Oggi è di moda l’accusa di “complottismo”. D’altra parte come
possiamo pensare che chi stia al potere non dica il vero? Visto che
viviamo nel regno della libertà e della trasparenza, come possiamo
criticare le nostre fonti informative? Come possiamo pensare che
qualcosa di essenziale non ci sia stato detto? In tempi di mobilitazione
strategica lo stesso fatto di pensare criticamente è di per sé
eversivo. Il culmine della nostra libertà personale sembra sia accettare
che i mezzi di comunicazione ci liberino dal fardello della critica.
Nel marzo del 2010, Bashar al-Assad, il futuro tiranno siriano, fu
decorato ufficialmente da Napolitano, il nostro Presidente della
Repubblica. Per la precisione il figlio di suo padre, che all’epoca era
buono, meritava il nostro elogio ed ebbe effettivamente la più alta
decorazione del nostro paese. L’evento fu realmente memorabile. Assad
entrava ufficialmente nel palco dei nostri migliori alleati, assieme al
beneamato colonnello Gheddafi.
Il presidente siriano venne dunque insignito col più importante
titolo onorifico italiano, quello di “Cavaliere di Gran Croce decorato
di Gran cordone
al merito della Repubblica italiana”. Il titolo sanciva l’inizio di
un’alleanza talmente “profonda” che sarebbe finita, di lì a pochi mesi,
con l’accusa di essere a capo di uno ‘Stato canaglia’. Pochi anni prima,
nel 2007, il comandante supremo delle forze Nato in Europa
dal 1997 al 2000, generale Wesley Clark, aveva letteralmente sbigottito
il suo uditorio in un incontro pubblico a San Francisco. Rendeva di
pubblico dominio un breafing avuto poco dopo l’11 settembre 2001.
Sosteneva di essere stato messo al corrente dal vice-presidente Cheney e
dal ministro della Difesa Rumsfeld dell’intenzione dell’amministrazione
di scatenare una serie di guerre contro Siria, Iraq, Libano, Libia,
Somalia, Sudan e Iran.
L’obiettivo era trasformare il “volto” del Medio Oriente prima di
essere costretti ad accettare la sfida strategica della prossima
superpotenza emergente. Il generale Clark sosteneva che, per costoro,
l’esercito americano doveva servire per scatenare guerre e per far
cadere governi e non per rafforzare la pace e la stabilità. La sua
opinione era che un gruppo di persone avesse preso il controllo del
paese con un colpo di Stato politico. Si trattava di inventarsi nemici
per destabilizzare intere aree geografiche e dare così vita a nuovi
scenari geopolitici. La strategia americana era sostanzialmente quella
di produrre caos: seminare vento per raccogliere tempesta. Il punto
chiave non è la menzogna in quanto tale. Altre volte nella storia
l’alleato è diventato il nemico, l’aggressore ha vestito i panni della
vittima e la menzogna ha assunto le parvenze della verità. Le bugie sono
sempre esistite, ma oggi sembrano molto più credibili che in passato.
Adesso, se una campagna informativa è svolta con un’adeguata potenza di fuoco, qualsiasi cosa può essere creduta vera.
Da sempre ci vengono fornite informazioni “sicure” che non possiamo
verificare; però ora lo stesso fatto di porsi in modo critico appare
come un elemento di lesa maestà. In tempi teologici l’uso critico della
ragione si chiamava “eresia”; oggi, invece, l’accusa è quella di
“complottismo”. In un mondo in cui le cose apparentemente sembrano
andare bene, chi afferma il contrario può essere solo un malato, un
debole di spirito, un paranoico. Come si può criticare la bontà e la
lungimiranza dell’Impero del bene? Il libro di Paolo Sensini, “Divide et
impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio
Oriente”, è un rigoroso tentativo di andare oltre la mostruosa cortina
del “politicamente corretto”. L’apparato di note del testo è
assolutamente notevole e le chiavi di lettura che il testo permette sono
molto variegate.
Ciò che balza subito agli occhi è il gigantesco lavoro di scavo fatto
dall’autore fra i documenti a disposizione. La quantità di dati
circolanti è effettivamente molto ampia nelle pubblicazioni in lingua
inglese e francese (meno in italiano). La cosa è molto interessante
perché anche all’interno del mainstream si trovano autentiche perle che
illuminano parecchi degli eventi recenti. Troviamo le dichiarazioni
pubbliche del generale Clark sulla politica estera di Bush riportate poche righe sopra; quelle del generale Fabio Mini, che afferma che la politica
estera statunitense nel Mediterraneo è asservita agli interessi
israeliani; troviamo chiarimenti relativi all’inquietante rapporto fra
sunniti e wahhabiti – per inciso, senza il petrolio e l’aiuto
statunitense, i wahhabiti sarebbero solo una setta semiereticale di
beduini analfabeti che si è
impadronita con la forza della Mecca; e troviamo anche molte ragioni
del perché una parte dei siriani stia ancora sostenendo, malgrado tutto,
Assad.
Fra tutti i documenti risalta di gran lunga la dichiarazione,
sicuramente fatta a braccio, di Karl Rove, l’anima nera dell’entourage
di Bush che, in un attimo di vera autenticità esistenziale, dice
chiaramente: «Ora noi siamo un Impero e quando agiamo creiamo la nostra
realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà,
noi agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che
voi potrete studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia
e a voi, a tutti voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che
facciamo». I vertici americani sanno dunque di “scrivere la storia” e non si curano affatto della verità, della giustizia
e anche degli eventuali danni collaterali. Sull’argomento vi sono
un’infinità di problemi aperti: dalla quantità enorme di stranezze
dell’11 settembre 2001, all’influenza della lobby israeliana nelle
politiche mediorientali degli Stati Uniti. La cosa interessante è che
esiste, e Sensini se ne da conto, un’ampia documentazione. In tale
contesto, più che l’informazione puntuale, manca la capacità di
formulare i quesiti giusti e di seguire le piste più interessanti.
Per esempio, perché nessuno si chiede come sia possibile che l’Arabia
Saudita, un paese che non permette il voto e la guida alle donne, sia
riuscito a diventare, assieme a Israele, nazione che pratica
l’apartheid, il difensore della democrazia
e dei diritti umani nel mondo arabo? Come è stato possibile che le
petromonarchie più integraliste, come gli Stati sunniti del Golfo
Persico, abbiano come peggior nemico l’Iran, un altro petrostato
integralista musulmano, e non Israele, il loro declamato nemico
assoluto? I petrostati sciiti e sunniti non dovrebbero essere, come da
teologia islamica, alleati per respingere l’influenza di americani e
israeliani? Perché a sua volta Israele, apparentemente uno Stato
moderno, “l’unica democrazia
del Medio Oriente”, è alleato di queste monarchie medievali? E ancora:
perché Assad, che certamente non è un santo, ha sempre avuto dalla sua
una parte della popolazione siriana? Perché in tanti anni non è stata
raggiunta nell’area neppure una limitata forma di quieto vivere? Che
senso storico ha il tentativo, iniziato un decennio fa dal precedente
presidente degli Stati Uniti, di cambiare il volto del Medio Oriente?
Le tesi del libro sono molte e non vorrei togliere al lettore il
piacere della lettura. Tuttavia, fra tutti i capitoli, segnalo il
gustoso “I precedenti storici dell’11 settembre” nella politica
estera statunitense. Si tratta di un capitolo delizioso per brevità e
concisione. In queste pagine l’autore mostra alcune costellazioni di
eventi che hanno spinto più volte gli Stati Uniti ad agire per
“autodifesa”. La trama elementare è quella di un “nemico traditore” che
agisce nell’ombra per pugnalare alle spalle l’ingenuo ma coraggioso
campione della democrazia; un canovaccio che si ripropone più volte nella storia americana con poche e lievi varianti. La prima guerra
provocata da un nemico traditore, fu quella contro la Spagna del 1898.
Essa venne dichiarata dopo l’esplosione dell’Uss Maine, una nave da guerra
alla fonda nel porto dell’Avana. La colpa dell’esplosione fu attribuita
d’ufficio agli spagnoli, venne impedita ogni perizia sulle cause del
disastro; poco dopo il Maine fu affondato in alto mare, appena in tempo per iniziare una guerra che la Spagna non aveva alcun interesse a fare.
Un altro caso molto noto fu quello del Lusitania, un transatlantico
civile britannico pieno di materiale bellico (fra l’altro esplosivi ad
alto potenziale che esplodono a contatto con l’acqua), che viaggiava a
pieno carico di passeggeri in zone dove si sapeva battevano sommergibili
tedeschi. Pearl Harbour è un altro esempio paradigmatico. Nel dicembre
1941, la marina americana venne attaccata apparentemente di sorpresa
dalla flotta giapponese nelle Hawaii. All’epoca i servizi segreti
statunitensi avevano decrittato il cifrario segreto giapponese e seppero
con anticipo dell’imminente attacco. Il presidente Roosevelt aveva
bisogno di una scusa per entrare in guerra
senza problemi. Alla fine della giornata gli unici veramente sorpresi
dal bombardamento furono i marinai americani usati come carne da
macello. Anche gli incidenti del Golfo del Tonchino dell’agosto 1964,
quelli che provocarono l’intervento in forze degli Stati Uniti in
Vietnam, erano una bugia. La vicenda finì talmente male, con
l’inglorioso ritiro americano di dieci anni dopo, che gli stessi diretti
responsabili politici statunitensi furono costretti ad ammettere
pubblicamente la loro colossale frode.
Per brevità tralascio tutta la propaganda che diede inizio alla prima e seconda guerra
irachena, come la penosa vicenda delle fotografie dei cormorani
incatramati, o la serie di false dichiarazioni fatte al Congresso da
testimoni compiacenti istruiti per l’occasione dai servizi segreti
statunitensi. Quello che a me interessa è fare notare che gli Stati
Uniti sono un paese come gli altri. Il Destino Manifesto non impedisce a
questo paese di fare tutte quelle brutte figure che sono così consuete
nei paesi in cui abitano i comuni mortali. Certo loro producono
telegiornali per tutto il mondo e questo migliora la loro immagine. Per
esempio nei pacchetti informativi è implicito chi sia il buono e chi sia
il cattivo, così com’è ovvio che loro, che sono buoni, stiano aiutando i
buoni. Vorrei solo far notare che anch’io, pur avendo ritenuto certa
l’esistenza di Babbo Natale, dopo qualche anno ho smesso di crederci.
(Alfio Neri, “Breve elogio del complottismo”, recensione del saggio “Divide et impera”, di Sensini, pubblicata da “Carmilla” il 21 dicembre 2013. Il
libro: Paolo Sensini, “Divide et impera. Strategie del caos per il XXI
secolo nel Vicino e Medio Oriente”, Mimesis, 322 pagine, 24 euro).
fonte: http://www.libreidee.org/2014/01/brutte-notizie-i-complottisti-hanno-ragione-e-provato/
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