martedì 26 gennaio 2016

Essere sulla stessa lunghezza d’onda… nel vero senso della parola!

 
C’è poco da fare: la rivoluzione inaugurata dalla meccanica quantistica ha dato il via ad una serie di nuovi paradigmi sulla coscienza, sulla vita e sul significato della realtà ormai fuori dal “controllo” deterministico della scienza. I confini dell’oggettivo rigoroso a tutti i costi sono ormai valicati, molti non ne possono più di accontentarsi del metodo newtoniano e iniziano a ragionare su frequenze decisamente impensabili fino a pochi anni fa. Grazie a questa ondata di scienziati che sfilano a braccetto di mistici di ogni tradizione, siamo stati sollecitati a porci alcune domande fondamentali e, non trovando risposta, a cercare riparo nelle filosofie che non rinnegano la scienza, o nelle scienze che non rinnegano la filosofia. Insomma, molte cose stanno cambiando, tra cui la concezione di unione-separazione e di realtà spazio-temporale.
La non località ha già disturbato il sonno di molti di noi, e l’esperimento di Alain Aspect non ha certo facilitato le cose: nel 1982 Aspect ha dimostrato che due particelle generate dallo stesso sistema, staccate e posizionate in posti lontani nello spazio, si comportano allo stesso modo durante le sollecitazioni su una sola di loro, come se non fossero minimamente staccate e lontane e come se appartenessero ancora allo stesso corpo primigenio. 
Bene, ma tutto questo ha a che fare con la fisica microscopica, con le particelle, noi che ruolo abbiamo in tutto questo? Inoltre abbiamo già parecchie difficoltà a comunicare nel mondo macroscopico e grossolano, figuriamoci a livello sottile e vibrazionale! Come dar torto a tali considerazioni… eppure la questione sembra interessante: possono due individui comunicare “istantaneamente”? possono essere riscontrati dei mutamenti simultanei tra coscienze appartenenti a persone diverse? e a quali condizioni? In definitiva, esiste la remota possibilità che la scienza ci aiuti a capire che non siamo affatto separati, a qualche livello, come invece il nostro retaggio culturale ci inculca da secoli?
Pare di si. Il primo esperimento che ha testato scientificamente la non località tra coscienze (e quindi sulla base di vere e proprie sperimentazioni) è piuttosto anzianotto (ma ancora molto vivace): risale al 1994 ed era stato condotto – prima della sua misteriosa scomparsa – da Jacobo Grinberg-Zylberbaum e collaboratori all’Università del Messico (si tratta del seguente scritto: Grinberg-Zulberbaum J, Delaflor J, Attie L, Goswami L., “The Einstein-Podolsky-Rosen paradox in the brain: The transferred potential”, Physics Essays 1994, 7(4), 422-428).
A due persone è stato chiesto di meditare insieme alimentando l’intenzione di comunicare direttamente, e quindi senza l’ausilio di segnali ed in modo non locale. Dopo venti minuti, pur continuando a conservare la medesima intenzione, sono state separate e condotte in due diverse gabbie di Faraday (camere in grado di isolare l’ambiente interno da un qualunque campo elettrostatico presente all’esterno), mentre il loro cervello veniva costantemente monitorato da un elettroencefalogramma.
Al primo soggetto vennero mostrati una serie di flash di luce, che naturalmente ebbero una risonanza sul suo cervello immediatamente rilevata dall’EEG. Venne estratto dal grafico un “potenziale evocato” (ovvero la reazione elettrica cerebrale corrispondente allo stimolo sensitivo) grazie al filtraggio delle onde registrate dall’EEG.
Ebbene: lo stesso potenziale evocato venne ritrovato nel tracciato del secondo soggetto, come visibile nella figura sottostante [1].
Le differenze riscontrate nell’EEG con il gruppo di controllo (e quindi tra coloro che non avevano meditato insieme o che non avevano mantenuto la stessa intenzione), sono significative:
In definitiva, l’esperimento di Grinberg-Zylberbaum dimostra la possibilità di una comunicazione non locale tra individui non riconducibile all’azione a distanza elettromagnetica. Lo stesso esperimento è stato replicato diverse volte, innanzi tutto dal neuropsichiatra Peter Fenwick a Londra (nel 2001), poi da Jiri Wackermann nel 2003 e nuovamente dalla ricercatrice della Bastyr University Leana Standish nel 2004.
La conclusione a cui giungono questi esperimenti è piuttosto chiara: le nostre menti, quando viaggiano sulla stessa “lunghezza d’onda” mantenendo la stessa intenzione, si muovono all’unisono, come appartenenti allo stesso organismo.
In tutto questo, sembra che ci siano delle condizioni che favoriscano tale risonanza: alcuni studiosi dell’Università di Edimburgo studiarono e confrontarono gli EEG di coppie unite da un legame sentimentale, di coppie di estranei e di persone che non avevano alcun partner ma che pensavano di essere accoppiate e che le loro onde cerebrali fossero confrontate.
Tutti quelli che erano stati accoppiati, indipendentemente dal conoscere o meno il proprio partner, mostrarono un aumento delle onde cerebrali in sincronia. Gli unici partecipanti a non mostrare questo effetto furono quelli che non avevano alcun partner (Kittenis M et al., “Distant psycophysiological interaction effects between related and unrelated participants”, Proceedings of the Parapsycologichal Association Convention, 2004: 67–769).
Anche l’ormai arcinoto Dean Radin effettuò una variazione di questo esperimento collegando coppie con legami stretti – coppie, amici, genitori e figli (si veda Lynne McTaggart, La scienza dell’intenzione, Macroedizioni, 2008). In un numero significativo di esempi, gli EEG dei mittenti e dei riceventi apparivano sincronizzati.
Secondo Marilyn Schlitz, vicepresidente per la ricerca e la cultura presso l’Institute of Noetic Sciences in California, gli altri componenti chiave della comunicazione non locale sono la motivazione e la convinzione che tale comunicazione possa effettivamente avvenire (in Lynne McTaggart, ibidem).
Insomma, questi inquietantissimi studi inseriti in una società in cui abbiamo imparato (oggi più che mai) a isolarci e combattere l’uno contro l’altro, sembrano suggerire alcune importanti riflessioni, tra le quali una che – anche stanotte – ci terrà svegli: e se le guerre in cui ci impegniamo ogni giorno, le stessimo combattendo contro noi stessi?
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[1] Le immagini sono tratte da Amit Goswami, How Quantum Activism Can Save Civilization: A Few People Can Change Human Evolution, Hampton Roads Publishing, 2011.
 
fonte: https://spaziomente.wordpress.com/2012/03/11/essere-sulla-stessa-lunghezza-donda-nel-vero-senso-della-parola/

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