Siamo
nell’anno 399 a.C.
ad Atene. Sul letto di morte Socrate dice rivolto a discepoli e amici presenti:
“Dobbiamo un gallo ad Asclepio.” Invitandoli a saldare un debito che avevano
contratto nei giorni precedenti. Quindi si copre il volto... e dopo un ultimo
sussulto, muore.
Poco prima un uomo aveva portato la ciotola
contenente il veleno che avrebbe ucciso Socrate. “La prese – descrive Platone
nel Fedone – con tutta la sua serenità, senza alcun tremito,
senza minimamente alterare colore
o espressione del volto, ma guardando
quell'uomo, di sotto in sù, con quei suoi occhi grandi di toro.”
Riuscite
a immaginarvi al suo posto? Sdraiati su un letto, negli ultimi istanti della
vostra vita? Socrate è un uomo che sta per morire, che sta per abbandonare
questo mondo, che non rivedrà più le persone più care che lo circondano in quel
momento, eppure è il più lucido e sereno tra coloro che si trovano nella
stanza.
“Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere
le lacrime, quando lo videro bere,
quando videro che egli aveva bevuto, non ce la
fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi,
sgorgarono copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me
stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura;
di tanto amico sarei rimasto privo.”
“Apollodoro poi, che dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali lamenti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi proprio lui esclamò: «Ma che state facendo? Siete straordinari. E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scene simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti.”
Lui,
che ha appena bevuto la cicuta e sta morendo, invita gli altri a stare calmi.
La domanda è: che cosa fa sì che un uomo possa raggiungere questo grado di
coscienza?
“E noi, provammo un senso di
vergogna a sentirlo parlare così e
trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò
un po' su e giù per la stanza, poi disse
che si sentiva le gambe farsi pesanti
e così si distese supino ...”
“Egli era già freddo fino all'addome, quando si scoprì (s'era, infatti, in precedenza coperto) e queste furono le sue ultime parole: «Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate.»”
Queste
furono le ultime parole di uno fra gli uomini più grandi che abbiano calcato la
crosta di questo pianeta. Sono passate alla storia, poiché dietro di esse, a
parte la famosa ironia socratica che aveva costellato tutta la sua vita, si colloca
l’insegnamento forse più grande che un maestro possa lasciare ai suoi
discepoli: la capacità di vivere il qui-e-ora, l’istante presente, l’Adesso...
come direbbe anche un famoso personaggio del nostro tempo.
Socrate
non è ancora morto, e fino a quel momento le sue preoccupazioni sono altre.
Quando arriverà la morte si occuperà anche di quella, ma fino a un istante
prima si occupa di altre incombenze... magari più urgenti! Un autentico maestro
zen non saprebbe fare di meglio e non saprebbe essere più ironico di così.
Nel
corso degli ultimi dieci anni circa, sia i ricercatori che i professionisti
(psicologi, neurologi, counselor e psicoterapeuti in genere) che operano
nell’ambito della salute mentale hanno scoperto che le pratiche di mindfulness, antiche e moderne, sono in
grado di alleviare praticamente ogni genere di sofferenza psicologica: dalle
preoccupazioni e insoddifazioni di tutti i giorni fino ai probelemi più gravi
di ansia, depressione e abuso di sostanze. La ricerca sperimentale e poi la
pratica clinica stanno confermando ciò che le antiche culture affermano da
lungo tempo, cioè che lo stato di mindfulness
permette di alleviare, se non far scomparire del tutto, le nostre sofferenze.
La mindfulness viene definita (vedi bibliografia in fondo
all’articolo) come consapevolezza
dell’esperienza presente accompagnata da accettazione. In verità non ci
sarebbe nemmeno bisogno di aggiungere la seconda parte della frase, in quanto
l’autentica consapevolezza del momento presente è sovramentale, ossia priva di
giudizio, e dunque già per definizione intrisa non solo di accettazione, ma
anche di amore per quanto viene osservato. In ogni caso io ho riportato la
definizione clinica.
Ma è
esattamente ciò di cui hanno parlato Socrate, Buddha, Lao Tse, Osho,
Krishnamurti, Gurdjieff, Tolle, ecc. ... ognuno utilizzando termini differenti
in contesti differenti. Ecco quindi il grande segreto che ha attraversato la
storia della spiritualità sulla Terra. Ogni insegnamento che miri al benessere
dell’individuo alla fine può essere sintetizzato nello stesso modo: occupatevi
solo del momento presente e non soffrirete più.
Stiamo
trattando di una capacità che va allenata esattamente come ogni altra capacità
umana. Uno studio (vedi sempre bibliografia) condotto su un gruppo di persone
praticante la mindfulness per diversi anni, con almeno sei ore di pratica alla
settimana, ha evidenziato un ispessimento consistente della corteccia cerebrale
in tre aree del cervello: insula anteriore, corteccia sensoriale e corteccia
prefrontale. Il grado di ispessimento è risultato proporzionale alla quantità
di tempo che ogni persona aveva dedicato alla pratica settimanalmente.
Come
avrete capito il termine mindfulness è un tentativo – a mio parere molto ben
riuscito – di definire scientificamente una pratica e poi uno stato interiore
che sono sempre stati presenti nei differenti percorsi esoterici e spirituali sia
occidentali che orientali. Per cui tutti gli esercizi di ricordo di sé che io
consiglio nei miei
libri possono tranquillamente rientrare in questa definizione, così come il
percorso che propone Eckhart Tolle o quello di Rudolf Steiner.
Forse
ciò che ancora non è stato scoperto sperimentalmente è che grazie a una pratica
di concentrazione sul momento presente (l’essere “Figli del Momento”, come
diceva Draco
Daatson ai suoi Guerrieri) si slitta fuori dalla mente per identificarsi – e
al contempo fabbricare – il corpo
causale, ossia la sede di ciò che le religioni chiamano anima. Non stiamo
quindi unicamente svolgendo un esercizio che ci serve a “rilassarci in
ufficio”, ma abbiamo fra le mani un’impresa ben più grandiosa.
La Bellezza di vivere istante per istante senza
le preoccupazioni d'una mente che ci sballotta dai ricordi del passato alle
ansie sul futuro è la ricompensa per chi ha intrapreso con cuor-aggio la Via
che porta a Ucronia, la città senza tempo.
E
ricordatevi... che dobbiamo un gallo ad Asclepio.
Bibliografia, in ordine
d'importanza per l’argomento:
Qui e
ora di Ronald D. Siegel – Erickson Edizioni
Presence
di Autori vari – Franco Angeli Editore
Mindfulness
e cervello di Daniel J. Siegel – Raffaello Cortina Editore
Fedone
di Platone – Bompiani
Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)
http://www.salvatorebrizzi.com/2013/11/dobbiamo-un-gallo-ad-asclepio.html
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