori (per esempio talassemia o fibrosi cistica): in questo caso si
vanno ad analizzare in modo mirato sia nei genitori sia nel bambino
particolari sequenze genetiche. Se non corrispondono, può esserci un
dubbio di paternità.
Riassumendo: di per sé la villocentesi non dice nulla sulla
consanguineità tra genitori e figli, ma ci sono casi che possono
richiedere approfondimenti dai quali potrebbe emergere un dubbio di
paternità. Quanto sono frequenti questi casi?
Direi che succede una volta ogni 20-30 villocentesi. Tra i casi
sottoposti ad approfondimento, la non paternità si verifica in genere
una volta ogni 30-40.
Tornando al caso di cronaca di questi giorni, ora dunque si
sta procedendo a un confronto tra materiale fetale e DNA delle coppie
coinvolte. È un caso o è la prassi che esista ancora del materiale
fetale residuo della villocentesi?
È la norma perché i laboratori di analisi sono tenuti a conservare un
campione di riserva di questo materiale, almeno fino a che nasce il
bambino. Questo proprio per poter tornare indietro nel caso in cui si
verifichino problemi o contestazioni.
Come viene effettuato il confronto?
Si basa sull’analisi dei cosiddetti polimorfismi, regioni del genoma
caratterizzate da elevata variabilità e che dunque sono in genere
differenti da individuo a individuo. Ne vengono prese in considerazione
una quindicina in tutto e la probabilità che individui non consanguinei
presentino le stesse varianti per tutte e 15 le regioni è praticamente
nulla. Dunque ora si tratta di confrontare il profilo genetico dei feti
con quello delle coppie coinvolte, per escludere tutte le coppie che non
sono compatibili, perché presentano combinazioni di varianti
differenti.
Immagine di apertura: kaibara87 / CC
fonte: http://oggiscienza.wordpress.com/2014/04/17/embrioni-scambiati-qualche-dettaglio-sugli-aspetti-genetici/
Nessun commento:
Posta un commento