Per
“Cristo storico” si intende la intricata disputa fra teologi, esegeti,
archeologi, studiosi laici e credenti, che dura ormai da oltre un
secolo, sulla effettiva esistenza del personaggio di Gesù Cristo.
In
altre parole, molti nel corso del tempo si sono domandati, e continuano
a domandarsi, “ma Gesù è esistito davvero, o è soltanto una bella
fantasia”?
Diciamo subito che non vi sono prove assolute nè in un
senso nè nell’altro. Vi è però una sufficiente quantità di riscontri
documentali - fra cui primeggiano ovviamente i Vangeli - per affermare
almeno che un certo predicatore di nome “Joshua” abbia calcato il suolo
della Palestina in quel periodo storico. Il vero problema, casomai, è
stabilire quali episodi a lui attribuiti siano veri e quali
eventualmente no.
Nel cercare di ricomporre questo complicato
puzzle, infatti, subentrano continuamente possibilità di una lettura
allegorica, che spesso “sdoppiano” il personaggio di Gesù in una
versione prettamente umana, ed un suo possibile duplicato “simbolico”,
con valenze anche divine.
In altre parole, il Gesù che predicava
alle genti nelle piazze è lo stesso Gesù che faceva i miracoli e
camminava sull’acqua? O forse quello “miracoloso” è uno strato
aggiuntivo, sovrapposto alla figura del normale predicatore per
aumentarne la credibilità presso i suoi contemporanei? Oppure ancora, i
“miracoli” erano veri miracoli - nel senso che trasgredivano le leggi
della natura - o erano solo rappresentazioni metaforiche di banali
eventi quotidiani? (Ad esempio, nella comunità degli Esseni il sacerdote
che praticava i battesimi raggiungeva il centro della pozza d’acqua
camminando su una sottile plancia di legno, e visto da lontano sembrava
che camminasse sull’acqua. Era infatti definito, all’interno della
comunità, “colui che cammina sull’acqua”. Se Cristo fosse stato – come
molti sostengono – un sacerdote esseno, faceva dei veri miracoli, o era
semplicemente uno a cui non piaceva bagnarsi i piedi?)
Ma il vero
problema, che rende difficile una qualunque ricostruzione storica, sta
nel fatto che la stessa fonte dei Vangeli sia “inaffidabile” per sua
natura. Contrariamente a quanto molti credono, infatti, i Vangeli “degli
apostoli” non furono scritti direttamente da Marco, Matteo Luca e
Giovanni, ....
... ma dai loro discepoli, o dai discepoli dei
loro discepoli, una cinquantina di anni più tardi. Al tempo di Gesù
prevaleva ancora la tradizione orale, e soltanto sul finire del primo
secolo si iniziò a sentire l’esigenza di mettere anche il tutto nero su
bianco.
E come ben sa chiunque abbia giocato a “passaparola”, una
frase come “ho perso il sonno” fa molto in fretta a diventare “è morto
il nonno”.
Ecco perchè, in questo caso, assumono grande
importanza i riscontri incrociati. Se il Vangelo “A” descrive un certo
episodio, e lo stesso episodio si ritrova anche nel Vangelo “B”, si
moltiplicano di colpo le possibilità che l’episodio sia accaduto
davvero. Secondo la tradizione, infatti, i discepoli si sarebbero
dispersi dopo la morte di Gesù, dando vita a “rivoli” separati di
tradizione orale, che hanno viaggiato in modo indipendente fino al
momento di venir fissati sulla carta.
Per quanto preziosi, però, i
riscontri incrociati rappresentano anche un’arma a doppio taglio: chi
ci dice infatti che un certo passaggio del Vangelo “A”, invece di
riportare la tradizione orale da cui deriva, non sia stato semplicemente
copiato dal Vangelo “B”? Poichè nessuno conosce il momento esatto di
pubblicazione di ciascun Vangelo, infatti, è possibile che certe
comunità cristiane abbiano attinto da altri testi evangelici, già in
circolazione al momento di scrivere il proprio.
E’ lo stesso
problema descritto da Walter Benjamin, duemila anni dopo, nel suo libro
“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, ed è un
problema che ormai tutti viviamo quotidianamente in Internet.
Vi
sono intere parti del Vangelo di Luca, ad esempio, che sono chiaramente
tratte dal Vangelo di Marco (certi passaggi sono letteralmente copiati,
parola per parola). La stessa cosa avviene per Matteo, di cui quasi la
metà del testo è chiaramente tratta da Marco. Il Vangelo di Marco quindi
viene collocato prima, in ordine di tempo, di quelli di Luca e Matteo. A
loro volta, però, Luca e Matteo hanno molte parti in comune che non
compaiono in Marco, portando ad ipotizzare l’esistenza di un quinto
Vangelo, detto “Q”, che sarebbe stato contemporaneo di Marco. (“Q” sta
per “quelle”, che in tedesco significa “la fonte”).
C’è poi il
Vangelo di Giovanni, fra i cosiddetti “canonici”, che presenta una
lettura molto diversa dai tre precedenti della vicenda di Gesù. I primi
tre infatti sono detti anche "sinottici", che significa letteralmente
che "la vedono allo stesso modo", implicando che Giovanni la vede invece
in modo diverso.
Ma la “tombola” delle possibilità non si
esaurisce certo con l’identificazione storica delle diverse fonti
evangeliche. Fra queste e i Vangeli giunti fino a noi, infatti, ci sono
quasi 300 anni di dispute feroci fra i cosiddetti “Padri della Chiesa”,
cioè i vescovi e i sacerdoti di tutte le più importanti comunità
cristiane dell’epoca, su molte questioni di fondamentale importanza
storica e teologica.
La più nota di tutte fu la diatriba sulla
reale natura di Gesù, fra chi sosteneva che fosse una entità separata da
quella divina, che da questa discendeva, e chi invece diceva che fosse
costituito dalla "stessa sostanza" del Creatore. Vinsero i secondi, che
scomunicarono il vescovo Ario, sostenitore dlla prima ipotesi.
Naturalmente,
nell’ambito di queste dispute interminabili, i testi sacri passavano
continuamente di mano in mano, creando infinite possibilità per la
“scomparsa” di certi passaggi scomodi, come per la comparsa delle
cosiddette “interpolazioni”. Alcuni scambi epistolari fra i vescovi
dell’epoca, ad esempio, suggeriscono che Gesù predicasse la
reincarnazione, “caratteristica” dell’esistenza umana che sarebbe del
tutto scomparsa nella versione finale del cristianesimo, poichè in
contraddizione con la visione escatologica della vita, di fondamentale
importanza per chi avrebbe imperniato tutto il suo potere sulla “paura
dell’inferno”. (Si campa una volta sola, ci dice il cristianesimo, e chi
sbaglia è perduto per sempre. Se invece ci fosse stata la possibilità
di ritornare, e di rimediare agli errori commessi nelle vite precedenti,
i preti rischiavano di venire accolti da una selva di pernacchie ogni
volta che nominassero l’inferno. Via quindi la reincarnazione, e avanti
con il Diavolo, il tridente e il Giudizio Individuale).
A loro
volta, sul fronte delle interpolazioni ci sono diversi passaggi che
lasciano decisamente in dubbio gli studiosi, in quanto sembrano inseriti
apposta per rimediare a vistosi “buchi narrativi”, che a loro volta
testimoniano della grande confusione che dovesse regnare fra i Padri
della Chiesa in quel periodo.
Vi sono alcuni casi in cui è stato
addirittura possibile dimostrare che un certo passaggio sia platealmente
falso, cioè aggiunto in seguito alla stesura originale. In una certa
lettera di S.Paolo, ad esempio, l’apostolo utilizza una espressione
verbale che sarebbe entrata in uso solo una cinquantina di anni dopo,
dimostrando che il passaggio è stato aggiunto in seguito, da qualche
scriba poco attento all’evoluzione del linguaggio.
E’ come se in
un film degli anni ’50 Alberto Sordi si mettesse improvvisamente a
gridare “viulèeeenza!”, quando tutti sanno che quell’espressione è stata
coniata negli anni ’80 da Diego Abatantuono. In quel caso sarebbe
chiaro che la scena è falsa, e che è stata aggiunta in seguito, ovvero
“interpolata” fra quella che la precede e quella che la segue.
In
ogni caso, fu solo nel 325 che i Padri della Chiesa consegnarono nelle
mani di Costantino la “versione ufficiale” del cristianesimo come lo
conosciamo oggi. Era costituita da 36 libri della Bibbia ebraica
(“Antico Testamento”) con l’aggiunta del “Nuovo Testamento”, che
contiene i 4 Vangeli canonici (Marco, Matteo, Luca e Giovanni), gli
“Atti degli Apostoli”, le “Epistole” e l’ “Apocalisse di Giovanni” (il
noto testo profetico in cui compaiono anche la “bestia”, la “grande
prostituta” e il numero “666”).
Va notato che Paolo viene
considerato uno degli apostoli, per quanto non abbia mai incontrato Gesù
nella sua vita. Solo dopo la sua morte si sarebbe convertito al
cristianesimo (sulla via di Damasco), del quale propose una
interpretazione “per i gentili” che avrebbe condizionato più di ogni
altro apostolo la futura dottrina cristiana.
Ma i problemi di
discordia non finirono certo con la definizione dei Vangeli canonici: a
furia di cambiare, di aggiungere, di tagliare e di interpolare, i Padri
della Chiesa non si sono nemmeno accorti che questi quattro Vangeli
finiscono spesso per contraddirsi fra di loro. Se prendiamo ad esempio
la scena della crocefissione, abbiamo addirittura tre versioni diverse
sulle ultime parole di Gesù:
MARCO:
Gesù gridò con voce forte:
Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato? … Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.LUCA:
Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.GIOVANNI:
Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.Secondo Matteo, Luca e Giovanni a Gesù fu dato aceto da bere, imbevuto in una spugna. Secondo Marco invece era vino con mirra.
Per
Marco la prima a visitare il sepolcro, la domenica mattina, fu Maria
Maddalena, insieme all’“altra Maria”. Secondo Marco c’era anche Salomè.
Secondo Luca c’erano Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo, e
altre donne. Secondo Giovanni Maria Maddalena era sola.
Marco
racconta che all’alba della domenica le donne trovarono il sepolcro
sigillato dalla grande pietra. Matteo, Luca e Giovanni dicono invece che
la pietra era già stata rimossa. Eccetera eccetera eccetera…
Non
si tratta certo di contraddizioni gravi, poichè non intaccano la
coerenza complessiva del racconto, ma testimoniano del percorso
particolarmente “accidentato” che debbono aver fatto queste narrative
prima di finire una volta per tutte sulla pagina scritta.
E
finora abbiamo parlato solo di quelli canonici, cioè dei Vangeli
“ufficiali” che i Padri della Chiesa hanno scelto di inserire nel Nuovo
Testamento. Ma esiste tutta una serie di Vangeli, detti “apocrifi”, che
sono rimasti esclusi dalla selezione, e che raccontano spesso una storia
molto diversa.
Va notato che “apocrifo” non significa “falso”, come molti credono, ma “nascosto”. Il termine deriva dal greco
apò-kryptomai, dove
apò significa “sotto”, e
kryptomai
significa nascondere. (Da cui il termine “cripta”, che è un locale
sotterraneo della chiesa, quasi sempre nascosto al pubblico). Pare
infatti che alcuni preti, meno ubbidienti di altri, tenessero questi
documenti ben nascosti “sotto l’altare”, per evitare persecuzioni da
parte delle autorità ecclesiastiche, che ne proibivano la circolazione.
Solo con il tempo, a furia di dichiarare questi Vangeli “falsi”, il
termine apocrifo è venuto ad assumere quel significato.
Gli
apocrifi offrono quindi agli studiosi una serie ulteriore di riscontri
incrociati, nella loro faticosa ricerca del Cristo storico. Se si prende
ad esempio il Vangelo di Tommaso, ritrovato in Egitto nel 1947, e lo si
confronta con i canonici, risulta che circa la metà degli episodi
descritti nel primo (una cinquantina circa) compaiono anche nei secondi.
E poichè il Vangelo di Tommaso, che risale circa al 200 d.C., ci è
giunto praticamente intatto, grazie all’otre che lo ha protetto per 18
secoli, avremmo di fronte un’ulteriore conferma della probabile
veridicità di almeno una parte degli episodi attribuiti a Gesù.
Ce
ne sono però almeno altrettanti che non trovano corrispondenza nei
canonici, e questo ha gettato nel più totale scompiglio molti studiosi,
aprendo le porte ad una serie di possibilità praticamente infinita sulla
reale esistenza di Gesù.
Paradossalmente, i dubbi non si
dissolvono nemmeno con la sua morte, ma continuano anche dopo. Vi sono
infatti diversi elementi che suggeriscono che Gesù non sia affatto morto
sulla croce, ma sia stato salvato in extremis dai suoi discepoli, e
portato via di nascosto durante la notte.
Quando il costato di
Gesù viene trafitto dalla lancia, ad esempio, esce del sangue. Questo
significa che Gesù, nonostante le apparenze, fosse ancora vivo. (Da un
cadavere trafitto non esce più sangue, perchè viene a mancare la
pressione arteriosa).
Sul finire della giornata entra in scena un
curioso personaggio, Giuseppe da Arimatea, che chiede ed ottiene da
Pilato il permesso di portarsi via il corpo di Gesù. Chi era, da dove
veniva, e perchè mai i discepoli ed i familiari di Gesù glielo avrebbero
concesso così facilmente? Quando giunge al Calvario questo Giuseppe
porta con sè 30 o 40 chili di unguento di aloe, con i quali ricopre il
corpo di Gesù prima di seppellirlo. Ma l’aloe è anche un potente
disinfettante, che in quel tempo veniva usato proprio per curare le
ferite.
Tutta la faccenda della pietra smossa, inoltre, sembra
indicare più una fuga terrena, praticata in fretta e furia dai discepoli
che si portavano via Gesù, che non un “risorgere” di tipo divino. Anche
le bende lasciate all’interno del sepolcro vuoto sembrano testimoniare
di una “rinascita” molto frettolosa e terrena.
Per quanto noi
siamo abituati a pensare che Gesù sia “andato direttamente in Paradiso”,
infatti, va ricordato che i Vangeli ci parlano di un semplice
“risorgere”, inteso come “rialzarsi”.
“E' risorto, non è qui –
dicono i personaggi trovati dalle donne di fronte al sepolcro - Ecco il
luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a
Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”.
Ed infatti Gesù apparirà più volte ai discepoli, nei giorni
seguenti, in situazioni del tutto “terrene”, mentre l’ “ascensione” vera
e propria avviene, sempre secondo i Vangeli, solo 40 giorni dopo.
Nel
libro “Jung e i Vangeli perduti” lo storico Stephan Hoeller ha raccolto
tutti gli elementi, i dati storici e i reperti archeologici che
sembrano supportare la tesi che Gesù sia effettivamente morto in India,
una ventina di anni più tardi. Dopo essere sopravvissuto alla
crocefissione, sostiene Hoeller (insieme ad altri storici), Gesù avrebbe
predicato per un certo periodo lungo le coste della Turchia, prima di
intraprendere un lungo viaggio, in compagnia della madre, che lo avrebbe
portato prima in Persia, e poi fino alle pendici dell’Himalaya.
Altri
storici hanno trovato tracce di una prolungata permanenza di Gesù in
Medio Oriente, dove avrebbe continuato a predicare fino al giorno della
sua morte.
Vi sono poi ipotesi di tipo “esoterico” – peraltro
meno supportate storicamente - che sostengono che Gesù sia invece giunto
in Francia, dove avrebbe dato origine alla stirpe reale dei Merovingi, a
cui molti attribuiscono qualità divine.
In ogni caso, quello che
conta davvero è la vicenda del Cristo che tutti bene o male abbiamo
assorbito nel corso della nostra vita, e che fa ormai parte integrante
della nostra cultura. In altre parole, qualunque siano stati gli eventi
realmente vissuti da Gesù, quel che conta è il cristianesimo come è
giunto fino a noi, e come ha condizionato nel frattempo – nel bene e nel
male - l’intero percorso della storia umana.
E forse è persino
un bene che sia impossibile fare chiarezza assoluta sulla vicenda reale
di Gesù, lasciando così a ciascuno quel margine di interpretazione che è
giusto lasciare ad un evento di tale portata storica e di tale valenza
spirituale come il suo passaggio sulla terra.
Massimo Mazzucco
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