mercoledì 4 giugno 2014

Apprendimento senza presa


Non ad scholam sed ad vitam discimus. Impariamo non per la scuola ma per la vita. (Seneca)

Che cos’è necessario davvero imparare? Quello che è realmente significativo non può essere insegnato, ci ricorda Oscar Wilde. Tuttavia qualcosa bisognerebbe tentare di apprendere: alcuni filosofi antichi, nella loro saggezza, appuntavano la loro attenzione sul destino dell’uomo in relazione alla morte. Infatti imparare a vivere è soprattutto imparare a morire. E’ palese che è compito arduo, sebbene imprescindibile: i nostri tempi rimuovono tutto ciò che riguarda la meta ultima, offuscandola dietro una cortina di noncuranti eufemismi o con la promessa di un’immortalità transumana.

Apparentemente agli antipodi di questa “scienza della morte” è il saper fare: oggi ambedue queste competenze sono escluse dal mondo dell’istruzione, anzi della distruzione, la scuola. Qui si studiano per lo più cose inutili e talmente vacue che verrebbero in uggia anche a don Ferrante. Quasi sempre si cerca di inculcare negli allievi un atteggiamento razionalista-scientista: questo spiega perché, nei quadri orari, le discipline tecniche e “scientifiche” sopraffanno le humanae litterae. L’arte, la musica, la poesia, il teatro, il mito... hanno poco o punto spazio nel sistema educativo. Nel migliore dei casi, si valorizza l’emisfero sinistro, ma soprattutto si propaganda una mentalità utilitarista, tutta imperniata sui risultati numerici, sui voti, sui crediti, sulle percentuali. I quiz INSULSI sono la scandalosa epifania di codesta impostazione gretta e stolida.

Pietoso è nel complesso l’insegnamento delle materie scientifiche, ridotte a formule dogmatiche, ad aridi elenchi, avulsi da qualsiasi contatto con una visione della realtà in cui il sapere tradizionale è tutt’uno con l’esperienza. La Storia è isterilita nell’erudizione, la Letteratura rovinata da approcci aberranti. I libri di testo sono irti di strafalcioni e di bestialità. Su tutto grava l’ipoteca di una valutazione ossessiva, della mania di quantificare ciò che quantificabile non è: la cultura non è una sbarra di ferro di cui misurare lunghezza e peso.

Sono del tutto bandite dagli istituti le abilità manuali e pratiche: saper costruire o accomodare un utensile vale quanto conoscere la trigonometria, essere in grado di disegnare è formativo quanto la conoscenza di una lingua classica o straniera.

Attualmente un titolo studio non serve neppure più a trovare un impiego, vista la crisi artificiale che destina la maggior parte dei giovani ad un futuro di frustrante disoccupazione. Allora bisognerebbe frequentare il liceo almeno per sviluppare lo spirito critico ed il senso estetico. Disoccupati sì, ma non soggiogati dal sistema e senza talento alcuno.



Vietata la riproduzione - Tutti i diritti riservati

Nessun commento:

Posta un commento