Il protagonista dell’Odissea fu Filottete?
Strana storia, quella di
Ulisse. Possibile che il re di Itaca se
ne stia lontano per vent’anni,
struggendosi dal desiderio di rivedere
la sua patria, abbandoni una
bellissima ninfa immortale per
tornare da una moglie non più
giovane, rientri a casa dopo una
pericolosissima traversata in solitaria,
nessuno lo riconosca, neanche il padre o
la moglie stessa, ne ammazzi
tutti i pretendenti rischiando di
provocare una sanguinosa
rivoluzione, e finalmente,
quando avrebbe tutto il diritto di starsene un po’ tranquillo, decida
di ripartire di nascosto lasciando tutti con un palmo di naso? D’accordo, è un racconto mitologico,
però, insomma, non è molto... logico!
E se Ulisse non fosse
stato... Ulisse?
Già in molti hanno avuto
una intuizione simile, ma il
suggerimento di una possibile
ricostruzione realistica della vicenda ci
arriva dal formidabile e
controverso “Omero nel Baltico”, saggio
sulla geografia omerica di
Felice Vinci, di cui potete
trovare un’analisi critica qui http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2014/05/iliade-e-odissea-omero-racconto-delle.html
. Quasi di sfuggita, tra le pieghe
del discorso, Vinci ipotizza che
il figlio di Ulisse, Telemaco, abbia ingaggiato un
mercenario per interpretare Ulisse e fare strage dei Proci, i pretendenti
alla mano della madre Penelope.
Lo stesso Telemaco avrebbe
poi scritturato un poeta per raccontare una fantasiosa storia che
potesse giustificare tutti gli anni di assenza del padre; oggi forse
un
avversario politico invidioso definirebbe quel poeta un "pennivendolo di
regime" (esistevano già allora, a quanto pare!). Tutto ciò allo scopo di
liberare la reggia dai
pretendenti che gli stavano
mangiando tutte le sostanze; si aggiunga poi che se qualcuno
ne avesse sposato la madre, Telemaco
avrebbe perso il diritto alla
successione e al regno; era lei infatti di stirpe nobile, essendo figlia
del potentissimo re Icario, mentre Ulisse era
un “parvenu” che si era arricchito con l’arte dei
commerci, della pirateria e del
saccheggio, attività fra le quali a quei tempi i confini erano piuttosto
labili. I pretendenti stessi, poi, stavano tramando per toglierlo di
mezzo, e
quindi bisognava anticiparli al più presto.
Stavo rimuginando sulla faccenda, quando improvvisamente una
possibile soluzione ha attraversato la
mia mente come un lampo. Oh perbacco, io so chi
era quel mercenario! Riuscite a immaginarlo? Provate a pensarci...eppure ce lo
suggerisce Ulisse stesso... quando si trova nella terra dei
Feaci. Ulisse afferma di essere il migliore degli Achei nel tiro con l’arco,
subito dopo Filottete!
Filottete, chi era costui?
Qualcuno forse si ricorda di lui grazie al simpatico cartone animato
“Hercules”, prodotto dalla Disney nel 1997, tuttavia in quel caso gli
sceneggiatori si sono fatti prendere un po’ troppo la mano dalla necessità di
inventare una storia divertente, modificando le vicende e i ruoli dei vari
personaggi mitologici, per cui sarà meglio riferirci alle fonti classiche.
L’Iliade ci narra che egli era a
capo di un contingente degli Achei che
andavano alla guerra di Troia. Ma era stato morso ad un piede da
un serpente che gli aveva causato una
grave ferita.
La lesione si era infettata tanto da costringere i compagni ad
abbandonarlo sull’isola di Lemno.
La tradizione
mitica, ripresa da Sofocle in una
sua opera teatrale, racconta che, secondo una profezia, Troia sarebbe
caduta solo con l’aiuto delle armi di
Ercole. Filottete era stato allievo di
Ercole e ne aveva
ereditato l’arco e le frecce,
per cui venne recuperato sull’isola e curato dal
medico acheo Macaone; poi, proprio Filottete
avrebbe ucciso Paride, dando un contributo determinante alla sconfitta
dei Troiani.
Ma certo! Il mercenario era Filottete! Questo
spiega molte cose: conosceva da tempo Ulisse, e quindi si
prestava bene ad interpretarlo, inoltre
era “amico di famiglia”, e dunque poteva
essere disposto a rischiare la pelle in una impresa così pericolosa; era poi un
abilissimo arciere,
evidentemente abituato a un
“numero da circo” come quello di attraversare con una freccia
gli anelli di dodici scuri allineate, il che presuppone anche un certo allenamento, cosa che Ulisse
non poteva più avere dopo tanti anni per
mare. Ammesso poi che fosse realmente
dotato di questa abilità, visto che in tutta l’Iliade, poema che è molto più
realistico dell’Odissea, lo stesso
Ulisse non usa mai l’arco, neanche
durante i giochi in onore di Patroclo, nei quali vince invece le gare di lotta
e di corsa. Da notare inoltre che Omero non dice che Filottete fu abbandonato a
Lemno per ordine di Ulisse: questa è un’elucubrazione dei mitografi successivi,
poi ripresa anche da Sofocle, che ha rielaborato i vecchi miti per costruirci
sopra il suo racconto, non molto diversamente da quanto hanno fatto gli autori
della Disney! Quindi non c’è motivo per pensare che Filottete dovesse covare
del risentimento nei confronti di Ulisse o dei suoi familiari.
Logicamente, i giovani di
Itaca non conoscevano Filottete, ma
certo qualche anziano avrebbe
potuto riconoscerlo, per cui
sarebbe stato necessario eclissarsi al più presto a missione compiuta.
Come
abbiamo detto, egli era stato ferito gravemente al piede dal serpente,
il che doveva avergli lasciato una
evidente zoppìa. E infatti Omero, pur
senza dirlo apertamente, fa di tutto per farci capire che il misterioso
straniero zoppica: infatti cammina lentamente, appoggiandosi a un
bastone,
viene paragonato al dio Efesto, zoppo pure lui, fino alla trovata
davvero
geniale della vecchia nutrice che riconosce “Ulisse” dalla ferita al
ginocchio
causata da un cinghiale (cosa che non viene mai accennata né nell’Iliade né nel resto
dell’Odissea, in cui le gambe del corridore Ulisse sono assolutamente
perfette). Il riconoscimento avviene proprio mentre gli lava i piedi,
quindi
ciò può significare che il problema era nel piede, e non nel ginocchio!
Però Filottete non si accontentava
di una cospicua ricompensa, ma ambiva anche alla gloria
eterna! E siccome non si
poteva rivelare l’inganno, ecco
l’idea di cantarlo come
“il migliore degli arcieri achei”,
a detta addirittura del
grande Ulisse. Ma vi pare
che lo stesso Ulisse, che si potrebbe definire quasi
un “miles gloriosus” ante litteram, avrebbe ammesso, nel poema a lui
dedicato, che c’era qualcuno più bravo di lui?? La sua frase, più che
un lapsus freudiano è un vero e proprio
“messaggio in bottiglia” lanciato ai posteri, come a dire “chi ha
orecchie per intendere, intenda!”. E Omero ha lasciato una miriade di
messaggi simili in tutto il poema, utili per farci intuire il reale
svolgimento
della vicenda.
Quanto ad Ulisse,
probabilmente doveva essere morto
da tempo, ucciso in battaglia o annegato sulla via del ritorno. Lo si può
dedurre dal fatto che, in tutta l’Odissea,
l’idea che l’eroe sia ormai
defunto viene ripetuta più volte
in modo deciso, mentre l’ipotesi che
possa essere ancora vivo viene avanzata in modo dubitativo. La stessa dea Atena, sotto l’aspetto del
mercante Mente, si contraddice in modo
palese, quando afferma di non essere un indovino, ma che vuole ugualmente formulare una profezia, per
annunciare che Ulisse tornerà. Ma
Mente... mente!
Ed anzi esorta Telemaco a
pensare egli stesso a come cacciare i Proci, essendo ormai diventato adulto,
per cui il figlio di Ulisse parte a cercare notizie del padre proprio dai suoi
migliori alleati.
Che dire poi del fatto che Ulisse ad un certo punto discende nel mondo dei morti? O che
nell’episodio di Polifemo dichiara di
chiamarsi Nessuno, per cui il
ciclope ripeterà che Nessuno
lo acceca, Nessuno lo uccide? Altri
messaggi in bottiglia, che... nessuno, finora, aveva preso alla lettera! E ancora, non appare molto sospetta la
straordinaria coincidenza temporale, per cui Ulisse tornerebbe ad Itaca dopo
vent’anni, e dopo poche ore suo figlio
sbarcherebbe sulla stessa spiaggia, situata dalla parte opposta rispetto al
porto principale? E poi, cosa dovremmo
dedurre dalle tradizionali biografie, secondo le quali Omero era cieco??
Vediamo di ricostruire con ordine la vicenda, come
potrebbe essersi svolta nella realtà. Il
principe Telemaco, adolescente “complessato” con qualche problema con la madre, si
annoia a Itaca e sta meditando il modo
di liberarsi dai Proci, prima che loro si liberino di lui, e gli soffino
eredità e potere. E’ arrivato a corte un
vecchio cantore cieco o quasi, affetto da
cataratta oppure vittima
di una ferita, che ai tempi
della guerra aveva assistito agli avvenimenti.
Magari
è stato chiamato, ironia della sorte, dai Proci stessi per
il proprio divertimento.
Telemaco
ascolta la storia dell’Iliade e gli
viene in mente un piano diabolico: partire con la nave e andare a cercare un
arciere abilissimo, killer infallibile,
per eliminare la concorrenza. Che poi passi dalla reggia di Nestore, sapendo di trovarlo lì, che
l’idea gli venga dallo stesso Nestore o
da Menelao, oppure si rechi direttamente da Filottete, e inventi una storia per giustificare la sua partenza
improvvisa, questo non è dato sapere, ma
ha poca importanza.
Durante il viaggio di
ritorno, Filottete e Telemaco
perfezionano il piano: metteranno
assieme una serie di racconti e
leggende di marinai, ambientati in terre lontane, per giustificare la lunga
assenza di Ulisse. E così, Filottete viene sbarcato nottetempo in un angolo
di Itaca, assieme alla sua ricompensa in
oro e oggetti preziosi (fatta passare come dono dei Feaci ad Ulisse); anche
Telemaco sbarca sulla stessa spiaggia con la scusa di andare a visitare le sue
proprietà, e tornare in città a piedi,
mentre la nave fa il giro e arriva in porto (per questo i Proci in
agguato non la vedono transitare). Filottete-Ulisse non
viene riconosciuto da nessuno,
tranne che dal cane (che non
può “testimoniare”, anche perché
muore subito), dalla vecchia nutrice
rimbambita, e in seguito dal padre Laerte, tutti destinati a morire
da lì a poco senza potere smentire la
loro testimonianza. Così moriranno pure tutti gli avversari di Telemaco, come
tutti i Proci e una dozzina di ancelle
loro compagne. Gli altri servi fedeli, come il porcaro Eumeo e il
mandriano Filezio, si preoccupano di comunicarci che riceveranno in premio una
bella moglie, una casa e un podere.
Mentre un altro amico di Telemaco, l'araldo
Medonte, guarda caso porta lo stesso nome del "vice" di Filottete,
che aveva preso il comando della spedizione a Troia quando questi era stato lasciato
a Lemno.
Quanto a Penelope, difficile
che non ne sapesse niente fin dall’inizio, visto che è proprio lei in persona a
indire la gara di tiro con l’arco da cui prenderà avvio il massacro dei
pretendenti, e comunque non sarà certo lei a denunciare il figlio. Compiuta
la strage, Omero viene incaricato di mettere in bella copia
la storia dell’Odissea, e magari di
aggiungere qualcosina (raccontata
dalla viva voce
di “Ulisse”) all’Iliade. E se
qualcuno avesse avuto di che eccepire, il poeta di corte sarebbe sempre
stato in grado di giustificarsi:
“Sono cieco, come potevo
riconoscere Filottete? Nulla vidi, tutto sentii!”.
Che ne
pensate? Mandiamo questa storia
a Sherlock Holmes oppure al tenente
Colombo? Per concludere, devo aggiungere che per me questo è stato un “serio divertimento”, anche
se non vorrei che questo concetto inducesse a pensare che non ci sia stato un
grande lavoro di studio e di verifica alla base. Nelle pagine del mio saggio
"Ulisse, Nessuno, Filottete" si scopre come il poema omerico, letto
in questa chiave, senza perdere nulla del suo immenso valore letterario, assuma
improvvisamente una unitarietà e una logica che nessuno prima d’ora aveva mai
neanche sospettato, e come la soluzione arrivi proprio esaminando il racconto
da tutti i punti di vista, non solo da quello dei letterati.
L’Odissea non è
semplicemente una bella favola per bambini troppo cresciuti, ma un
intricatissimo labirinto ricco di continui ingegnosi riferimenti, che sfuggono
inevitabilmente a chi non ha una solida
preparazione scientifica sul groppone. Non c’è niente di “superfluo” in Omero:
ogni episodio, anche quello che sembra “appiccicato” in qualche modo, ritrova
la sua coerenza e la sua naturale
collocazione logica alla luce della nostra spiegazione. Il meccanismo narrativo
è assolutamente perfetto. Qualcuno può pensare che tutto ciò diminuisca il
fascino epico e mitico della poesia omerica. Al contrario, ritengo che in
questo modo i due poemi assumano una dimensione molto più realistica, e che
possano fornire una splendida chiave per aprire una porta che è rimasta chiusa
per troppo tempo. Una porta che tutti provavano inutilmente a spingere, finché
non ci si è accorti che… bisognava tirare!
E se il personaggio mitico di
Ulisse ne esce magari un po’ incrinato, la grandezza di Omero risulta ancor più
ingigantita. Era lui l’astuto acheo, abile negli inganni e nei giochi di
parole, che è riuscito a prenderci in giro per tutto questo tempo!
“Quandoque bonus dormitat Homerus”, ogni tanto
dorme anche il buon Omero, proclamava
Orazio... ma forse Omero era molto più sveglio di quanto abbiamo sempre
creduto!
Sul sito www.filottete.it e su quello dell'editore Logisma www.logisma.it/ulisse.htm ci sono interviste, recensioni e riassunti.
Su http://www.youtube.com/watch?v=jQfBOuNIqSQ
si può seguire una lunga videoconferenza
assieme all'archeoastronomo Guido Cossard. Altre informazioni, interviste e
discussioni si trovano cercando le parole chiave Filottete Majrani su internet.
Alberto Majrani
Chi ha ucciso realmente i
Proci?
ULISSE, NESSUNO, FILOTTETE
Scoperto dopo tremila anni il
protagonista nascosto dell’Odissea
Prefazione di Giulio Giorello
LoGisma Editore fonte: http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2014/06/odissea-chi-fu-il-protagonista-filottete.html
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