C’era
un sovrano che, un giorno, chiamò a corte un derviscio che dicevano
essere un grande maestro e gli disse: “La Via dei Dervisci è ricca di
saggi e di grandi maestri che formano una catena di saggezza che risale
indietro, nel tempo, ai primi momenti in cui l’uomo è comparso sulla
terra. Questa catena di saggezza ha sempre tenuto accesa la Luce del
principio dinamico dei veri valori davanti al quale anche il più grande
sovrano della terra non sembra altro che misera polvere.” Il derviscio
ammise laconico: “Ciò che dite è certamente vero.”
Il
sovrano continuò: “Come vedi sono abbastanza illuminato per capire il
vero senso di ciò che ti dico. Sono molto desideroso di conoscere e sono
molto impaziente di conoscere la verità che puoi offrirmi. Dunque,
insegnami!” Il derviscio gli chiese: “Mi stai forse dando un ordine
oppure mi sta facendo una semplice richiesta?” Il re rispose: “Vedi la
cosa come credi meglio, perché se lo credi un ordine e mi insegni, io
imparerò. Ma io imparerò anche se mi insegni perché credi che ti abbia
fatto una richiesta a cui non conviene disobbedire.”
Dopo
aver detto questo, il re aspettò che il derviscio rispondesse. Ma
l'uomo tacque per qualche minuto poi uscì dalla sua contemplazione e
disse: “Dovete aspettare il ‘momento di trasmissione’ e poi potrete
imparare.” Il sovrano fu stupito della strana risposta, ma aveva un
forte desiderio di sapere perciò sentiva di avere il diritto di ottenere
ciò che desiderava. Valutò che poteva aspettare per avere quel sapere,
anche se quelle pratiche gli fossero costate molta pazienza.
Ma
il re non ebbe il tempo di chiedere nulla perché il derviscio era
andato via. Da quel momento il derviscio si recò a corte ogni giorno e
si affiancò al re nel disbrigo delle attività di governo. Il re sbrigava
gli affari di stato perché il regno affrontava momenti felici e momenti
più problematici ma tutto andava come era sempre andato cioè con alti e
bassi. I suoi consiglieri facevano la loro parte e gli davano consigli,
perciò la ruota del destino girava come era sempre girata.
Così
passarono dei mesi e il re era curioso di capire che cosa stava
aspettando il derviscio. Il re osservava la sua figura avvolta nel
misero mantello rattoppato e lo vedeva spiccare nel gruppo dei suoi
consiglieri, e si chiedeva: “Che strano uomo, non ha più alluso alla
conversazione che avemmo all’inizio. Non mi parla mai dell’insegnamento
che gli ho chiesto, ma partecipa a tutte le attività della corte: parla,
ride e mangia con me e mi osserva in tutto quello che faccio. Tranne
quando dormo oppure quando dorme lui, stiamo sempre insieme. Cosa vuole?
Quale segno si aspetta?”
Ma
per quanto ci riflettesse, il re non riusciva a capire il derviscio.
Poi venne il momento in cui l’onda dell’invisibile diventò possibile,
infatti ci fu una conversazione a corte e qualcuno disse che Daud di
Sahil era certamente il più grande cantante del mondo. Il re che non si
era mai interessato di quel genere di intrattenimenti ascoltò con
interesse quello che dicevano. Sentì un grande desiderio di ascoltare
quella meraviglia e ordinò: “Che lo si conduca a corte! Lo voglio
ascoltare.”
Il
maestro di cerimonie fu inviato a casa del cantante per invitarlo a
corte, ma Daud gli disse: “Vedo che il re non è un esperto di canto. Se
vuole vedermi posso venire a corte, ma se vuole ascoltarmi deve
aspettare che io abbia l’umore giusto per cantare.” Al maestro di
cerimonie non restò che tornare a riferire al sovrano il diniego che
aveva ricevuto. Il re si infuriò, ma era combattuto e si sentiva diviso
tra l’ira e la curiosità perciò disse:
“Non
esiste qualcuno che possa convincere quest’uomo a farmi ascoltare il
suo canto? Perché non posso ascoltare il suo canto quando ho voglia di
ascoltarlo io e devo invece aspettare che lui abbia voglia di cantare?”
Come a rispondere a quel dire, il derviscio si fece avanti e disse al
re: “O pavone del nostro tempo, vuoi venire ad ascoltare il grande
cantante? Andiamo insieme ad ascoltarlo.”
A
quelle parole imprudenti i cortigiani si diedero di gomito e risero
malignamente di nascosto. Erano gelosi della posizione di privilegio di
cui godeva il derviscio che era molto vicino al re. Pensarono che il
derviscio avesse studiato un trucco per convincere Daud, l’Usignolo di
Sahil, a cantare davanti al suo re. Se il piano del derviscio fosse
riuscito, il maestro avrebbe avuto una ricca ricompensa e avrebbe
ottenuto ancora più potere. Ma pensavano a tutto questo senza avere il
coraggio di dire nulla apertamente, perché temevano di essere coinvolti
nel suo fallimento.
Il
re accettò di seguire il derviscio e ordinò che fosse portato un abito
misero per nascondere la sua identità. Dopo averlo indossato, il re
travestito lo seguì per la strada, finché giunsero alla casa del grande
cantante. Quando bussarono alla sua porta, fu lo stesso Daud che rispose
e disse adirato: “Andatevene via! Oggi non sono dell’umore giusto per
cantare, lasciatemi in pace!”
Ma
il derviscio non aveva la minima intenzione di obbedirgli, infatti si
mise seduto davanti alla sua porta e cominciò a cantare. Iniziò a
cantare la canzone preferita da Daud, la canzone che egli amava
maggiormente e che l’aveva reso famoso perché la cantava divinamente. E
il derviscio intonò la melodia e la eseguì interamente. Il re non era un
grande intenditore di musica, ma era commosso dalla musica. Il
derviscio aveva una voce soave che lo rapì, ma il re non si accorse che
il derviscio stonava volontariamente per suscitare nel cantante il
desiderio di correggerlo.
Il
re era estasiato e quando il canto tacque, implorò: “Ti prego, non
smettere derviscio, canta! Cantala ancora, perché non ho mai sentito una
musica più bella.” Ma mentre lo diceva, Daud iniziò a cantare e fino
dalle prime note fu chiaro perché lo chiamavano l’Usignolo di Sahil.
Fino dalle prime note, la voce di Daud stregò il derviscio e il sovrano
che furono impietriti e rapiti dalla voce che eseguiva la canzone con
un’intonazione perfetta che il derviscio aveva voluto stonare di
proposito.
Quando
l'uomo finì di cantare, il re si fece riconoscere e gli fece un regalo
sontuoso degno di un re. Poi il sovrano disse al derviscio: “Tu sei un
uomo di enorme saggezza. Lo comprendo solo dopo avere visto il modo con
cui hai convinto l’Usignolo a cantare. Vorrei che tu restassi a corte
come mio consigliere.” Il derviscio gli rispose: “Vostra Maestà, voi
potete ascoltare il canto che volete ascoltare solo se esistono le
giuste condizioni per farlo. Potete ascoltare solo se esiste il
cantante, solo se è presente chi vuole ascoltare, e se c’è chi fa da
canale e consente al canto di sgorgare.
Quello
che vale per un cantante vale anche per un sovrano, perciò vale anche
per i dervisci e per i loro allievi. Ora Vostra Maestà è pronta per
imparare.” Questa storia mette in evidenza una teoria che è conforme
agli insegnamenti dei maestri sufi. Essi affermano che si può avere la
possibilità di perseguire l’insegnamento ma solo se si esistono tutte e
tre le condizioni che sono necessarie per conseguirlo, cioè se esiste il
tempo, il luogo e le persone giuste.
Buona erranza
Sharatan
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