Essere sulla stessa lunghezza d’onda… nel vero senso della parola!
C’è poco da fare: la rivoluzione inaugurata dalla meccanica quantistica
ha dato il via ad una serie di nuovi paradigmi sulla coscienza, sulla
vita e sul significato della realtà ormai fuori dal “controllo”
deterministico della scienza. I confini dell’oggettivo rigoroso a tutti i
costi sono ormai valicati, molti non ne possono più di accontentarsi
del metodo newtoniano e iniziano a ragionare su frequenze decisamente
impensabili fino a pochi anni fa. Grazie a questa ondata di scienziati
che sfilano a braccetto di mistici di ogni tradizione, siamo stati
sollecitati a porci alcune domande fondamentali e, non trovando
risposta, a cercare riparo nelle filosofie che non rinnegano la scienza,
o nelle scienze che non rinnegano la filosofia. Insomma, molte cose
stanno cambiando, tra cui la concezione di unione-separazione e di
realtà spazio-temporale.
La non località ha già disturbato il sonno di molti di noi, e l’esperimento di Alain Aspect
non ha certo facilitato le cose: nel 1982 Aspect ha dimostrato che due
particelle generate dallo stesso sistema, staccate e posizionate in
posti lontani nello spazio, si comportano allo stesso modo
durante le sollecitazioni su una sola di loro, come se non fossero
minimamente staccate e lontane e come se appartenessero ancora allo
stesso corpo primigenio.
Bene, ma tutto questo ha a che fare con
la fisica microscopica, con le particelle, noi che ruolo abbiamo in
tutto questo? Inoltre abbiamo già parecchie difficoltà a comunicare nel
mondo macroscopico e grossolano, figuriamoci a livello sottile e
vibrazionale! Come dar torto a tali considerazioni… eppure la questione
sembra interessante: possono due individui comunicare “istantaneamente”? possono essere riscontrati dei mutamenti simultanei
tra coscienze appartenenti a persone diverse? e a quali condizioni? In
definitiva, esiste la remota possibilità che la scienza ci aiuti a
capire che non siamo affatto separati, a qualche livello, come invece il
nostro retaggio culturale ci inculca da secoli?
Pare di si. Il primo esperimento che ha
testato scientificamente la non località tra coscienze (e quindi sulla
base di vere e proprie sperimentazioni) è piuttosto anzianotto (ma
ancora molto vivace): risale al 1994 ed era stato condotto – prima della
sua misteriosa scomparsa – da Jacobo Grinberg-Zylberbaum
e collaboratori all’Università del Messico (si tratta del seguente
scritto: Grinberg-Zulberbaum J, Delaflor J, Attie L, Goswami L., “The
Einstein-Podolsky-Rosen paradox in the brain: The transferred potential”, Physics Essays 1994, 7(4), 422-428).
A due persone è stato chiesto di meditare
insieme alimentando l’intenzione di comunicare direttamente, e quindi
senza l’ausilio di segnali ed in modo non locale. Dopo venti minuti, pur
continuando a conservare la medesima intenzione, sono state separate e
condotte in due diverse gabbie di Faraday (camere in
grado di isolare l’ambiente interno da un qualunque campo
elettrostatico presente all’esterno), mentre il loro cervello veniva
costantemente monitorato da un elettroencefalogramma.
Al primo soggetto vennero mostrati una
serie di flash di luce, che naturalmente ebbero una risonanza sul suo
cervello immediatamente rilevata dall’EEG. Venne estratto dal grafico un
“potenziale evocato” (ovvero la reazione elettrica
cerebrale corrispondente allo stimolo sensitivo) grazie al filtraggio
delle onde registrate dall’EEG.
Ebbene: lo stesso potenziale evocato
venne ritrovato nel tracciato del secondo soggetto, come visibile nella
figura sottostante [1].
Le differenze riscontrate nell’EEG con il gruppo di controllo (e quindi tra coloro che non avevano meditato insieme o che non avevano mantenuto la stessa intenzione), sono significative:
In definitiva, l’esperimento di Grinberg-Zylberbaum dimostra la possibilità di una comunicazione non locale tra individui
non riconducibile all’azione a distanza elettromagnetica. Lo stesso
esperimento è stato replicato diverse volte, innanzi tutto dal
neuropsichiatra Peter Fenwick a Londra (nel 2001), poi da Jiri Wackermann nel 2003 e nuovamente dalla ricercatrice della Bastyr University Leana Standish nel 2004.
La conclusione a cui giungono questi
esperimenti è piuttosto chiara: le nostre menti, quando viaggiano sulla
stessa “lunghezza d’onda” mantenendo la stessa intenzione, si muovono all’unisono, come appartenenti allo stesso organismo.
In tutto questo, sembra che ci siano delle condizioni che favoriscano tale risonanza: alcuni studiosi dell’Università di Edimburgo
studiarono e confrontarono gli EEG di coppie unite da un legame
sentimentale, di coppie di estranei e di persone che non avevano alcun
partner ma che pensavano di essere accoppiate e che le loro
onde cerebrali fossero confrontate.
Tutti quelli che erano stati accoppiati, indipendentemente dal conoscere o meno il proprio partner, mostrarono un aumento delle onde cerebrali in sincronia.
Gli unici partecipanti a non mostrare questo effetto furono quelli che
non avevano alcun partner (Kittenis M et al.,
“Distant psycophysiological interaction effects between related and
unrelated participants”, Proceedings of the Parapsycologichal
Association Convention, 2004: 67–769).
Anche l’ormai arcinoto Dean Radin effettuò una variazione di questo esperimento collegando coppie con legami stretti – coppie, amici, genitori e figli (si veda Lynne McTaggart, La scienza dell’intenzione, Macroedizioni, 2008). In un numero significativo di esempi, gli EEG dei mittenti e dei riceventi apparivano sincronizzati.
Secondo Marilyn Schlitz,
vicepresidente per la ricerca e la cultura presso l’Institute of Noetic
Sciences in California, gli altri componenti chiave della comunicazione
non locale sono la motivazione e la convinzione che tale comunicazione possa effettivamente avvenire (in Lynne McTaggart, ibidem).
Insomma, questi inquietantissimi studi
inseriti in una società in cui abbiamo imparato (oggi più che mai) a
isolarci e combattere l’uno contro l’altro, sembrano suggerire alcune
importanti riflessioni, tra le quali una che – anche stanotte – ci terrà
svegli: e se le guerre in cui ci impegniamo ogni giorno, le stessimo
combattendo contro noi stessi?
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[1] Le immagini sono tratte da Amit Goswami, How Quantum Activism Can Save Civilization: A Few People Can Change Human Evolution, Hampton Roads Publishing, 2011.
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