venerdì 6 novembre 2015

Maestro e discepolo


Il mio insegnante, il mio maestro, il mio eroe,
il mio ideale, il mio Dio nella vita.”
(Vivekananda)

Molti ricercatori si augurano di incontrare un maestro che li possa aiutare a trovare la via della realizzazione. E questo è legittimo, perché il miglioramento è la massima aspirazione del ricercatore spirituale. Ma tutto si complica perché i veri maestri sono rari mentre i ciarlatani sono molto diffusi e più numerosi. La questione si complica anche nel caso che avvenga l’incontro auspicato così fortemente, poiché nessuno ci garantisce che il maestro sia adatto alle caratteristiche del discepolo.

Oppure accade che il discepolo non riconosca il maestro, come avvenne a Vivekananda quando incontrò Sri Ramakrishna di cui divenne il discepolo prediletto. Ramakrishna fu visto come un avatar divino perché aveva una natura pura, innocente e gioiosa come quella di un bambino. Era nato a Kamarpukur, nel Bengala, il 18 febbraio 1836 da una famiglia di bramini ridotti in povertà, perché il padre di Ramakrishna era stato privato di tutti i beni per non aver reso falsa testimonianza a favore del ricco signore locale.

Si narra che suo padre Khudiram era di tale rettitudine che fu visitato dagli dei. Si disse che mentre era in pellegrinaggio a Gaya dove c’è un tempio con l’impronta del piede di Vishnù, sognò il Signore che gli rivelò che stava rinascendo per salvare tutta l’umanità. La stessa notte, sua moglie Chandramani, sognò che era nel tempio di Shiva e che il Signore l’abbracciava, poi fu penetrata da una luce accecante che le fece perdere i sensi.

Al suo risveglio era incinta, perciò suo marito la ritrovò trasfigurata e che sentiva le voci, perché portava un dio in grembo. Il bambino si dimostrò di carattere gioioso e radioso, infatti era incantevole e sempre pronto a ridere e giocare. La sua natura eccezionale si mostrò verso i 6 anni quando si trovò a camminare nei campi per portare il pranzo a suo padre, e vide il volo di un gruppo di gru bianche che volavano nel cielo.

Il contrasto tra l’azzurro del cielo e il candore delle gru colpì profondamente la sua anima e travolse il suo spirito. Perse i sensi e cadde a terra. Venne soccorso e riportato a casa: era la prima volta che veniva rapito in estasi. Non sapeva ancora che era destinato a trascorrere in stato di estasi la metà della sua vita.

Ma, già dalla sua prima estasi, si rivelò l’impronta divina che permeava la sua anima. L’emozione della contemplazione della natura risvegliò l’estasi, perché l’arte e la bellezza lo fecero entrare in contatto con Dio. Nella sua vita, Ramakrishna sperimentò tutte le vie che potevano condurre al Divino. Praticò la via dell’amore per il proprio prossimo e la via della conoscenza, il dominio della mente e la pratica dell’azione retta e disinteressata, la compassione e la meditazione.

Era un analfabeta che conobbe e comprese ogni cosa, e la sua prima esperienza spirituale, avvenne con il rapimento dei sensi prodotto dall’estetica. I suoi biografi dicono che la sua via fu quella dell’Amore per Dio che è la via più pericolosa di tutte le vie. Ramakrishna nasceva dal popolo bengalese che è ricco di artisti e di poeti musici che traggono aspirazione da Chaitanya, l’Amante estatico del dio Krishna.

Ramakrishna era appassionato di musica e poesia, infatti - già a 8 anni - cantava, modellava immagini sacre con la creta e dirigeva un gruppo d’arte drammatica. Durante una recita cadde ancora in estasi e da allora le estasi furono sempre più frequenti. Ma i suoi genitori erano profondamente devoti e abituati agli dei che interpretarono le estasi del figlio come la dimostrazione di doti prodigiose.

Ramakrishna si dimostrò un artista nel modellare con la creta, aveva una voce armoniosa e cantava in modo divino. Aveva un’intelligenza precoce che gli permetteva di andare nelle conversazioni più colte, pur essendo un analfabeta. Era l'adoratore della Grande Madre, la dea Kalì, che fu l’Amata divina a cui restò fedele per tutta la vita.

All’inizio fu considerato un folle tanto che, molte volte acconsentì a sottoporsi a indagini e analisi mediche per far studiare il fenomeno dell’estasi in cui lui cadeva spesso. La cosa straordinaria era che non cadde in preda della follia, oppure che diventò il padrone della sua stessa follia.

Al tempo dell’incontro con il suo discepolo preferito, Sri Ramakrishna era già considerato un avatar divino. Vivekananda era nato il 12 gennaio 1863 nel giorno della festa di Makarasamkranti durante la quale milioni di indiani adorano il fiume Gange. Sua madre aveva una particolare adorazione per Shiva e invocava sempre le sue benedizioni.

Era una donna dall’aspetto regale che non tollerava nessuna mancanza di buone maniere. Ma aveva un cuore così generoso che era diventata la consolazione dei poveri ricevendone il rispetto e la stima di tutti quelli che la conoscevano. Lei stessa disse che prima di restare incinta di Vivekananda aveva sognato che il dio degli yogi si era destato dalla sua meditazione e che aveva accettato di rinascere come suo figlio. Si era svegliata felice, e quando era nato il suo bambino fu chiamato Narendra cioè “Signore degli uomini” o più affettuosamente Naren.

La famiglia Datta faceva parte della nobile casta dei guerrieri ed era nota per le sue ricchezze, per la filantropia, per l’erudizione e anche per l’anticonvenzionalismo dei suoi membri. Suo nonno aveva rinunciato a tutti i suoi beni, aveva preso la veste dei monaci erranti e non era più tornato. Suo padre era un famoso avvocato dell’Alta Corte di Calcutta, era appassionato di letteratura orientale e occidentale e, durante le cene con gli amici, recitava i passi della Bibbia e le poesie di Hafiz con la stessa disinvoltura.

Era attratto dalla cultura islamica e aveva familiarità con l’ambiente musulmano colto con cui aveva rapporti professionali. Era un agnostico, molto anticonvenzionale ma aveva un cuore così generoso e tollerante che lo spingeva a superare i suoi mezzi per aiutare i bisognosi. Naren era un ragazzo allegro e dolce ma anche un ragazzo irrequieto e testardo che era tenuto d’occhio da due balie a causa della sua esuberanza.

Era dispettoso perciò la madre gli infilava la testa sotto l’acqua fredda e invocava il dio Shiva chiedendogli di placarlo. Era tanto simile al nonno che la famiglia credeva che lui fosse la sua reincarnazione, infatti aveva una grande simpatia per i monaci erranti. Ebbe la sua prima formazione dalla madre che era una donna molto colta che gli insegnò l’alfabeto bengalese e l’inglese. La madre gli narrava le storie del Ramayana e del Mahabharata di cui conosceva interi brani a memoria.

Naren divenne devoto di Rama e della sposa Sita che adorò fin da ragazzo. In seguitò adorò Shiva, il dio della rinuncia e protettore degli yogi, ma mantenne l’amore per il Ramayana. Fin da ragazzo il futuro Vivekananda vedeva una luce risplendente al centro della fronte che lo ricompariva prima di addormentarsi. Lui stesso disse che mentre guardava la luce riusciva ad addormentarsi, e questo avveniva ogni giorno. Per molto tempo credette che tutti avessero questa visione prima di dormire.

Molti anni dopo, fu Ramakrishna che gli rivelò il mistero, poiché gli chiese se prima di dormire vedesse una luce. Quando Vivekananda rispose affermativamente, Ramakrishna gli rivelò che quella visione rivelava il suo grande passato spirituale e il suo talento naturale per la meditazione. Fin da bambino Vivekananda aveva l’abitudine di meditare e restare concentrato così da essere incosciente di tutto. Vivekananda rivelò una grande intelligenza, una prodigiosa memoria e l’anticonformismo di famiglia.

La sua personalità fu influenzata dall’intelligenza del padre e dalla bontà della madre. Venne educato nel modo migliore affinché fossero evidenziate le sue qualità innate. Una volta lui stesso disse, con orgoglio, che per qualsiasi conoscenza avesse acquisito era in debito con sua madre. Fin dalla prima infanzia fu occupato in giochi e in invenzioni di ogni tipo.

Era un ragazzo che non tollerava nessuna paura, odiava i pregiudizi e la superstizione e, inoltre, mostrava l’attitudine naturale a diventare il leader di ogni gruppo in cui fosse inserito. Nell’adolescenza cambiò carattere in modo totale e l’esuberanza fisica diventò irrequietezza mentale e iniziò a interessarsi di questioni intellettuali dicendo di voler diventare un monaco errante. Leggeva molti libri di storia e di letteratura e iniziò a frequentare gli ambienti più colti incoraggiato dal padre.

In questo periodo rivelò una genialità poliedrica che si espresse anche nella musica che fu la sua grande passione. Studiò la musica vocale e strumentale con i migliori maestri. Sapeva suonare molti strumenti e cantava in indi, in urdu e in persiano soprattutto eseguendo gli inni sacri con una voce incantevole. Aveva un innato talento di capire un testo scritto leggendone solo l’inizio e la fine dei vari paragrafi, e questo gli era sufficiente per conoscerlo in modo profondo.

Crescendo era diventato un giovane atletico, muscoloso e agile anche se aveva la tendenza a essere robusto. Al college ebbe una formazione occidentale, studiò la logica, si specializzò in filosofia e studiò la storia antica e moderna di molte nazioni europee mostrando la sua memoria prodigiosa. Fu allora che ebbe l’occasione di incontrare Ramakrishna, e quell’incontro fu la svolta della sua vita.

Aveva sentito parlare di Sri Ramakrishna dal suo insegnante di letteratura inglese che lo aveva citato per le sue estasi religiose. L’insegnante aveva detto che il fenomeno dell’estasi era molto raro perché dimostrava una profonda purezza e concentrazione. Quindi aveva citato Ramakrishna come esempio vivente e inspiegabile razionalmente di quel particolare modo di comunica con la Divinità.

Questo lo scosse profondamente perché il giovane Vivekananda era già entrato in una grande irrequietezza spirituale. Quando avvenne il loro primo incontro erano in casa di un devoto del maestro dove Vivekananda era stato invitato per cantare dei canti sacri. Ramakrishna fu colpito dalla sincera devozione del giovane e dopo avergli rivolto poche parole lo invitò a Dakshineswar.

Vivekananda accettò perché voleva capire se Ramakrishna era folle oppure se era l’uomo che poteva aiutarlo nella sua ricerca spirituale. Il grande maestro era già considerato una manifestazione divina e attirava uomini e donne di fede come se fosse un fiore che attira le api. Ma Ramakrishna non era mai soddisfatto perché paragonava tutti al latte annacquato senza sapore, e diceva che era stanco di incontrare solo della gente priva di sapore.

Gia dal loro primo incontro Ramakrishna lo riconobbe. Dopo averlo sentito cantare, Ramakrishna lo condusse nel portico della casa per parlargli in privato. Gli parlò con le lacrime agli occhi dichiarandosi felice perché finalmente era arrivato. Lo trattò come un vecchio amico ritrovato e lo rimproverò per aver tardato tanto ad arrivare, lasciandolo solo ad ascoltare le stupidaggini del mondo. Disse che era ansioso di vederlo e che finalmente era giunto l’unico essere che comprendeva le sue parole.

Poi rivelò che Vivekananda era l’antico Nara cioè l’incarnazione di Narayana, che era disceso sulla terra per eliminare tutte le miserie dell’uomo. Il razionale e scettico Vivekananda giudicò quelle parole come il frutto dei vaneggiamenti di un folle. Ramakrishna gli rese omaggio mettendogli in bocca dei dolci, perciò non gli permise di rifiutare l’invito di andarlo a trovare a Dakshineswar.

Quando rientrarono nel salone, Vivekananda restò ancora più stupefatto vedendo che Ramakrishna aveva assunto un atteggiamento normale e assennato. Tornando a casa pensò allo strano personaggio che aveva appena incontrato, ma sentiva una pace interiore che non conosceva. Il secondo incontro avvenne in modo ancora più sconcertante. Infatti, dopo pochi minuti che era entrato a casa del maestro, Ramakrishna gli si avvicinò con atteggiamento estatico, sussurrò alcune parole, lo fissò negli occhi e poi toccò il suo corpo con il piede.

Subito dopo il contatto, il giovane Vivekananda vide che il mondo svaniva, e si sentì sprofondare nel vuoto. Sentendosi sprofondare fu certo di essere vicino alla morte e gridò: “Cosa mi state facendo? A casa c’è la mia famiglia che mi aspetta!” Il maestro rise, lo massaggiò al petto e gli disse: “Stai tranquillo, va tutto bene. Ogni cosa verrà al momento giusto!”

Vivekananda restò sconvolto e fu certo che Ramakrishna gli aveva gettato un influsso ipnotico perciò si arrabbiò con se stesso per non aver saputo resistere al potere di un matto. Com’era stato possibile che lo avesse preso così alla sprovvista? Com’era potuto avvenire a uno come lui che aveva una volontà di ferro? La terza visita non andò meglio malgrado Vivekananda fosse sospettoso e rimanesse in guardia nei riguardi dello strano personaggio. Ramakrishna lo portò in giardino, lo toccò e Vivekananda cadde in trance e perse la conoscenza.

In seguito Ramakrishna gli rivelò che lo aveva mandato in trance per interrogarlo sulle sue vite passate, per conoscere la sua missione sulla terra e per sapere la durata della sua vita presente. Le sue risposte gli avevano confermato quello che lui aveva già intuito. Ramakrishna rivelò agli altri discepoli che Vivekananda aveva raggiunto la perfezione ancor prima della sua incarnazione attuale e che era un grande adepto della meditazione.

Disse pure che, il giorno in cui Vivekananda avrebbe scoperto chi era realmente avrebbe voluto lasciare la terra. In molte occasioni disse che Vivekananda era uno dei sette sacri rishi che vivono nel regno dell’Assoluto e narrò una visione che rivelava la grandezza del suo discepolo preferito. Rivelò che, un giorno, mentre era immerso nel samadhi, aveva visto che la sua mente saliva oltre la sfera del sole e della luna e arrivava nel mondo degli dei.

Poi continuò a salire e oltrepassò anche il mondo degli dei finché giunse nel regno del Trascendente. In quel regno, egli vide i sette sacri rishi immersi in meditazione e pensò che coloro avevano superato anche il livello degli dei. Mentre ammirava i saggi risplendenti di sublime spiritualità vide che una parte dell’Assoluto si materializzava e assumeva l’aspetto di un bambino divino. Il bambino sfiorò il collo di uno dei sette saggi con le sue tenere mani e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.

Al tocco gentile del bambino, il saggio si distolse dalla meditazione e lo fissò. Allora il bambino divino gli chiese con gioia: “Io sto scendendo sulla terra. Vuoi venire con me?” Il saggio sorrise e acconsentì poi tornò a immergersi nell’estasi profonda della meditazione. Ramakrishna vide che una piccola parte del saggio scendeva sulla terra ed entrava nella casa dei genitori di Vivekananda.

Perciò quando aveva incontrato Vivekenanda aveva capito che era l’incarnazione del saggio, e aveva capito che lui stesso, Ramakrishna, era il bambino divino che aveva risvegliato il sacro rishi e che gli aveva chiesto di scendere insieme sulla terra. Vivekananda non lo aveva riconosciuto ma, da quando lo aveva incontrato, non riusciva a stare lontano da Ramakrishna.

Esteriormente, il maestro e il discepolo non potevano sembrare più diversi, perché Ramakrishna non era attratto dalla modernità mentre Vivekananda era il simbolo della mente moderna. Vivekananda era uno spirito curioso e vivace, un giovane intellettuale ricco e colto, ma era anche uno scettico razionalista. La sua mente era aperta, ma si rifiutava di accogliere quello che non aveva una spiegazione logica. Non aveva nessuna necessità di avere la guida di un maestro, e non tollerava nessuna interferenza tra lui e Dio.

Vivekananda ridicolizzava le divinità di Ramakrishna, compresa la Dea Kalì, la Grande Madre Divina che il maestro adorava perché le considerava tutte superstizioni o allucinazioni. Vivekananda osservò per 5 anni il suo futuro maestro prima di accettarlo come tale e mise sempre alla prova tutte le sue affermazioni. Accettarlo come maestro e come ideale spirituale gli costò molta fatica. Ma quando avvenne, Ramakrishna ottenne il seguace più devoto e fedele che non lo abbandonò fino alla morte.

Ramakrishna fu molto felice di aver trovato un discepolo che lo accettava solo dopo aver riflettuto e accettato le sue parole. Fu felice di essere osservato con occhio critico dal discepolo, e lo amò perché Vivekananada non gli obbedì mai per soggezione. Ramakrishna non gli chiese mai di rinunciare alla sua libertà mentale e affrontò la sfida dell’intelligenza di Vivekananda con pazienza infinita. Fu così che potè domare un carattere fiero, nobile e ribelle.

In cambio, ebbe il migliore seguace che un maestro può augurarsi di trovare. La presenza di Vivekananda era sufficiente per renderlo felice e, ai discepoli che cercavano di denigrarlo per gelosia, rispondeva che non lo dovevano mai criticare perché Vivekananda era perfetto ancora prima di nascere. Vivekananda ricambiava il suo amore, perché in Ramakrishna vedeva l’incarnazione dello Spirito Divino che non poteva essere contaminato dalla sporcizia del mondo.

Inizialmente, Vivekananda era imbarazzato per l’adorazione che Ramakrishna mostrava nei suoi riguardi e criticava la sua parzialità. Ramakrishna rispondeva che non poteva fare a meno di amarlo e Vivekananda ribatteva che non voleva far parte delle sue fantasie e delle sue allucinazioni. Malgrado tutto Vivekananda non riusciva a fare a meno di andare a trovare Ramakrishna ammettendo che “il Vecchio” lo aveva reso prigioniero con il suo amore. E anche quando ammise la devozione e l’amore infinito che provava per il maestro, per molto tempo continuò a criticava la devozione di Ramakrishna per la dea Kalì.

Il segreto dello strano rapporto tra discepolo e maestro era il fatto che Ramakrishna non pretese mai che Vivekananda rinunciasse alla sua libertà. Ogni volta che il discepolo lo metteva alla prova e qualcuno faceva notare che Vivekananda non aveva un atteggiamento rispettoso, lui rispondeva che lo amava perché non credeva a nulla di cui non fosse convinto. Anche il maestro metteva alla prova il suo giovane discepolo infatti, una volta, lo trascurò volutamente per più di un mese. Poi gli chiese perché si ostinasse a tornare sebbene non gli rivolgesse più la parola.

Vivekananda rispose che non gli interessava che gli parlasse. Lui lo amava, perciò gli bastava solo di vederlo per essere felice. Ramakrishna lo abbracciò tutto felice e gli confessò che aveva fatto un grande sacrificio a ignorarlo e sembrare indifferente, ma voleva metterlo alla prova. Quando Ramakrishna gli disse che voleva trasmettergli i suoi poteri spirituali, Vivekananda rispose che non li voleva perché temeva di usarli per scopi egoistici.

La mente di Vivekananda era stata forgiata a pensare in maniera nobile perciò li accettò solo quando vi fu costretto. Ma volle chiarire che prendeva i poteri del maestro solo per aiutare i deboli, i poveri e gli ultimi della terra. Vivekananda ebbe l’insegnamento di Ramakrishna solo per 6 anni, ma andò da lui ogni volta che aveva difficoltà. Quando il maestro si ammalò di cancro Vivekananda non lo lasciò mai e lo accudì con affetto insieme agli altri discepoli fino alla morte.

Era stato il discepolo che lo aveva compreso meglio e che lo aveva seguito più fedelmente, ma non aveva rinunciato mai al diritto di metterlo alla prova. Anche mentre lo vedeva morire dubitò che fosse stato un vero avatar. Ramakrishna era stremato dal cancro alla gola che gli impediva di mangiare e parlare, ma trovò la forza di dirgli:

“Ancora non sei persuaso? Colui che visse come Rama e visse come Krishna, ha vissuto in questo corpo come Ramakrishna, anche se questo non è comodo per il Vedanta.” Lui non aveva fatto la domanda ma Ramakrishna aveva risposto al suo pensiero. Una settimana dopo la sua morte, Vivekananda passeggiava con un condiscepolo quando Ramakrishna gli apparve rivestito del suo luminoso corpo di gloria. Lo videro e mentre stavano per chiamare gli altri monaci, la figura luminosa di Ramakrishna scomparve.

Buona erranza
Sharatan

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