Sembra
che siamo fuori dalla crisi (o si stia per esserlo, non si sa). Sono
passati alcuni anni da quando gli esperti parlano di crisi, sue origini e
conseguenze, ecc. Armati di numeri, curve e diagrammi, spiegano i pro e
i contro e ci forniscono le loro conclusioni accorgendoci subito che
figure, curve e diagrammi non hanno importanza, dato che le loro
conclusioni ne riflettono solo l’ideologia. Ma ci sono alcuni semplici
dati che ci permettono di vedere cosa succede, senza essere degli
esperti. Gli Stati Uniti, Alfa e Omega del mondo capitalista, Paese da
cui la crisi proviene e dove ci viene detto scomparirà, furono edificati
il secolo scorso sul consumo divenendone il simbolo. La società
statunitense (e in parte europea) ha creato il consumatore fine a se
stesso, in modo che tutto il sistema vi si basi.
Quando il consumo va,
tutto va. E viceversa. La settimana scorsa abbiamo preso un articolo di Charles Sannat
che annunciava un calo del PIL dell’1%. Non si sa nulla del modo con
cui calcolano tali dati, ma quando si arriva a formalizzare tale
declino, come l’aumento della disoccupazione o altre notizie spiacevoli,
allora sono state utilizzate tutte le variabili d’aggiustamento e sono
state effettuate tutte le manipolazioni possibili. Gli Stati Uniti
quindi rientrano ufficialmente in recessione. Data l’esistenza delle
variabili e manipolazioni di cui abbiamo parlato, significa solo che
sono già state usurate e non funzionano più, e che il Paese o è in
recessione da tempo, o non è mai uscito dalla crisi. Sembra che sia il
secondo caso. Il consumatore statunitense può essere giudicato dal
consumo di carburante in un Paese dove l’auto è più che un simbolo, è
una necessità. In 15 anni, il consumo di carburante è sceso del 75%,
soprattutto dal giugno 2003, con una accelerazione dall’agosto 2007.
Mentre i cittadini statunitensi riducono drasticamente il loro stile di
vita, l’industria petrolifera persiste. Come? Esportando l’invenduto.
Mentre lottava per soddisfare la domanda fino al 2007 (ancora il 2007),
eccola tutto ad un tratto, senza aumentare la produzione, avviare
l’esportazione massiccia moltiplicando i dati per 3, secondo l’US Energy Information Administration (EIA).
Perché
l’allarme, dato che la produzione non è interessata? Certamente è ferma
ma funziona perfettamente. Solo che i salari continuano a ridursi. Dopo
una salita costante fino alla fine degli anni ’90, la curva iniziava
bruscamente ad inabissarsi, accelerando intorno al 2007 (ancora).
I
dati sulla velocità della circolazione del denaro della FED di St.
Louis, vero indicatore della salute dell’economia statunitense,
confermano tale realtà tanto che le curve si sovrappongono.
Se
gli Stati Uniti gradualmente cambiano il loro stile di vita [1]
adattandosi alle realtà che la propaganda ufficiale non può cancellare, i
produttori cercano anche di adattarsi per continuare come prima, come
se nulla sia accaduto. E adattarsi, per loro significa adattare tutti.
Guerre di rapina qua e là, embarghi, accelerazione della colonizzazione
dell’Europa e del dominio del mondo possono essere così spiegati, in
parte. Tali cifre sono note a tutti i produttori statunitensi che
semplicemente non possono aspettare, pigramente, che il disastro che gli
piova sulla testa. Il loro gioco è quello che vediamo oggi. Non si
tratta più solo del desiderio egemonico, ma di un programma di
salvataggio su vasta scala, guidato dall’angoscia esistenziale di far
uscire gli USA dall’emergenza. Due soluzioni si presentano al mondo:
aiutare gli USA ad uscire, che allo stato attuale delle cose sembra
impossibile, o aiutarli a morire dolcemente tramite cure palliative. Per
non morire con essi, l’Europa farebbe bene ora ad amputarsi dai poveri
USA, e un team chirurgico è pronto al caso.
Reseau International
Appunto
[1] Link che illustra abbastanza bene l’argomento con dati della crisi subita dagli USA: Occupy Corporatism
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/03/leconomia-statunitense-non-sta-morendo-e-gia-morta/
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