martedì 26 gennaio 2016

Karim, il combattente italiano in prima fila contro il Daesh

 
Tutti parlano del Daesh, ma in pochi hanno visto con i propri occhi i fatidici jihadisti. Karim Franceschi, un ragazzo italiano, ha combattuto in prima fila assieme ai curdi di Kobane contro i terroristi del Daesh.

"Il combattente" è il libro che descrive la resistenza di Kobane sotto assedio che Karim ha vissuto personalmente nello YPG, l'unità di protezione popolare curda. Che cos'ha visto Karim in questa guerra? 

L'efficiente gruppo ceceno del Daesh che attaccava Kobane, i bambini-soldato curdi che lottavano per resistere ai terroristi, il ruolo della Turchia, che
"faceva entrare dal suo territorio intere colonne di Toyota dell'ISIS con tanto di bandiera".
 
Karim Franceschi ha raccontato a Sputnik Italia la sua storia di combattente a Kobane, una testimonianza preziosa di una guerra ancora da capire fino in fondo.
— Quando hai preso la decisione di unirti ai curdi di Kobane, ti ricordi quel momento?
— Ero andato lì a portare gli aiuti umanitari nell'ottobre 2014. Dormivo in un villaggio a 2 chilometri da Kobane e visitavo i campi profughi a Suruc, a 7 chilometri. Il cantone di Kobane contava 300 mila abitanti, la città 80 mila. Tre quarti della città furono catturati, tutto il cantone con 350 villaggi. I profughi scapparono verso il confine turco. Quando stavo lì raccoglievo testimonianze, portavo medicinali, vedevo i bambini-soldato che mi raccontavano che cosa accadde quando erano intrappollati a Kobane. In qualche modo dissi a me stesso che sono comunista e come potevo lasciare questi bambini combattere mentre io portavo i medicinali? Sentivo che dovevo fare qualcosa di più. I racconti che mi fecero i profughi mi ricordarono i racconti di mio padre e dei partigiani, che hanno combattuto in Italia nella II Guerra Mondiale. Parlo di quei sorrisi, quegli stessi modi di fare, quel mantenere la propria umanità anche nella guerra. Io sono cresciuto con i valori della resistenza.
Dormivo in questo villaggio a 2 chilometri dalla città, vedevo le esplosioni di notte, proiettili traccianti. Ho capito che dovevo andare lì a difendere quei valori, era quello il mio posto. 

— Perché hai deciso di srivere questo libro, qual è il suo messaggio principale?
— L'ho scritto in forma di libro d'avventura. Volevo raggiungere il più vasto pubblico possibile, volevo raccontare di questa eroica resistenza di Kobane. Volevo in qualche maniera raggiungere anche i miei coetanei.
Il secondo motivo è che volevo aiutare con questo libro la causa del Rojava, del confederalismo democratico. Parte dei miei proventi andrà alla ricostruzione di Kobane. Un aspetto molto importante di questo progetto è quello della ricostruzione. A Kobane ci fu la più grande sconfitta dell'ISIS, ma fu pagata cara dai curdi, perché la città è completamente distrutta. È tuttora distrutta e ci sono famiglie dei martiri, che hanno avuto fratelli, padri e figli morti e oggi hanno la casa senza tetto e senza muri. Adesso nevica a Kobane, nevica nel loro salotto. Una parte del progetto si basa sulla ricostruzione delle case dei martiri. Molti di questi martiri erano amici miei, vorrei aiutare le loro famiglie.
Presidente turco Recep Tayyip Erdogan

— Tutti parlano dell'ISIS (Daesh), in pochi l'hanno visto con i propri occhi. Tu hai combattuto in prima fila il Daesh a fianco con i curdi. Che cosa ti ha impressionato di più in questi mesi di battaglia a Kobane?
— Non sono l'unico italiano, anche adesso ci sono altri combattenti italiani e di altre nazionalità: canadesi, americani. Assieme allo YPJ e lo YPG, unità di protezione popolare, compreso quello delle donne, i volontari si uniscono e entrano nel Rojava e partecipano alla campagna contro l'ISIS. Quando ho combattuto io c'era una decina di combattenti internazionali nel Rojava dalla parte di Qamishlo, a Kobane non c'era nessuno, eravamo solo in due sul fronte, io e un americano. La situazione era tragica, mancavano forze, eravamo circondati, eravamo inferiori numericamente 10 a 1. Loro avevano i Bmp, i carri armati, 50 corazzati. Non avevamo nulla per distruggerli, avevano preso ¾ della città, il confine turco era chiuso, la Turchia controllava il confine, non faceva passare i rinforzi e gli aiuti umanitari. La resistenza teneva ¼ della città, Mishtanour era presa dall'ISIS, parlo della collina più strategica. Quando sono entrato, era di notte, superando il filo spinato. Poi sono seguiti 4 giorni di addestramento in una piccola stradina di 50 metri, dove tutte le reclute erano assolutamente inadeguate, erano dei ragazzini.
L'ISIS sul fronte aveva mandato la loro corazzata cecena, hanno tanti gruppi al loro interno. Il mondo jihadista è pieno di gruppi come Al-nusra e Ansar Al Sharia. Anche nell'ISIS ci sono tanti gruppi, il gruppo che ci hanno mandato era quello più efficiente, il gruppo dei ceceni. Avevano 50 Bmp e i carri armati. Avevano anche i cecchini con armi di ultima generazione. I loro cecchini hanno fatto più danni dei carri armati. I carri armati non riuscivano a entrare per i blocchi stradali.
Recep Tayyip Erdogan (foto d'archivio)

— Qual è il soldato medio del Daesh?
— Il loro soldato medio dentro Kobane sotto assedio era un soldato che probabilmente ha combattuto quando io indossavo il pannollino. Si trattava di veterani, avevano conosciuto tanti teatri di guerra, erano esperti con la loro arma addestrati, armati e appoggiati da uno stato membro della NATO che è la Turchia. Io racconto anche nel libro che ho visto con i miei occhi come la Turchia apriva il confine per fare entrare l'ISIS dal suo territorio. Faceva entrare intere colonne di Toyota dell'ISIS con tanto di bandiera. Questi ci attaccavano dal confine.
— La Turchia non ha nemmeno un ruolo ambiguo quindi, appoggia apartamente i terroristi del Daesh?
— Sì, io l'ho visto con i miei occhi, non ho dubbi a riguardo. Quando sono andato verso Tell Abyad ero sul fronte vicino al confine turco, vedevo con i miei occhi i soldati turchi con il mio mirino. Vedevo la gendarmeria turca e i combattenti dell'ISIS che entravano proprio attraverso quel confine.

Tatiana Santi
 
 

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