martedì 14 gennaio 2014

Frammenti di un Dio Perduto .

berretto frigio
 
Potrebbe apparire lezioso concentrarsi sugli aspetti di un culto perduto agli albori del nostro mondo occidentale, sottoposti come siamo alle devastanti operazioni di manipolazione genetica che andiamo osservando. Eppure la stessa manipolazione ha colpito (e colpisce tutt’ora) anche gli aspetti del nostro vivere più profondi e spirituali, non da pochi decenni ma da millenni, svilendone ed annichilendone le istanze più pure ed esaltanti.
 
La figura del Dio Mithras (nella corretta dizione greca con ‘s’ finale) è stata per quasi un secolo relegata ad un culto misterico e ctonio di origine persiana che aveva coinvolto soprattutto la casta militare romana nei primi secoli dell’era cristiana, per poi disperdersi pochi secoli dopo, con l’avanzare in veste ufficiale del cristianesimo.
Una lettura più approfondita di questo culto ad opera dello studioso bostoniano  D. Ulansey, ci disvela invece una sua genesi molto più intensa e vicina, proveniente dai raffinatissimi studi astronomici di quel gruppo di intellettuali gnostici che insistevano sulla città di Tarso, la stessa da cui proveniva l’agitatore culturale Saul Paolo (San Paolo) ebreo, intellettuale e cittadino romano.
 
In questo crogiuolo di ispirati intelletti, si pervenne alla scoperta (o sarebbe meglio dire ri-scoperta) del fenomeno astronomico della ‘ precessione degli equinozi’ considerato allora come il motore supremo del cosmo, raffigurato proprio in forma allegorica dal Dio Mithras stesso e dalla sua controparte mitologica di Perseo.  Mithras era Perseo, la cui costellazione giace infatti sopra quella del Toro e le cui rispettive iconologie risultano pressoché sovrapponibili. Mithras-Perseo veniva identificato anche con il Sol Invictus (il vero Dio dell’imperatore Costantino) un sole di categoria superiore rispetto ad Helios perché muoveva le sfere superiori del cosmo alle quali il nostro sole ‘planetario’ non appartiene.
 
L’allegoria astronomica di Mithras quindi abbisognava di gradi iniziatici per essere propriamente compresa, dovuti alla necessità di diffondere gradualmente le corrette nozioni astronomiche di base necessarie. Il leggero occultamento del nome era dovuto a questo aspetto iniziatico ed al sincretismo tipico di quel mondo. La presenza dello scorpione, della coppa, del serpente e del cane sono così facilmente comprensibili grazie alla posizione dell’equatore celeste (la proiezione dell’equatore terrestre sulla sfera del cosmo) così com’era all’inizio dell’età del Toro appunto, nella successione proposta dall’iconologia mithraica, mentre le spighe di grano rappresenterebbero l’inizio della primavera. La presenza dei Dioscuri con le fiaccole elevate oppure abbattute sarebbe da ricondurre agli equinozi, sempre secondo la stretta allegoria astronomica, proposta da Ulansey.
 
Tale culto non era solo appannaggio della casta militare in quanto era presente in tutto l’impero romano. Santuari mithraici sono stati scoperti ogni dove, spesso rinvenuti sotto le posteriori cappelle cristiane. Il rapporto tra Mithra e Cristo è reso così storicamente come una sorta di sovrapposizione concettuale (e fisica) alla quale certamente la provenienza di Saul Paolo ha dato un grande contributo.
Il culto mithraico era proibito alle donne ed in esso si svolgevano funzioni in gran parte riprese più tardi dalla liturgia cristiana. Si tratterebbe in definitiva di un culto solare di matrice astronomica e gnostica che non si sarebbe mai spento del tutto, trasfigurandosi e mimetizzandosi in altri culti organizzati ed essoterici.
 
Affascinanti infine le delicate raffigurazioni del Dio Mithras, nell’atto di infliggere al Toro, con stato d’animo sereno e fermo, il colpo di daga alla spalla destra, disponendo la sua testa nel senso opposto come chiara allusione al mito di Perseo e della Gorgone che non doveva essere osservata negli occhi. Da notare infine l’etimologia comune di Perseo e Persia, che ha contribuito a rafforzare la supposta origine iranica del culto, sottolineata dalla presenza dell’immancabile  berretto frigio in testa al Dio, lo stesso che ritroviamo poi come emblema della rivoluzione francese.


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