In base alla parodia del "politically correct" oggi imperante, è
assolutamente vietato credere ai complotti, ma è consentito - anzi,
caldamente consigliato - di credere alle fiabe.
Così all'opinione
pubblica è stato narrato in questi giorni di un elettorato talmente
spaventato dagli eccessi verbali di un Beppe Grillo in look hitleriano,
da correre a rifugiarsi tra le braccia pelose ma rassicuranti di un
Matteo Renzi.
Alla penna prestigiosa di Eugenio Scalfari è toccato di stilare la versione più "meditata (cioè contorta) della fiaba, ad uso dei lettori più "critici".
Per chi non fosse rimasto comunque soddisfatto dalla versione A della
fiaba, ne è arrivata una versione B, ad uso dei lettori più
disincantati, a cui piacciono le tinte forti. Si tratta della sempre
efficace interpretazione dei fatti in chiave autorazzistica, la cui
narrazione è stata affidata stavolta alla sagace dialettica di Dario Fo,
reduce dalle campagne militari contro Gheddafi e Assad. Fo ci ha
spiegato che il problema consiste in un vizio storico degli Italiani,
tanto affascinati dalla menzogna da essere disposti oggi a dar credito
persino ad un Renzi.
Sebbene la spiegazione di Fo provenisse da una "voce amica" del
Movimento 5 Stelle, Grillo ha rinunciato a ripiegare nel colpanostrismo
italico, e si é apparentemente deciso a rompere la gabbia di quel finto
"politically correct" che impedirebbe di credere all'esistenza del
nemico. Nella giornata di lunedì, infrangendo il clima delle paciose e
militaresche celebrazioni del 2 giugno, Grillo ha infatti esplicitamente
parlato di brogli ai danni del suo movimento.
Lo ha fatto, come sempre, con scarsa lucidità, facendo appello ad un
exit poll di provenienza nientemeno che britannica, e perciò da
ritenere, chissà perché, più attendibile.
In realtà Grillo non può aver pensato seriamente all'eventualità di un
sorpasso ai danni del PD. Soltanto in base ad una concezione idealizzata
della democrazia, si può credere che possa risultare determinante il
voto d'opinione, mentre invece è sempre il voto controllato a fare la
differenza. Da oltre un anno e mezzo era chiaro che quelle baronie del
voto, che avevano abbandonato Bersani al suo destino, erano rientrate
all'ovile per sostenere la candidatura di Renzi, appoggiata sempre più
apertamente dal viceré della NATO in Italia, Giorgio Napolitano.
Ma anche con il rinnovato appoggio dei baroni del voto, rimane comunque
il problema di quell'irrealistico 41% raggiunto dal PD alle ultime
elezioni, una quota che presupporrebbe che l'astensionismo record abbia
intaccato l'elettorato di tutti i partiti, tranne quello del PD. Grillo
ha fatto quindi benissimo a non farsi spaventare dagli ovvi confronti
con le vittimistiche recriminazioni del Buffone di Arcore nel 2006, ed a
denunciare chiaramente l'eventualità di brogli. Sennonché, mentre lo
faceva, già ne minimizzava i termini andando a prospettare un'indagine
nelle tradizionali sezioni "rosse", prendendosela con gli scrutatori, e
proponendone addirittura una schedatura.
I brogli nelle sezioni elettorali sono sempre avvenuti, ma non sono mai
stati in grado di spostare i milioni di voti. L'Italia non è come gli
Stati Uniti, dove non è mai esistita un'anagrafe elettorale, e quindi
del risultato elettorale si è sempre potuto fare ciò che si voleva. In
Italia per attuare brogli di grande portata occorre controllare gli
archivi elettorali sia al centro che alla periferia, sia al Viminale che
nei Comuni. Brogli del genere erano tecnicamente impossibili sino al
2007, anno in cui è stata varata la Legge 124/2007,
che all'articolo 13 comma 2 consente ai servizi segreti, sia civili che
militari, di accedere a tutti gli archivi informatici delle pubbliche
amministrazioni e degli enti che in qualche modo vi collaborino.
Solo controllando tutti gli archivi informatici si possono infatti
colmare le discrepanze tra i dati del Viminale e le anagrafi elettorali
dei Comuni. Adesso inoltre esistono software capaci di trasformare gli
"zero virgola" sparsi in milioni di voti spostati, perciò in Italia i
brogli su larga scala sono diventati tecnicamente possibili; e
l'esperienza insegna che se una cosa è possibile, prima o poi viene
fatta.
Grillo non ha veramente rinunciato a recitare la solita parodia del
politically correct, poiché ha puntato il dito esclusivamente contro il
PD e contro quei "due di coppe" che sono gli scrutatori, guardandosi
bene dal tirare in ballo le responsabilità degli apparati istituzionali.
In definitiva, colui che i media fanno passare come il grande
destabilizzatore, ancora una volta non se l'è sentita di delegittimare
tutto il sistema e di demistificare il mito della "democrazia
occidentale". Forse perché ciò avrebbe potuto mettere in questione anche
la sorprendente perfomance elettorale del M5S nel 2013, grazie alla
quale Napolitano ha potuto mettere fuori gioco Bersani per dare avvio
alle irresistibili fortune di Renzi.
fonte: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=614
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