“Se una legge trova
anche una sola eccezione,
non è più una legge.”
(Arnaud Desjardins)
“La
verità è che gli adulti, per la maggior parte, vivono nell’infantilismo
e nella dipendenza. Sogniamo tutti di trovare una grande mano di adulto
in cui mettere la nostra piccola mano di bambini, per sentirci
finalmente sicuri, protetti, amati, compresi, liberi da fardelli,
sollevati da tutto ciò che ci pesa. Molti adulti hanno nostalgia
dell’irresponsabilità e della dipendenza della prima infanzia. Una
nostalgia che a volte si manifesta sotto forma di depressione: un adulto
su cui grava troppo il peso dell’esistenza, si ammala, così ci si
occuperà di lui, e lui potrà sentirsi sollevato da ogni responsabilità.
Che
cosa significa la frase di Gesù: “Se non ritornerete a essere come
bambini, non entrerete nel regno dei Cieli?” Se la si comprende male può
sembrare stupida, per quanto detta da Gesù Cristo. Come si fa a
proporre a degli adulti di tornare a essere dipendenti e vulnerabili
come bambini? In realtà è un insegnamento che va oltre la psicologia
spicciola, oltre i limiti di regredire dentro di sé allo stato felice
dell’infanzia, oltre il rifiuto del peso della vita sulle nostre spalle.
È
il punto di partenza di una riflessione che vi porta inevitabilmente (e
dico proprio inevitabilmente) a ritrovare i principi tradizionali della
Saggezza. Il punto di partenza è quella limitata coscienza di sé che
chiamiamo ‘ego’ termine che traduce il sanscrito ‘ahamkar’ mentre ognuno
è essenzialmente illimitato e infinito. Nell’intimo di voi stessi lo
sapete già, perché è la Verità, la Realtà. Chi l’ha scoperta in se
stesso, vede bene come questa illimitatezza sia rivestita da forme che
per lui sono trasparenti.
Ma,
in modo difficile da capire per l’ego, questa Coscienza è velata da
un’identificazione, inutile quanto evitabile, con la forma limitata che
ognuno di voi chiama ‘io’. Detto questo è detto tutto. Sia che siate
sicuri di voi, fieri, fiduciosi, magari orgogliosi, sia che siate
deboli, inquieti, incerti, si tratta sempre di ego. Un complesso di
inferiorità è un ego, forse un ego enorme, con la testa in giù e le
gambe in su, un ego invertito.
In
entrambi i casi si tratta dello stesso meccanismo. Rimanendo limitati
all’ego, voi confinate voi stessi in una realtà dolorosamente piccola,
stretta, meschina rispetto alla Realtà infinita. Probabilmente preferite
essere un ego glorioso, che riesce in tutto, piuttosto che un ego
ferito, ucciso, pieno di dubbi su se stesso, ma l’ego è sempre una
limitazione, una prigione e un accecamento.
‘Accecamento’
qui non significa non vedere, ma vedere male. Per vedere male bisogna
cominciare col non vedere ciò che è, e poi fabbricare, inventare
qualcosa e proiettarlo sulla realtà. Questa identificazione con l’ego (o
con questo senso dell’ego) che vi individualizza, vi separa, vi limita,
allo stesso tempo vi rende ciechi. I due temi sono legati. Vi rende
ciechi per la sua meschinità quando vi impedisce di avere una visione
ampia, vasta, comprensiva, capace di abbracciare tutto, di includere
tutto.
Malgrado
l’infinita capacità di visione che possedete, basta un minimo senso
dell’ego per velare tutto. Questo egocentrismo vi obbliga (e non può
essere diversamente) a vedere veramente solo voi stessi, ed è così che
vi acceca. Vedere solo voi stessi significa vedere tutto in funzione di
voi stessi e di ciò che portate in voi, in particolare ciò che in
sanscrito chiamiamo ‘vasana’ e ‘samskara’ in parte corrispondenti a ciò
che gli psicologi chiamano ‘proiezioni’.
E
il meccanismo delle proiezioni è permanente… la paura proviene sempre
dal rifiuto, dal rifiuto di una realtà che sappiamo evidente, ma che
riusciamo a negare. Quando sappiamo che una cosa è vera ma facciamo di
tutto per dimenticarla e in parte ci riusciamo cioè la seppelliamo
nell’inconscio, noi ci condanniamo immediatamente alla paura, per il
fatto che ciò che ci minaccia è in noi, lo portiamo con noi ovunque
andiamo.
Voi
negate molte verità relative che costituiscono una fonte di paura, ma
negate anche una verità assoluta: io sono infinito, io non sono
quell’ego limitato con una storia, con alcune caratteristiche, con
l’inconscio, con vasana, con desideri, con differenti paure. Nel
profondo di voi lo sapete e non potete non saperlo, perché siete quella
Coscienza illimitata e infinita. Ma lo negate.
Voi
sapete di essere quella Realtà o quella Coscienza, quell’Essere che è
al di là di ogni distinzione fra essere e non essere, che sfugge al
tempo, che sfugge a ogni misura, immutabile, invariabile, senza
cambiamento. Voi invece vi identificate con una realtà totalmente
instabile, in continuo cambiamento, continuamente distrutta e ricreata.
E
poiché, nel profondo di voi stessi, sapete di essere la stabilità
immutabile dell’atman, cercate di affermarla (il che è un vostro
legittimo eterno diritto) all’interno di quell’identificazione con ciò
che è puro cambiamento: le età della vita, gli stati d’animo, le
emozioni, le vicissitudini dell’esistenza, tutte cose relative e quindi
instabili.
Che
significa relativo? Se volete comprendere questo termine non solo nei
suoi significati filosofici e astratti, consideratelo in questo senso:
ciò che è in relazione. Perché ci sia relazione bisogna che ci siano
‘due’. E come sapete il Vedanta indù afferma: advaita, non-due, non
dualismo. Nel mondo del relativo, della relazione, del dualismo e della
molteplicità, c’è un solo flusso.
È
questo il senso di molti termini sanscriti, come samsara o come jagat
tradotti generalmente con ‘il mondo’ termini che in realtà indicano
flusso, scorrimento continuo, cambiamento perpetuo. Cambiamento che
cercate di negare disperatamente, come chi sta annegando perché non sa
nuotare, nel tentativo inutile di trovare qualche stabilità e fissità là
dove non ne esiste alcuna.
Eppure
voi siete quella Coscienza per la quale non c’è ‘un altro’ per la quale
non c’è dualismo, per la quale, dunque, ogni bisogno di dipendenza, di
mettere la nostra piccola mano di bambini in una grande mano di adulto,
sparisce. Si tratta, qui, di ciò che a ragione è stato definito un
risveglio: di colpo siete svegli. Un risveglio forse paragonabile, con
un’immagine più moderna, alla guarigione di una persona che delira.
"(Arnaud Desjardins, Per una morte senza paura, Ubaldini ed.”
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2015/11/advaita.html
Nessun commento:
Posta un commento