venerdì 31 gennaio 2014

IL VERO STATO DELL’UNIONE

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Il Discorso sullo Stato dell’Unione (SOTU) del Presidente Americano Barack Obama è stato un autentico spettacolo surrealista. Tralasciando le solite manipolazioni a base di PR, è un bel pezzo che il Governo Americano non fa qualcosa di significativo per il bene comune.

Così, mentre si fa autopromozione davanti a un Congresso disfunzionale, disprezzato dalla maggioranza dei cittadini  – in particolare da quel 76% che vive alla giornata - ciò che rimane è una grandiosa e consunta produzione hollywoodiana.

E Obama, ovviamente, è un attore niente male che sa fare dei bei discorsi, sicuramente meglio di quelli di Ronnie Reagan che Gore Vidal definì "Il Presidente Attore".


Il tema centrale del SOTU 2014 è stata la sconcertante disuguaglianza dei redditi negli Stati Uniti. Possiamo considerarlo un’appendice del World Economic Forum della settimana scorsa a Davos - quell’innevata Las Vegas per lo 0,00001% - dove i Padroni dell’Universo sono riusciti finalmente a scoprire la "disuguaglianza".

Così tante disuguaglianze, difatti, che il 2014 è stato subito etichettato dai Padroni, e dal Primo Ministro giapponese Shinzo Abe, come il nuovo 1914, tutto questo immediatamente e concitatamente twittato ai vari consigli di amministrazione delle moderne e liquide élite societarie.

Dopo essersi un po' scaldato nel discorso, ecco Obama che proclama che Obamacare è stato un successo; che avrebbe utilizzato tutti i suoi poteri esecutivi per renderlo pienamente operativo; e che un’insalata mista di banalità e di vaghe proposte generiche confermavano il successo della sua Agenda, secondo cui migliorare le "opportunità" era la sola risposta vincente nella lotta alle disuguaglianze. E che - oh sì - il Sogno Americano non è affatto finito.

Nessun accenno, ovviamente, al "dolce" e progressivo smantellamento di quel che resta della democrazia Americana, con l’instaurazione di un sistema Orwelliano/Panottico secondo cui il controllo totale da parte dello 0,00001%, rappresentato dalle élite mondiali, si realizzerà dolorosamente solo in un ambiente di COSCIENZA TOTALE D’INFORMAZIONE (TIA, Total Information Awareness). Con il controllo totale dell’Internet da parte del Governo Americano – quel sogno antico, mai abbandonato – la rivoluzione verrà trasmessa solo in TV, neanche più sul web.

O NEOLIBERISMO O MORTE
In assenza del grande e compianto Howard Zinn, oggi gli Americani si devono accontentare dello storico clintoniano Robert Reich. Parlando dell’attuale malessere statunitense, Reich potrebbe avere ragione su due punti.

Mentre la classe operaia americana è paralizzata dal timore di perdere il lavoro (con i sindacati praticamente disintegrati) e gli studenti sono indebitati da far paura (nonostante si sia molto ridotto il salario medio iniziale di un neolaureato), sono stati neutralizzati due vettori determinanti dei movimenti di protesta.

Ma Reich si sbaglia sulla terza ragione, cioè che oltre l’80% dell’opinione pubblica statunitense sia talmente sfiduciata del Governo da aver abbandonato qualsiasi speranza di riforme.


Dovremmo innanzi tutto esaminare in che modo il turbo-capitalismo finanziario americano sia andato alla deriva a partire dalla metà degli anni ’70. Il punto non è che una cabala di repubblicani reazionari e di malvagi capi di azienda (e loro fantocci politici) hanno preso il potere con quelli di Wall Street. Ma va analizzato come una demente speculazione finanziaria, unita a un’ancora più demente inflazione di titoli finanziari ingannevoli, ha finito col delineare le attuali caratteristiche degli Stati Uniti e del sistema globale.


Ciò equivarrebbe a una profonda critica al capitalismo avanzato, che, nei fatti, non è né capitalismo e né avanzato – cosa che è tabù assoluto per i grandi gruppi d’informazione americani. Eppure tutto è iniziato molto prima del continuum tra il profeta Ronnie Reagan, Bubba Clinton e Dubya/Obama.


L’ultimo dato allarmante ci mostra un sistema in cui 85 persone – un gruppo cioè facilmente stipabile in un bus londinese a due piani - posseggono il 50% dell’umanità.  Com’è possibile una cosa del genere? Una rapida analisi eseguita dall’innovativo David Harvey in  "A Brief History of Neoliberalism" (Breve Storia del Neoliberismo) (Oxford University Press, 2005) sembra dare una risposta a tutte le domande: è tutto collegato a quei giochetti economici dell'effetto cascata, che riduce le tasse degli abbienti e delle imprese, che porta alla distruzione dei sindacati, alla riduzione dei salari, alla riduzione di diritti civili di chiunque non faccia parte di quel famoso 0,00001% e agli innumerevoli vantaggi economici riservati proprio a quel 0,00001%. Risultato finale: un vortice di concentrazione di ricchezza, un qualcosa che ha molto poco a che vedere con la democrazia in una repubblica.


Il buon vecchio zio Marx la chiamerebbe col suo vero nome: lotta di classe. E quel 0,00001% ha vinto a mani basse, senza problemi.

Ci si dimentica subito del fatto che Dubya/Obama ha ereditato un forte deficit di bilancio. Ha poi deciso di abbattere le tasse per le fasce più ricche, ha guidato due guerre orrende e costosissime - una perché "doveva bombardare qualcuno", l’altra per scelta propria -, e poi è stato Gran Cerimoniere del più grave crollo finanziario di Wall Street dai tempi della grande Depressione.

E sì, tutto dipende dal filo ininterrotto che corre da Bush a Obama. Nell'era della "ripresa" di Obama, la ricchezza del 7% più ricco degli americani è salita del 28%, mentre è scesa del 4% per tutti gli altri.
Almeno l’80% degli elettori americani non vogliono tagli al welfare per far quadrare il bilancio; vogliono invece più tasse per i più ricchi e per le grandi imprese. Obama, invece, ha tagliato il welfare.
E poi c’è la degenerazione delle città americane; questo studio mostra in che modo sia stata affossata la città di Detroit nello stesso momento in cui nello Stato del Michigan si spendeva una fortuna in "incentivi alle imprese".

E come ciliegina finale, c’è la sindrome Jamie Dimon, CEO di JP Morgan Chase, definito dallo stesso Obama "uno dei più brillanti banchieri dei nostri tempi". Nonostante la prima banca degli Stati Uniti abbia bruciato miliardi di dollari in titoli ipotecari tossici e fasulli, manipolato i prezzi dell’energia e defraudato i possessori di tante e tante carte di credito, in ogni caso il CEO si è portato via una ricca commissione, per il solo fatto che le azioni della banca, nel 2013, erano salite del 21%.

Che questa farina sia o meno del sacco di Obama, è del tutto irrilevante. A parte le lampanti assurdità su Iran, Siria e Israele/Palestina e neanche una parola, invece, su Cina e Russia, non c'è da sorprendersi che la scena più strappalacrime di Hollywood ci ha mostrato un Ranger dell'Esercito che veniva quasi ammazzato in Afghanistan da un ordigno esplosivo improvvisato. Era la metafora vivente del "Yes We Can" di Obama, il remix del 2014.

Curiosamente, poco prima del SOTU, il Governo Statunitense e il Pentagono avrebbero informato il New York Times che se "un piccolo numero" (Obama) di soldati statunitensi è ancora presente in Afghanistan, la CIA proseguirà ad oltranza a far sorvolare le aree tribali del Pakistan dai suoi droni e continuerà a usare le basi afghane per controllare il Pakistan.

Tutto, quindi, si riduce alle "sporche guerre della CIA".  Ovviamente a nessuno dei membri del AfPak piace questo stato di cose; sembra quindi che gli eroi di Obama dovranno continuare a correre ancora per molto. Buon per loro, scambieranno dei letali IED per un nuovo colpo all'ultimo paese delle "opportunità". E’ vero tutto questo? Sì, lo ha detto POTUS.


PEPE ESCOBAR
asiatimes.com


Pepe Escobar è autore di "Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War" (Nimble Books, 2007), "Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge" (Nimble Books, 2007), e di "Obama does Globalistan" (Nimble Books, 2009). 

Lo si può contattare a questo indirizzo: pepeasia@yahoo.com


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Fonte: Asia Times
Link: The real State of the Union

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=12873
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63

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