Come la parola 'placebo' è entrata nella terminologia medica
Per molto tempo il termine 'placebo' non
ha fatto parte della pratica medica, anche se il fenomeno che chiamiamo
'effetto placebo' era noto negli ambienti medici e non.1,2 È
stato solo intorno alla metà del XVIII secolo che si è iniziato a
parlare del fenomeno, o almeno di un suo aspetto parziale, e il termine
'placebo' è entrato a far parte del gergo medico.
In contrasto con
l'opinione prevalente che fosse stato il medico scozzese William Cullen
(1710-1790) a introdurre l'espressione nel linguaggio medico nel 1772,
il merito va attribuito a un altro medico anglofono, Alexander
Sutherland (nato prima del 1730 e morto dopo il 1773) di cui abbiamo
scarse informazioni bibliografiche.3 Fu però Cullen, uno dei
più autorevoli professori dell'Università di Medicina di Edimburgo, a
diffondere questo termine negli ambienti medici. Nel 1772/3 egli usò per
la prima volta la parola 'placebo' nelle sue conferenze cliniche di
grande successo.
Riferì di un paziente a cui aveva prescritto un'applicazione esterna di polvere di senape nonostante non ne fosse convinto.
'Ammetto di non aver fatto molto affidamento su di essa, ma l'ho data perché è necessario dare una medicina, e questo lo chiamo placebo. Se avessi pensato a una terapia interna, sarebbe stata una dose di polveri di Dover'.4
In un altro caso, da lui giudicato senza speranza, prescrisse una
specie di medicina palliativa che riteneva inefficace, giustificando
come segue la sua decisione eticamente dubbia:
'Ho prescritto quindi un placebo puro, ma mi impongo la regola, anche nell'uso dei placebo, di dare quello che sarebbe stato l'uso comune di assunzione da parte del paziente'.5 (Cullen, 1772).
Il 'placebo' di Cullen non era però una sostanza inerte.
Si trattava di basse dosi di farmaci (una specie di pseudoplacebo) che
egli riteneva inefficaci, data la gravità della malattia. La sua
maggiore preoccupazione non era tanto prescrivere quanto fare in modo di
assecondare il desiderio del paziente di avere un rimedio, anche se
personalmente non credeva nella sua efficacia farmacologica (secondo lo
stato delle conoscenze scientifiche di quel tempo).
Hahnemann e placebo
Trent'anni dopo, un medico tedesco di
nome Samuel Hahnemann (1755-1843), ritenuto oggi il fondatore
dell'Omeopatia, fu – per quanto ne sappiamo – il primo medico a
somministrare placebo ai suoi pazienti in maniera sistematica e
regolare. Sebbene la sua stravagante traduzione in tedesco della Materia Medica
di Cullen desse il via al famoso esperimento con la corteccia peruviana
(che fu la vera scintilla di una nuova arte di guarigione, denominata
poi Omeopatia), sembra proprio che Hahnemann non conoscesse le Conferenze cliniche dello stesso autore.
Ecco perché non si imbatté nel termine 'placebo' usato dal famoso
professore scozzese. Senza dubbio, però, - come diremo in seguito – ne
conosceva il principio, quello, cioè, di dare 'qualcosa di non
medicinale' al paziente ansioso che si aspettava una terapia di qualche
genere.
Metodi
I diari di casi clinici di Hahnemann dal
1801 al 1843 sono una fonte incomparabile per studiarne la pratica
medica. Una parte di questo tesoro unico è stata pubblicata negli ultimi
anni. Alcuni volumi sono stati studiati in profondità da omeopati e
storici della medicina e hanno rivelato un Hahnemann 'sconosciuto',
sempre pronto a sperimentare a beneficio dei suoi pazienti. L'analisi
seguente si basa su documenti non pubblicati (lettere di pazienti, per
esempio) conservati negli archivi dell'Istituto di Storia della Medicina
della Fondazione Robert Bosch di Stoccarda. Si avvale anche
dell'edizione critica del diario di casi clinici di Hahnemann e dei
commenti redazionali già pubblicati.
L'importanza del placebo nella pratica clinica di Hahnemann
Molti credono ancora che l'Omeopatia sia un placebo. Sarebbero sorpresi nel sapere che Hahnemann, a differenza di gran parte dei suoi contemporanei, era a conoscenza del fenomeno che oggi chiamiamo 'effetto placebo'.
Prima di tutto, faceva una netta differenza fra i rimedi omeopatici
somministrati secondo la legge dei simili e le sostanze farmacologiche
che giustamente considerava medicine fittizie (per esempio il lattosio).
Poi, per quanto ne sappiamo, fu il primo medico a usare sistematicamente l'approccio terapeutico 'in cieco',
cioè in cui i pazienti erano tenuti all'oscuro dell'identità dei
farmaci. Un'attenta lettura dei diari di casi clinici di Hahnemann
rivela che la percentuale di prescrizioni di placebo è molto alta. Nel
diario n°22, del 1821, l'85 per cento dei rimedi è placebo.6
Così è anche nei suoi ultimi anni di vita. Nel periodo che va dal 1833
al 1835 più della metà di tutte le sue prescrizioni (54 per cento) è di
placebo.7 I pochi studi di storia della medicina su singoli
pazienti trattati da Hahnemann, per esempio il padre della famosa
musicista tedesca Clara Schumann, Friedrich Wieck, rivelano che quasi un
quarto di rimedi somministrati a questo paziente era non medicinale.8
Forme di placebo di Hahnemann
Nei diari di casi clinici dal 1801 al
1843 Hahnemann contrassegna i placebo con il simbolo di paragrafo (§)
(per esempio: D38, 172, riga19). È probabile che questo simbolo sia
stato ispirato dall'abbreviazione di zucchero nella letteratura
farmaceutica tedesca, che è 'ff'. Una singola dose di polvere di placebo
pesava 0,12-0,18g. Le polveri erano consegnate ai pazienti in piccoli
incarti o bustine senza etichetta e contrassegnati solo da un numero.
'Se il paziente volesse prendere tutti i giorni la medicina, l'omeopata potrebbe dargli tutti i giorni una dose di circa tre granuli di lattosio. Ogni dose andrebbe contrassegnata da un numero progressivo.9
Il paziente non sapeva, quindi, quali di queste dosi contenesse il rimedio omeopatico
e quali il lattosio. Hahnemann pensò anche a un sistema di
occultamento: mandare il paziente a comprare i rimedi presso una
farmacia del luogo, dove il farmacista avrebbe preparato e distribuito
rimedi omeopatici e placebo senza poter distinguere fra i due, in modo
da non influenzare il paziente.6
Un altro simbolo di placebo è un piccolo
zero (o) sotto la riga (per esempio: D38, 41, riga 32), che indica che
Hahnemann diede al paziente un globulo non medicinale. In alcuni casi lo
preparò e diede lui stesso, con un simbolo speciale di placebo, e
utilizzò un peso in once in uso nelle farmacie preceduto da numeri. Dopo
una prima sperimentazione con conchiglie d'ostrica triturate (conchae)
come placebo, all'inizio della sua pratica di medico omeopata, in
seguito Hahnemann usò quasi esclusivamente lattosio. A
questa sostanza la Materia Medica omeopatica (come pure la moderna
farmacologia!) non attribuisce alcun effetto medicinale. Hahnemann
continuò a somministrare conchae fino alla metà degli anni Venti del
1800; nel 1828 questa sostanza entrò a far parte della Materia Medica
(calcarea carbonica) come placebo, specialmente per i bambini.6 La figlia di 4 anni di un cocchiere, per esempio, nel 1822 ricevette 8 conchae. (Diario di casi clinici D 22, 412, riga 29).
In una nota a piè di pagina alla prima
edizione de Le malattie croniche, pubblicata nel 1828, Hahnemann spiegò
il perché della sua scelta finale del lattosio:
'Alcuni medici iperscrupolosi hanno espresso il timore che persino lo zucchero di latte, allo stato naturale o modificato da una lunga successione, possa avere effetti medicamentosi. Si tratta però di un timore vano e infondato, come ho potuto dimostrare in base a esperimenti molto precisi. Lo zucchero di latte può essere usato nell'alimentazione, anche in quantità rilevanti, senza che la salute sia minimamente compromessa; così pure lo zucchero sottoposto a succussione. Però, per dissipare gli infondati timori di questi ipocondriaci, secondo cui durante una succussione prolungata dello zucchero o durante la dinamizzazione dei rimedi si potrebbero staccare delle particelle di porcellana (Silicea) che conferirebbero allo zucchero un'efficacia medicamentosa, ho fatto il seguente esperimento. Ho preso un mortaio di porcellana nuovissimo e completamente raschiato, e con un pestello di porcellana nuovissimo ho fatto una succussione di cento grammi di puro zucchero di latte in parti di trentatré grammi ciascuna. Il lavoro con il pestello durava sei minuti, ripetuti diciotto volte: con la stessa frequenza grattavo il mortaio e il pestello con una spatola di porcellana. La succussione di tre ore avrebbe dovuto ricavare un potere medicinale dallo zucchero di latte o da silicea o da entrambi, ma il mio preparato è rimasto altrettanto privo di proprietà medicamentose quanto lo zucchero di latte puro usato nell'alimentazione. L'ho sperimentato infatti su soggetti ipersensibili'.10
All'inizio della sua carriera di
omeopata Hahnemann usò persino placebo colorati: 6 [once] 3 [scrupoli]
jjj rosso (Diario di casi clinici D16, 534, riga 35). Possiamo
ipotizzare che abbia usato succo di lampone, considerandolo non
specifico dal punto di vita farmacologico.11
Perché Hahnemann prescriveva il placebo
Nei primi anni della sua pratica medica,
Hahnemann si trovò di fronte al problema che il paziente era abituato a
prendere medicine tutti i giorni, come usava nella medicina ortodossa
di quel tempo, mentre in omeopatia era importante lasciare che i rimedi
sviluppassero fino in fondo la loro azione. In un saggio pubblicato
sull' Allgemeine Anzeiger der Deutschen nel 1814, Hahnemann diede ai
colleghi la seguente raccomandazione:
'Nel frattempo, prima di dare il secondo rimedio, si può placare la mente del paziente e il suo desiderio di medicinali con qualcosa di poco appariscente, come qualche cucchiaino al giorno di succo di lampone o zucchero di latte'.12
Nel suo libro sulle malattie croniche trattate con rimedi omeopatici, consigliò:
'Non si può sradicare in quattro e quattr'otto un vecchio pregiudizio, per quanto pernicioso esso sia. Il medico omeopatico, perciò, sarà spesso costretto a consentire al paziente di prendere ogni giorno una dose di Saccharum lactis. Tuttavia c'è una bella differenza rispetto alla gran quantità di rimedi prescritti dal medico allopatico. Se il paziente, abituato a essere intimidito dalla prosopopea della medicina ufficiale, si troverà a prendere ogni giorno una dose numerata progressivamente, si avranno grandi benefici psicologici. Il paziente non saprà infatti quale sia la dose attiva: se lo sapesse, la fantasia gli giocherebbe brutti scherzi ed egli potrebbe convincersi per autosuggestione di avvertire, in corrispondenza con l'assunzione del rimedio attivo, inesistenti sensazioni e modificazioni nel proprio organismo. Osserverebbe sintomi totalmente immaginari e vivrebbe in un continuo stato di inquietudine. Se invece prenderà una dose al giorno, ignorandone il contenuto, non noterà nulla di nuovo nella sua salute e sarà (come conferma l'esperienza) più tranquillo e imparziale, non si figurerà effetti nocivi e potrà quietamente rilevare le reali variazioni del suo stato di salute, riferendo così al medico solo la verità. Sarà quindi meglio per lui prendere ogni giorno la sua polverina ignorandone il contenuto: in questo modo, non avendo notato alcun effetto il giorno prima, non se ne aspetterà nessuno nemmeno il giorno seguente'.10
Il motivo principale della
somministrazione di placebo in Omeopatia fu quindi assecondare il
paziente impaziente abituato alla frequenza di somministrazione dei
farmaci allopatici, non solo giornaliera, ma a volte anche ogni ora.
Lo studio dei diari di casi clinici ha
rivelato che il fondatore dell'Omeopatia dava il placebo ai propri
pazienti anche nei casi in cui:
- non era sicuro di aver trovato il rimedio omeopatico giusto,
- il paziente gli sembrava così sensibile che voleva prima capire che reazione avrebbe avuto con il placebo,
- una donna iniziava ad avere le mestruazioni durante la terapia; allora Hahnemann interrompeva il verum e dava il placebo,
- un paziente era abituato a bere birra di odore molto forte e Hahnemann pensava potesse contenere ingredienti medicinali.
Alcuni esempi dei diari sono utili a illustrare l'approccio pragmatico di Hahnemann:
- Un paziente di nome Barthols: 'Bell[adonna] non ha ancora mostrato il pieno effetto. Quindi solo 14 o § e presto Calc R.' (Diario di casi clinici D38, 28, riga 44)
- Nel trattare un bambino Hahnemann notò: 'oggi ancora una volta 6§ [scrupoli] j per non affrettare, perché il bambino si sente comunque bene' (Diario di casi clinici D16, 312, riga 17/18)
- A un paziente di nome Werther, Hahnemann diede solo placebo perché aveva preso una medicina allopatica (tisana di erbe) appena prima essere andato da lui: 'questa mattina ha bevuto un infuso di viole, quindi solo 6§ [scrupoli] j'. (Diario di casi clinici D16, 415, riga 45)
- Riguardo a una paziente donna: 'Poiché le sono appena iniziate le mestruazioni, 6 [once] da curare di nuovo con il mesmerismo in futuro'. (Diario di casi clinici D16, 473, riga 14).
Inganno
Cosa pensava Hahnemann del fatto di
ingannare il paziente? Era perfettamente consapevole che i suoi pazienti
non dovevano sapere di ricevere un placebo. Persino lui usava la parola
'inganno', ma… il fine giustifica i mezzi:
'I pazienti che hanno una solida fiducia nell'onestà e nell'esperienza del proprio medico, non esiteranno ad accontentarsi di una dose di zucchero di latte ogni due, quattro o sette giorni, secondo i loro desideri. Questo ciclo di cura non minerà mai la fiducia che ripongono nel medico'.10
Nella visione del mondo di Hahnemann
condivisa da molti, anche da medici allopati fino ai nostri tempi, non
c'era spazio per gli scrupoli etici che i medici hanno oggi, quando si
chiedono se sono autorizzati legalmente e moralmente a dare a un
paziente un placebo senza dirglielo. Hahnemann era già cosciente – lo
dice lui stesso – che, perché il placebo fosse efficace, era necessario un saldo rapporto medico-paziente, fatto confermato da studi recenti sull'effetto placebo. 13,14
Hahnemann sapeva bene che non sempre
l'inganno funzionava. Uno dei suoi pazienti, lettore entusiasta dei suoi
scritti, aveva scoperto l'inganno ma gli era rimasto fedele:
'Ho preso regolarmente la polvere anche se sono consapevole che quel numero (figura illeggibile, RJ) è una medicina di quelle che lei ha descritto nei suoi libri meritevoli che ho esaminato a fondo'.
Discussione
Quello che salta all'occhio è la
rilevanza dell'uso intenzionale di placebo nella pratica omeopatica di
Hahnemann. La ragione principale era soddisfare le eccessive richieste
dei pazienti: Hahnemann non considerò mai il placebo come uno strumento terapeutico. In una lettera al suo allievo Ernst Stapf (1788-1860) affermò:
'Il medico omeopata che rifiuta di dare placebo [l'originale in tedesco dice Schein-Arznei, medicina finta, RJ] deve risolvere e dare solo il rimedio utile dove e quando richiesto'.16
Questa
affermazione è valida ancora oggi per tutti coloro che praticano
l'Omeopatia. Oggi distinguiamo fra placebo puri (sostanze senza alcun
effetto farmacologico, per esempio pillole di zucchero) e placebo impuri
(sostanze con effetti farmacologici ma non per il disturbo che viene
trattato). Alla fine del XVIII secolo, i medici che già prescrivevano
placebo ogni tanto usavano di solito farmaci non molto efficaci per il
caso specifico, per esempio un unguento blando.
Nello stesso periodo, poche menti
brillanti, come Samuel Hahnemann, ebbero l'idea geniale di usare
sostanze inerti. Un'alternativa al lattosio usato come placebo in
omeopatia furono le pillole di pane, che sembrano risalire agli anni
Ottanta del 1700. Un articolo pubblicato nel 1787 sulla rivista tedesca
Allgemeine Deutsche Bibliothek riferisce di un esperimento in cui il
medico diede alla sua paziente pillole all'apparenza piuttosto costose,
fatte di briciole di pane ricoperte di argento, al posto di un forte
purgante. La medicina fittizia ottenne lo stesso risultato. Dopo aver
detto alla paziente di cosa erano fatte le sue sedicenti pillole
purganti, la paziente le riprese ma da allora in poi non le fecero più
effetto.17
Conclusioni
Samuel Hahnemann, fondatore
dell'Omeopatia, non aveva dimestichezza con il termine 'placebo' usato
da William Cullen e altri medici inglesi suoi contemporanei per indicare
la prescrizione di 'qualcosa di non medicinale' per far piacere al
paziente. Conosceva però benissimo il fenomeno, come
possiamo vedere dai suoi scritti e descrizioni di casi clinici. Egli
faceva una netta distinzione fra farmaci omeopatici e sostanze
farmacologiche, che considerava alla stregua di medicine fittizie (per
esempio il lattosio). Un attento studio dei diari di casi clinici di
Hahnemann rivela che la percentuale di prescrizioni di placebo era molto
alta (fra il 54 e l'85 per cento).
Nella maggior parte dei casi egli
contrassegnava i placebo con il simbolo di paragrafo (§). Le cure mediche seguivano alcune regole:
le polveri medicinali erano somministrate consegnando al paziente
piccoli incarti o bustine senza etichetta e contrassegnate solo da un
numero. Il paziente, quindi, non sapeva quale delle confezioni conteneva
il rimedio omeopatico e quale solamente il lattosio. Hahnemann pensò
addirittura a un sistema di nascondere l'identità delle sostanze
facendole acquistare dal paziente presso una farmacia locale, dove
nemmeno il farmacista sapeva la differenza, per non influenzarlo.
Dopo i primi esperimenti con conchiglie
di ostrica triturate, Hahnemann si servì in seguito quasi esclusivamente
di lattosio. Esperimenti durati a lungo lo avevano convinto che lo
zucchero del latte fosse farmacologicamente inerte: era infatti una
sostanza di facile reperibilità che si poteva usare in grandi quantità a
scopo alimentare senza effetti collaterali.
All'inizio della sua pratica medica
Hahnemann si era trovato ad affrontare il problema dell'abitudine dei
suoi pazienti a prendere medicine tutti i giorni, come usava nella
medicina ortodossa di quel tempo. La ragione principale della
somministrazione di placebo fu quindi accontentare il paziente
impaziente avvezzo a frequenti assunzioni di medicine allopatiche, non
solo giornaliere ma talora anche orarie. Hahnemann era pienamente consapevole del fatto che i pazienti non dovessero sapere che assumevano un placebo.
Usava addirittura la parola 'inganno' per questo suo modo di fare.
Secondo la visione di Hahnemann condivisa da molti, anche da allopati di
quei tempi, non c'era posto per scrupoli di ordine morale come abbiamo
noi oggi, quando ci chiediamo se siamo autorizzati dal punto di vista
legale o morale a dare a un paziente un placebo senza dirglielo.
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Robert Jütte
Fonte: Il Medico Omeopata
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