Qui di seguito riporto il capitolo del mio libro dove descrivo il contatto degli spagnoli guidati da Francisco de Orellana con le donne guerriere. Questi canali si distanziavano dal braccio principale. Erano traboccanti di tronchi, liane e vegetazione galleggiante, che ostacolavano il passaggio. Di tanto in tanto si sentiva il tam tam di tamburi lontani. Era come se qualcuno li controllasse e, da distante, informasse altri del loro arrivo. Il 22 giugno 1542 i navigatori giunsero in una terra ricca, dove i villaggi si susseguivano uno dopo l’altro. Alcune canoe s’avvicinarono ai vascelli degli europei e gli indigeni che le conducevano si rivolsero agli intrusi facendo gesti strani e parlando una lingua incomprensibile. Stavano burlandosi di loro?
Forse volevano solo comunicare, ma i loro buffi motteggi furono interpretati come scherni. Orellana, irritato da quello strano atteggiamento, diede l’ordine di colpirne alcuni con le balestre. Quindi, dopo aver navigato circa una lega, decise di approdare presso un villaggio, nell’intento di approvvigionarsi. Il loro sbarco però fu reso difficoltoso da nugoli di frecce lanciate da altri nativi bellicosi e urlanti. Gli spagnoli, che utilizzavano corazze di grandi tartarughe come scudi, risposero con balestre e archibugi, uccidendo vari indigeni. Alcuni di loro, prima di gettarsi ferocemente contro gli invasori, danzavano in modo bizzarro, come se dovessero rendere omaggio alla Divinità prima di andare a morire, nell’intento di difendere la loro terra. Nel pieno del combattimento, gli stranieri notarono delle donne guerriere, alte, bianche e muscolose, che scagliavano le loro frecce con precisione, tanto che ferirono cinque spagnoli, tra i quali il frate Carvajal, colpito al basso ventre. Erano le Amazzoni.
Ecco una sua descrizione della battaglia, tratta dal suo libro Relaciòn del nuevo descrubimiento del famoso Rio Grande que descubriò por muy gran ventura el Capitan Francisco de Orellana:
Queste donne sono bianche e alte e hanno i capelli neri uniti con trecce. Sono muscolose e coprono le loro parti intime con vesti di cuoio. Camminano fiere con archi e frecce e combattono con la forza di dieci uomini…Questa battaglia durò più di un’ora, e i nativi non si perdevano d’animo anche se vedevano morire i loro compagni…Questi uomini sono sottomessi e tributari delle Amazzoni. Le donne guerriere, che erano dodici e che vedemmo chiaramente, attaccavano davanti a tutti e davano ordini ai nativi. Chi retrocedeva veniva ucciso dalle Amazzoni, questa fu la ragione di tanta aggressività… Fu Nostro Signore che ci diede la forza e l’animo per combattere quelle donne. I nostri uomini uccisero sette od otto Amazzoni e, alcuni indigeni, vedendo ciò, si spaventarono e furono anch’essi uccisi e altri scapparono. Ma siccome stavano arrivando al villaggio molti altri nativi armati il capitano ordinò d’imbarcarsi e ritirarsi. La cosa non fu facile perché altre canoe s’avvicinavano ai battelli e altre frecce vennero scagliate ma alla fine riuscimmo a raggiungere il centro del fiume dove la corrente era più forte.
Durante lo scontro Orellana prese prigioniero un nativo, che giorni dopo venne interrogato e descrisse gli usi e i costumi delle donne guerriere. Quindi gli spagnoli ormeggiarono in un altro villaggio, nella speranza di trovare cibo e riparo. Non fu così. Anche in quel luogo furono attaccati da furiosi nativi che gli tirarono molte frecce, una delle quali colpì ad un occhio proprio il frate Gaspar de Carvajal. Il religioso, trafitto due volte nello stesso giorno, perse l’occhio, con terribili sofferenze. Gli altri uomini della spedizione lo aiutavano tentando di medicare l’orbita vuota e insanguinata, ma lui non si lamentava, anzi ringraziava il Signore per aiutarlo a superare quelle che lui chiamava prove di fede, non cessando di dare conforto agli altri feriti. Mai imprecò contro i nativi, ma anzi capiva la loro situazione e si rendeva conto che si sentivano minacciati, da esseri strani che attraversavano il loro territorio. Il giorno successivo i vascelli furono nuovamente circondati da più di duecento canoe d’indigeni, che suonavano trombe e battevano tamburi eccitandosi prima della battaglia. Orellana diede l’ordine di sparare e riuscì ad uscire da quella morsa a tenaglia che avrebbe potuto significare la fine.
Le imbarcazioni si diressero verso un canale, nella speranza di riuscire a distanziare i nativi e rientrare poi nel braccio principale. Quasi vicino alla confluenza con il fiume però, gli autoctoni si erano posizionati a barriera, per chiudere il passo agli stranieri e costringerli alla resa. Fu l’ennesima, aspra battaglia e grazie agli archibugi, i viaggiatori riuscirono nuovamente a guadagnare il centro del fiume dove la corrente si stava facendo molto forte. Si stavano infatti avvicinando al luogo dove oggi sorge la città di Obidos, nel quale il fiume è più stretto in assoluto, poco più di 1900 metri. La sua profondità raggiunge i cento metri e la corrente è fortissima. Dopo circa un giorno di navigazione scorsero la confluenza di un grande corso d’acqua, chiamato Tapajos, proveniente da destra. Quindi si fermarono per passare la notte in un’ampia spiaggia. Orellana ne approfittò per interrogare il nativo preso prigioniero durante la battaglia con le Amazzoni. Quell’uomo raccontò che il signore del villaggio dove si svolse la battaglia si chiamava Couynco, ed era tributario delle Amazzoni, o Cunan, che in Tupì-Guaranì significa donne.
Ecco un estratto della descrizione della fantastica tribù delle Amazzoni, dal libro di Carvajal:
Di queste donne guerriere sentimmo notizia durante tutto il viaggio, ma fu il Capitano che, parlando con un indigeno e intendendo la sua lingua, poté sapere di più sul loro modo di vivere. Il Capitano chiese chi fossero quelle donne che erano venute a fare loro guerra. L’indigeno disse che vivevano nell’interno a circa sette giorni di cammino dalla sponda del fiume, e siccome quel Cacique Couynco è di loro vassallo, erano venute a controllare quelle rive. Il Capitano gli domandò se queste donne fossero sposate: l’indio disse di no, e raccontò che andò varie volte nella loro terra, in quanto vassallo che ivi viaggiava per portarvi il tributo. Il Capitano domandò se queste donne erano molte e l’indio disse di sì e che lui sapeva che vi erano settanta villaggi, li contò davanti a noi e disse che era stato in alcuni. Il Capitano domandò se le capanne di quei villaggi erano di legno e paglia: l’indio disse di no, disse che erano di pietra con porte di legno e che da un villaggio all’altro vi erano sentieri delimitati da entrambe le parti a volte chiusi e controllati per far pagare il tributo a chi vi volesse transitare. Il Capitano domandò se queste donne partorissero: l’indio disse di sì. Il Capitano gli chiese come fosse possibile, non essendo sposate e non risiedendo nessun uomo con loro. L’indio disse che a volte quelle donne riuniscono grandi eserciti e vanno a fare la guerra a un gran signore che domina una terra attigua alla loro. Con la forza portano degli uomini nei loro domini e li tengono prigionieri per mesi. Una volta che sentono di essere in cinta, li rinviano alle loro terre. Quando viene il tempo di partorire, se nasce un maschio lo uccidono e inviano il corpo al padre, se invece è femmina la crescono con grande solennità e le insegnano le cose della guerra. Disse anche che tra tutte quelle donne ce n’è una che comanda sulle altre e le tiene tutte sotto la sua giurisdizione, che si chiama Conorì. Disse che c’è molta abbondanza d’oro e argento del quale fanno largo uso le donne patrizie, mentre le plebee si servono con ciotole di legno o terracotta. E disse che vanno vestite con lana fina che viene dalle pecore del Perú…In seguito alla descrizione del nativo si seppe che le Amazzoni vivevano in numerosi villaggi situati nell’interno di quello che oggi viene chiamato Rio Jamundà, allora detto Conuris. Imponevano dei tributi sui popoli soggiogati e non si sposavano, ma s’accoppiavano con i loro prigionieri, che poi rinviavano alle loro terre. Un’altra leggenda relazionata a questo mito, narra che dopo una notte d’amore con un’Amazzone chi era ragazzo ne usciva vecchio. Se nasceva un maschio lo uccidevano e a volte ne inviavano il corpo al villaggio da dove proveniva il padre. Se nasceva una femmina, si prendevano cura di lei e le insegnavano l’arte della guerra. Nelle loro abitazioni vi era argento e oro in grande abbondanza e anfore di terracotta riccamente adornate.
A volte si vestivano con abiti di cotone dai colori sgargianti, ma più spesso andavano in giro nude, coprendosi solo le parti intime. Sempre secondo il racconto dell’autoctono le Amazzoni credevano nel Dio Sole, che adoravano in vari templi dove vi erano anche idoli femminili. Anche il religioso Cristobal de Acuña, che visitò la zona nel 1637, riportò varie notizie delle Amazzoni. Acuña descrisse il lago Parime, da dove le donne guerriere estraevano sale e una pietra di giada chiamata Muirakitan.
Questo minerale, la pietra filosofale dell’Amazzonia, veniva utilizzato come amuleto e simbolo e per ingraziarsi gli Dei. YURI LEVERATTO Copyright 2013 Tratto dal libro “1542 I primi navigatori del Rio delle Amazzoni” Foto principale: le Amazzoni scorgono in lontananza il battello degli intrusi, in un dipinto del pittore cileno Roland Stevenson.
Fonte:http://www.yurileveratto.com/it/articolo.php?Id=412
http://pianetablunews.wordpress.com/2014/01/03/il-mistero-delle-amazzoni-le-donne-guerriere/
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